Ramana
Maharshi. Un
saggio dell’età dell’oro
Il Principio
Diamo subito le usuali indicazioni
biografiche. Bhagavan Sri Ramana Maharishi. Bhagavan è un nome al vocativo che vuol
dire beato, santo e che è titolo con cui ci si rivolge al Signore,
a dei, semidei o santi (cfr. Monier Williams Sanskrit dictionary digitised
by the university of köln). Maharshi è voce Tamil che rende il sanscrito maharishi
che è un nome composto da maha, grande, e rishi,
veggente.
I rishi sono coloro che nella tradizione indiana hanno contemplato il Veda, la sapienza essenziale e che hanno poi redatto le scritture sacre in base a ciò che avevano contemplato. Ramana è abbreviazione di Venkataraman che è il nome con cui familiarmente ci si rivolgeva a Ramana che formalmente era stato chiamato Venkateshwaram in onore alla divinità a cui era devota la famiglia. Alcuni si rivolgono a Ramana premettendo al nome la particella Srì che significa prosperità, fortuna; anche santo, benedetto, appellativo che vien dato ai Maestri (Glossario sanscrito ed. Vidya). L’uso di Sri, Bhagavan e Maharishi per rivolgersi a Ramana indicano l’altissima considerazione che avevano di lui i devoti.
I rishi sono coloro che nella tradizione indiana hanno contemplato il Veda, la sapienza essenziale e che hanno poi redatto le scritture sacre in base a ciò che avevano contemplato. Ramana è abbreviazione di Venkataraman che è il nome con cui familiarmente ci si rivolgeva a Ramana che formalmente era stato chiamato Venkateshwaram in onore alla divinità a cui era devota la famiglia. Alcuni si rivolgono a Ramana premettendo al nome la particella Srì che significa prosperità, fortuna; anche santo, benedetto, appellativo che vien dato ai Maestri (Glossario sanscrito ed. Vidya). L’uso di Sri, Bhagavan e Maharishi per rivolgersi a Ramana indicano l’altissima considerazione che avevano di lui i devoti.
Venkataraman nacque il 30.12.1879
a Tirucculi nel Tamil Nadu, nel sud India. Suo padre si chiamava Sundaram Aiyar,
la madre Alagammal aveva un fratello maggiore Nagasvami, un minore Nagasundaram
e una sorella Alamelu. La sua famiglia era di casta brahmina, il padre aveva iniziato
come aiuto di un contabile era, col tempo, diventato un avvocato del locale tribunale
(T.M.P. Mahadevan Ramana Maharishi il saggio di
Arunachala Mediterranee pag. 11). Sundaram non aveva un titolo riconosciuto
per esercitare il patrocinio legale ma a dispetto di ciò aveva una ottima pratica giuridica ed era molto rispettato nella sua
comunità (Davis Godman An introduction to Sri Ramana’s Life and Techings http://davidgodman.org). Visse a Tirucculi fino alla morte del padre avvenuta quando aveva 12 anni. La madre
e la famiglia, in seguito alla morte del padre, si trasferirono a Madurai sotto
la protezione dello zio Subbayyar Aiyar.
Nella famiglia di Ramana, si dice,
grava una «maledizione» una volta un avo trattò male un
samnyas e questi predisse che, a ristoro dell’offesa, ogni generazione della famiglia
avrebbe visto un membro abbracciare la samnyas. In quella generazione toccava a
Ramana saldare il debito dello sgarbo verso il samnyas posto in
essere dal suo avo.
Ramana era un ragazzo come gli
altri, non particolarmente propenso allo studio, attratto dallo sport, dal pugilato
e dal nuoto. L’unica stranezza che dimostrava è che aveva un sonno particolarmente
profondo oltre a una memoria eccezionale. I compagni di Ramana durante il giorno
temevano di affrontarlo ma di notte, mentre dormiva, conoscendo questa particolarità
se volevano vendicarsi lo percuotevano sonoramente e lui
non si accorgeva di nulla. Oppure lo trasportavano dipeso in un altro posto. Un’altra
circostanza particolare era la sua grande fortuna che gli frutto il nome di “Tangakai”,
Colui che ha le mani d’oro.
