"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

domenica 24 maggio 2015

Pietro Mancuso, Ramana Maharshi. Un saggio dell’età dell’oro - II - Il Principio

Pietro Mancuso
Ramana Maharshi. Un saggio dell’età dell’oro

Il Principio
Diamo subito le usuali indicazioni biografiche. Bhagavan Sri Ramana Maharishi. Bhagavan è un nome al vocativo che vuol dire beato, santo e che è titolo con cui ci si rivolge al Signore, a dei, semidei o santi (cfr. Monier Williams Sanskrit dictionary digitised by the university of köln). Maharshi è voce Tamil che rende il sanscrito maharishi che è un nome composto da maha, grande, e rishi, veggente.
I rishi sono coloro che nella tradizione indiana hanno contemplato il Veda, la sapienza essenziale e che hanno poi redatto le scritture sacre in base a ciò che avevano contemplato. Ramana è abbreviazione di Venkataraman che è il nome con cui familiarmente ci si rivolgeva a Ramana che formalmente era stato chiamato Venkateshwaram in onore alla divinità a cui era devota la famiglia. Alcuni si rivolgono a Ramana premettendo al nome la particella Srì che significa prosperità, fortuna; anche santo, benedetto, appellativo che vien dato ai Maestri (Glossario sanscrito ed. Vidya). L’uso di Sri, Bhagavan e Maharishi per rivolgersi a Ramana indicano l’altissima considerazione che avevano di lui i devoti.
Venkataraman nacque il 30.12.1879 a Tirucculi nel Tamil Nadu, nel sud India. Suo padre si chiamava Sundaram Aiyar, la madre Alagammal aveva un fratello maggiore Nagasvami, un minore Nagasundaram e una sorella Alamelu. La sua famiglia era di casta brahmina, il padre aveva iniziato come aiuto di un contabile era, col tempo, diventato un avvocato del locale tribunale (T.M.P. Mahadevan Ramana Maharishi il saggio di Arunachala Mediterranee pag. 11). Sundaram non aveva un titolo riconosciuto per esercitare il patrocinio legale ma a dispetto di ciò aveva una ottima pratica giuridica ed era molto rispettato nella sua comunità (Davis Godman An introduction to Sri Ramana’s Life and Techings http://davidgodman.org). Visse a Tirucculi fino alla morte del padre avvenuta quando aveva 12 anni. La madre e la famiglia, in seguito alla morte del padre, si trasferirono a Madurai sotto la protezione dello zio Subbayyar Aiyar.
Nella famiglia di Ramana, si dice, grava una «maledizione» una volta un avo trattò male un samnyas e questi predisse che, a ristoro dell’offesa, ogni generazione della famiglia avrebbe visto un membro abbracciare la samnyas. In quella generazione toccava a Ramana saldare il debito dello sgarbo verso il samnyas posto in essere dal suo avo.
Ramana era un ragazzo come gli altri, non particolarmente propenso allo studio, attratto dallo sport, dal pugilato e dal nuoto. L’unica stranezza che dimostrava è che aveva un sonno particolarmente profondo oltre a una memoria eccezionale. I compagni di Ramana durante il giorno temevano di affrontarlo ma di notte, mentre dormiva, conoscendo questa particolarità se volevano vendicarsi lo percuotevano sonoramente e lui non si accorgeva di nulla. Oppure lo trasportavano dipeso in un altro posto. Un’altra circostanza particolare era la sua grande fortuna che gli frutto il nome di “Tangakai”, Colui che ha le mani d’oro.
L’esperienza della morte e il sorgere della consapevolezza del sé che ebbe, come si è detto, verso i sedici anni lo trasformò profondamente e immediatamente.
«Tu mi hai nascosto tutta la conoscenza del conseguimento graduale, mentre vivevo nel mondo, e mi hai dato la pace … (undici versi ad Arunachala)».
Per poco tempo finse di adempiere ai suoi doveri, finse di essere ancora un ragazzino, solo che approfittava di ogni minuto di tempo libero per immergersi nella profondità del suo Essere. La sua coscienza di veglia faticava a restare desta, a sfuggire dalla potente attrazione a dissolversi nel Quarto.