L’esperienza della morte e il
sorgere della consapevolezza del sé che ebbe, come si è detto, verso i sedici anni
lo trasformò profondamente e immediatamente.
«Tu mi hai nascosto tutta la conoscenza
del conseguimento graduale, mentre vivevo nel mondo, e mi hai dato la pace … (undici
versi ad Arunachala)».
Per poco tempo finse di adempiere ai suoi doveri, finse di essere ancora un ragazzino,
solo che approfittava di ogni minuto di tempo libero per immergersi nella profondità
del suo Essere. La sua coscienza di veglia faticava a restare desta, a sfuggire
dalla potente attrazione a dissolversi nel Quarto.
Non ci volle molto perché in lui
maturasse il senso dell’inutilità di quel che faceva, dell’inadeguatezza della sua
attuale condizione terrena. Per punizione gli era stato dato da ricopiare per tre volte una lezione di grammatica. La
ricopiò per due volte, quando si accinse a farlo per la terza volta si rese conto della inutilità di quel che stava facendo
e si immerse in sé stesso. Il fratello maggiore che lo osservava disse « A che serve tutto questo a uno così?». Queste parole furono
per Ramana la molla che fece scattare in lui la decisione di abbandonare la sua
attuale condizione e doveri di figlio e studente. Venkataramam, in cuor suo matura
la coscienza del rinunciatario (samnyas). In India si parla di stadi della vita,
il primo è quello di studente, poi quello di capo famiglia,
quello dell’anacoreta e infine il samnyas cioè colui che abbandona tutto e pur vivendo
nel mondo non è del mondo. Questi stadi di vita dovrebbero essere un percorso graduale
Ramana a 17 anni passò direttamente dalla condizione di
studente a quella di rinunciatario, non in seguito a una investitura formale ma
a seguito di una improvvisa maturazione della sua coscienza. Egli commenta quella esperienza straordinaria in questo modo:
«Sono stato veramente fortunato a non dedicarmi
mai a quella (la filosofia). Se l’avessi fatto, probabilmente mi sarei perduto;
ma le mie inerenti tendenze mi condussero direttamente a domandarmi: “chi sono io?” (pag. 16 Ramana Maharshi Gli insegnamenti Astrolabio
1976)».
Quando espresse la sua intenzione di rinunciare
a tutto per dedicarsi all’ascesi non fu preso sul serio.
Ramana scrisse degli inni di lode ad Arunachala
in uno di questi canta:
«Fin dalla mia infanzia si rivelò alla mia
comprensione che Arunacala era qualcosa di grandissimo. Anche quando venni a sapere
da un altro che era Tiruvannamalai, non ne compresi il significato».
Il verso si riferisce a un episodio immediatamente
precedente alla sua, chiamiamola tanto per intenderci,
illuminazione. Ramana chiese a un parente in visita da dove venisse e quegli rispose
da Arunachala. Il cuore di Ramana vibrò, inspiegabilmente, a quel nome e la sua
anima si accese di gioia.
Ramana disse al fratello, il 29 agosto del
1896, a diciassette anni, che sarebbe andato a scuola per assistere a una lezione,
il fratello lo pregò di prendere i soldi e pagare la retta
della scuola. La zia gli diede i soldi per pagare la retta della scuola, ne prese
una parte, tre rupie, e si diresse alla stazione ferroviaria. La famiglia era completamente
all’oscuro delle sue decisioni. Fuggi, scappò da casa,
senza dire nulla, lasciando solo un biglietto, attratto
da un potentissimo magnete, il sacro monte Arunachala. Prima di andarsene scrisse
un sibillino messaggio che tutt’ora si conserva al Ramana
Ashramam:
«Io sono andato da questo luogo per cercare
mio Padre come Egli comanda. È impresa degna. Pertanto, nessuno si addolori per
ciò che questo ha fatto. È inutile spendere denaro per cercare questo. La quota
non è stata ancora pagata: sono state lasciate due rupie (pag.
18 Ramana Maharshi il saggio di Arunacala T.M.P. Mahadevan».
Ramana consultò un vecchio atlante ferroviario
e chiese il biglietto per la stazione più vicina a Tiruvannamalai. Se si fosse informato avrebbe scoperto che il treno arrivava fino a Tiruvannamalai
e che il biglietto costava tre rupie. Scese a Viluppuram pensando di fare l’ultimo
tratto a piedi. Pranzò in un albergo e, al momento di pagare, l’oste gli chiese
quanto denaro avesse con se. Ramana disse che aveva solo
due anna e l’oste non volle essere pagato e gli diede indicazioni per arrivare a
Tiruvannamalai. Ramana avanzandogli un po’ di moneta prese il treno per Mambalappattu
che era assai prossima a Tiruvannamalai. Camminò per dieci miglia e si fermò nel
tempio di Arayanunallur. Mahadevan dice (pag 20) che qui ebbe la visione di una
fulgida luce che avvolgeva l’intero luogo e che, svanita la visione, si immerse in meditazione. I sacerdoti lo scossero perché volevano
chiudere il tempio ed egli li seguì, arrivati a un altro
tempio tre miglia più avanti si immerse in meditazione. Ancora una volta i sacerdoti
lo scossero per mandarlo via. Il tamburino del tempio, commosso, gli cedette la
sua razione di cibo.
Il mattino seguente riprese a camminare e
alla fine, dopo aver molto camminato, pensò che poteva vendere i suoi orecchini
d’oro per procurare il denaro per il resto del viaggio e per un po’ di cibo. Si
fermò davanti a una casa di un certo Muthukrishna Bhagavatar. Ricevette del cibo
dalla padrona di casa e chiese al Bhagavatar di impegnare gli orecchini, gli disse
che valevano venti rupie ma che a lui, per completare il pellegrinaggio, non occorreva
tanto denaro, gli bastavano solo quattro rupie. Il Bhagavatar accetto gli orecchini
e diede a Ramana la somma richiesta con un biglietto che gli avrebbe permesso di
riscattarli. Ramana appena lascio la casa del Baghavatar strappò il biglietto.
Prese il treno al
mattino, il primo di settembre del 1896, e arrivò, finalmente, a Tiruvannamalai.
Raggiunse il grande tempio di Arunachalashvara. Alcuni come Mahadevan narrano che egli arrivo al sancta sanctorum del tempio
e lì adorò il Lingam e che tutte le porte erano aperte ma il tempio era completamente
vuoto. David Godman dice che egli abbraccio il lingam. Godman dice che il
tempio era vuoto perché le porte erano chiuse e che si aprirono miracolosamente
di fronte al giovane Ramana. Godman ricorda che il sacrario interno è sigillato
da una massiccia serratura e che l’accesso al lingam è interdetto a chi non
è addetto alle funzioni religiose che si trasmettono per via ereditaria. Queste
circostanze non avrebbero avuto l’approvazione di essere pubblicate da Ramana sia
perché egli non ha mai dato peso agli eventi soprannaturali che si verificavano accanto a lui, sia perché il suo abbraccio agli
occhi dei sacerdoti del tempio sarebbe stato considerato un atto contaminante il
Lingam e sarebbe stata necessaria la sua riconsacrazione (David Godman An
introduction to Sri Ramana’s Life and Teachings http://davidgodman.org/). L’abbraccio con il Lingam avrebbe avuto l’effetto di
placare un forte senso di bruciore nel corpo di Ramana che aveva iniziato a sentire
fin dal momento della sua illuminazione.
Da allora, fino alla sua morte,
Ramana non si allontanò mai da Tiruvannamalai. Anni dopo, ricordando ciò che gli era accaduto in questi primi anni, disse che all’inizio pensava
che lo avesse colto una strana pur se piacevole malattia e sperava che non avrebbe
dovuto essere ricoverato a causa di essa. Un altro pensiero è che avesse potuto essere posseduto da qualche sorta di spirito. Quello
spirito che lo aveva chiamato a sé, esercitando una “azione
misteriosa”, per lui era la sacra montagna di Arunachala.
«Oh, grande prodigio! Sta come
un monte insensibile. Per chiunque è difficile capire la sua azione. Fin dalla mia
infanzia si rivelò alla mia comprensione che Arunacala era qualcosa di grandissimo.
Anche quando venni a sapere da un altro che era Tiruvannamalai, non ne compresi
il significato. Quando, acquietando la mia mente, mi chiamò
a sé, e io mi avvicinai, scoprì che era l’inamovibile (Ramana Maharshi otto
strofe su Arunachala)».
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