Non ci volle molto perché in lui maturasse il senso dell’inutilità di quel che faceva, dell’inadeguatezza della sua attuale condizione terrena. Per punizione gli era stato dato da ricopiare per tre volte una lezione di grammatica. La ricopiò per due volte, quando si accinse a farlo per la terza volta si rese conto della inutilità di quel che stava facendo e si immerse in sé stesso. Il fratello maggiore che lo osservava disse « A che serve tutto questo a uno così?». Queste parole furono per Ramana la molla che fece scattare in lui la decisione di abbandonare la sua attuale condizione e doveri di figlio e studente. Venkataramam, in cuor suo matura la coscienza del rinunciatario (samnyas). In India si parla di stadi della vita, il primo è quello di studente, poi quello di capo famiglia, quello dell’anacoreta e infine il samnyas cioè colui che abbandona tutto e pur vivendo nel mondo non è del mondo. Questi stadi di vita dovrebbero essere un percorso graduale Ramana a 17 anni passò direttamente dalla condizione di studente a quella di rinunciatario, non in seguito a una investitura formale ma a seguito di una improvvisa maturazione della sua coscienza. Egli commenta quella esperienza straordinaria in questo modo:
«Sono stato veramente fortunato a non dedicarmi mai a quella (la filosofia). Se l’avessi fatto, probabilmente mi sarei perduto; ma le mie inerenti tendenze mi condussero direttamente a domandarmi: “chi sono io?” (pag. 16 Ramana Maharshi Gli insegnamenti Astrolabio 1976)».
Quando espresse la sua intenzione di rinunciare a tutto per dedicarsi all’ascesi non fu preso sul serio.
Ramana scrisse degli inni di lode ad Arunachala in uno di questi canta:
«Fin dalla mia infanzia si rivelò alla mia comprensione che Arunacala era qualcosa di grandissimo. Anche quando venni a sapere da un altro che era Tiruvannamalai, non ne compresi il significato».
Il verso si riferisce a un episodio immediatamente precedente alla sua, chiamiamola tanto per intenderci, illuminazione. Ramana chiese a un parente in visita da dove venisse e quegli rispose da Arunachala. Il cuore di Ramana vibrò, inspiegabilmente, a quel nome e la sua anima si accese di gioia.
Ramana disse al fratello, il 29 agosto del 1896, a diciassette anni, che sarebbe andato a scuola per assistere a una lezione, il fratello lo pregò di prendere i soldi e pagare la retta della scuola. La zia gli diede i soldi per pagare la retta della scuola, ne prese una parte, tre rupie, e si diresse alla stazione ferroviaria. La famiglia era completamente all’oscuro delle sue decisioni. Fuggi, scappò da casa, senza dire nulla, lasciando solo un biglietto, attratto da un potentissimo magnete, il sacro monte Arunachala. Prima di andarsene scrisse un sibillino messaggio che tutt’ora si conserva al Ramana Ashramam:
«Io sono andato da questo luogo per cercare mio Padre come Egli comanda. È impresa degna. Pertanto, nessuno si addolori per ciò che questo ha fatto. È inutile spendere denaro per cercare questo. La quota non è stata ancora pagata: sono state lasciate due rupie (pag. 18 Ramana Maharshi il saggio di Arunacala T.M.P. Mahadevan».
Ramana consultò un vecchio atlante ferroviario e chiese il biglietto per la stazione più vicina a Tiruvannamalai. Se si fosse informato avrebbe scoperto che il treno arrivava fino a Tiruvannamalai e che il biglietto costava tre rupie. Scese a Viluppuram pensando di fare l’ultimo tratto a piedi. Pranzò in un albergo e, al momento di pagare, l’oste gli chiese quanto denaro avesse con se. Ramana disse che aveva solo due anna e l’oste non volle essere pagato e gli diede indicazioni per arrivare a Tiruvannamalai. Ramana avanzandogli un po’ di moneta prese il treno per Mambalappattu che era assai prossima a Tiruvannamalai. Camminò per dieci miglia e si fermò nel tempio di Arayanunallur. Mahadevan dice (pag 20) che qui ebbe la visione di una fulgida luce che avvolgeva l’intero luogo e che, svanita la visione, si immerse in meditazione. I sacerdoti lo scossero perché volevano chiudere il tempio ed egli li seguì, arrivati a un altro tempio tre miglia più avanti si immerse in meditazione. Ancora una volta i sacerdoti lo scossero per mandarlo via. Il tamburino del tempio, commosso, gli cedette la sua razione di cibo.
Il mattino seguente riprese a camminare e alla fine, dopo aver molto camminato, pensò che poteva vendere i suoi orecchini d’oro per procurare il denaro per il resto del viaggio e per un po’ di cibo. Si fermò davanti a una casa di un certo Muthukrishna Bhagavatar. Ricevette del cibo dalla padrona di casa e chiese al Bhagavatar di impegnare gli orecchini, gli disse che valevano venti rupie ma che a lui, per completare il pellegrinaggio, non occorreva tanto denaro, gli bastavano solo quattro rupie. Il Bhagavatar accetto gli orecchini e diede a Ramana la somma richiesta con un biglietto che gli avrebbe permesso di riscattarli. Ramana appena lascio la casa del Baghavatar strappò il biglietto.
Prese il treno al mattino, il primo di settembre del 1896, e arrivò, finalmente, a Tiruvannamalai. Raggiunse il grande tempio di Arunachalashvara. Alcuni come Mahadevan narrano che egli arrivo al sancta sanctorum del tempio e lì adorò il Lingam e che tutte le porte erano aperte ma il tempio era completamente vuoto. David Godman dice che egli abbraccio il lingam. Godman dice che il tempio era vuoto perché le porte erano chiuse e che si aprirono miracolosamente di fronte al giovane Ramana. Godman ricorda che il sacrario interno è sigillato da una massiccia serratura e che l’accesso al lingam è interdetto a chi non è addetto alle funzioni religiose che si trasmettono per via ereditaria. Queste circostanze non avrebbero avuto l’approvazione di essere pubblicate da Ramana sia perché egli non ha mai dato peso agli eventi soprannaturali che si verificavano accanto a lui, sia perché il suo abbraccio agli occhi dei sacerdoti del tempio sarebbe stato considerato un atto contaminante il Lingam e sarebbe stata necessaria la sua riconsacrazione (David Godman An introduction to Sri Ramana’s Life and Teachings http://davidgodman.org/). L’abbraccio con il Lingam avrebbe avuto l’effetto di placare un forte senso di bruciore nel corpo di Ramana che aveva iniziato a sentire fin dal momento della sua illuminazione.
Da allora, fino alla sua morte, Ramana non si allontanò mai da Tiruvannamalai. Anni dopo, ricordando ciò che gli era accaduto in questi primi anni, disse che all’inizio pensava che lo avesse colto una strana pur se piacevole malattia e sperava che non avrebbe dovuto essere ricoverato a causa di essa. Un altro pensiero è che avesse potuto essere posseduto da qualche sorta di spirito. Quello spirito che lo aveva chiamato a sé, esercitando una “azione misteriosa”, per lui era la sacra montagna di Arunachala.
«Oh, grande prodigio! Sta come un monte insensibile. Per chiunque è difficile capire la sua azione. Fin dalla mia infanzia si rivelò alla mia comprensione che Arunacala era qualcosa di grandissimo. Anche quando venni a sapere da un altro che era Tiruvannamalai, non ne compresi il significato. Quando, acquietando la mia mente, mi chiamò a sé, e io mi avvicinai, scoprì che era l’inamovibile (Ramana Maharshi otto strofe su Arunachala)».

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