Gian Giuseppe Filippi
Il Serpente e la Corda
Il Serpente e la Corda
Indice I Parte
Introduzione
1. Attuale situazione delle forme tradizionali e delle organizzazioni iniziatiche
2. L’induismo contemporaneo e le sue organizzazioni iniziatiche
3. La Conoscenza o esperienza intuitiva del Brahman
4. L’Intuizione che sorge dall’osservazione dei tre stati
5. Gli strumenti di conoscenza che rimuovono l’ignoranza
6. Alcune considerazioni sul metodo vedāntico: śrāvaṆa
7. Alcune considerazioni sul metodo vedāntico: manana
8. Alcune considerazioni sul metodo vedāntico: nididhyāsana
9. Significato vedāntico di Yoga
10. Gradi di discriminazione tra Sé e non-Sé
11. Da manana a nididhyāsana
12. Superamento delle opinioni erronee e delle difficoltà
13. Significato vedāntico di alcuni termini ricorrenti nei testi
I Parte
1. Attuale situazione delle forme tradizionali e delle organizzazioni iniziatiche
Dalla fine della seconda guerra mondiale lo sgretolamento
delle istituzioni tradizionali si è verifiata con velocità sempre crescente. Se
René Guénon affermava nel 1947 che molte porte si erano ormai chiuse, egli
stesso non avrebbe potuto immaginare la rovinosa situazione che si è prodotta
dopo la sua scomparsa.
È quindi opportuno aggiornare il quadro generale per cercare di distinguere ciò che si è definitivamente perduto da ciò che può essere ancora recuperato e in quale misura. Infine sarà necessario identificare le fonti di conoscenza ancora valide e quelle, rarissime, tuttora intatte.
È quindi opportuno aggiornare il quadro generale per cercare di distinguere ciò che si è definitivamente perduto da ciò che può essere ancora recuperato e in quale misura. Infine sarà necessario identificare le fonti di conoscenza ancora valide e quelle, rarissime, tuttora intatte.
In Europa occidentale, le istituzioni religiose latine, a
cui spettava il ruolo di ergersi a bastioni di saggezza in difesa dalle
degenerazioni descritte nell’Introduzione, alla fine si sono dimostrate
conniventi con esse e hanno concluso grottescamente nell’ignoranza e nella
stupidità[1] la loro corsa bimillenaria[2]. Altre forme più “orientali” di cristianesimo si trovano in una intrigante fase
di restaurazione, soprattutto nella loro forma slava, ferocemente perseguitata
per lunghi decenni dai regimi comunisti. La componente iniziatica, pur sempre
presente, vi si trova tuttavia in una forte fase di chiusura difensiva, a
tutela degli ultimi misteri gelosamente conservati, riducendo così il numero di
neofiti. Certo, questa attitudine, assai diffusa presso le organizzazioni
iniziatiche esicaste, monastiche o meno, delle chiese autocefale ortodosse,
copte, maronite, armene e altro ancora, corrisponde a una necessità e ha le sue
giustificazioni[3]. Ciò
non toglie che essa rappresenti comunque un grave segno dei tempi[4].
Trattando sempre di religioni tipiche dell’occidente,
ricorderemo che gran parte delle tendenze anomale del mondo in cui viviamo,
quali il marxismo e la psicanalisi, sono state prodotte in seno alla mistica
deviata di quel giudaismo considerato “ultraortodosso” da coloro che non hanno
idea di cosa sia l’ortodossia. Al contrario, l’autentica qabbalah, già
così rara nei secoli passati, oggi non dà più segni di vita, al punto tale da
essere oggetto di tentativi di restaurazione “accademica” di matrice assai
sospetta.
L’islām, che alcuni per errore di valutazione considerano
come una religione “orientale”[5], mentre, come ogni religione semitica “monoteistica”, è perfettamente
occidentale, da almeno quarant’anni è in preda a una inattesa situazione di
degenerazione rapidissima e devastante. Abbiamo assistito in questi più recenti
anni all’improvviso passaggio, nei paesi islamici, da regimi espressi
dall’antitradizione laica e profana, a regimi intesi a instaurare un ordine
“califfale” rovesciato d’ispirazione dichiaratamente contro-tradizionale.
Al suo interno, il tasawwuf esprime sempre più
raramente dei murshidun qualificati; e qualora, alla scomparsa dei
vecchi maestri, subentrino degli autentici shuyukh, la tendenza generalizzata
tra costoro consiste nell’evitare l’accettazione di nuovi discepoli in ragione
della scarsezza di qualificazioni presso le nuove generazioni. Quando invece,
alla scomparsa d’uno shaykh adepto succede un maestro privo delle
qualifiche minime richieste, la tendenza prevalente di quest’ultimo sarà quella
di occuparsi di problemi esteriori, della sharica più
letteralista e della politica più profana e antitradizionale, dedicandosi al
proselitismo e alla proliferazione di rappresentatanti (muqaddam), anche
con ampi reclutamenti, scelti preferentemente tra convertiti[6] europei e nordamericani[7]. I
“maestri”[8] contemporanei di questo tipo [9], ben
più gravemente dei preti latini, che, tutto sommato, hanno soltanto soffocato
sul letto di morte un agonico essoterismo, stanno corrompendo le vie
iniziatiche a cui hanno avuto incautamente accesso, spesso in favore di una sharica sempre più disastrosamente violenta, che persegue
ciecamente i devastanti piani d’invasione di Gog e Magog[10]. Ciò
non toglie che in molti angoli della terra dell’islam il tasawwuf sia ancora una realtà operante e questo spiega la ragione
per la quale esso sia sempre più frequentamente vittima di persecuzione sia da
parte di tutti gli Stati a maggioranza musulmana, dichiarati “islamici” o “laici”,
nessuno escluso, sia da parte di masse fanatizzate, per mezzo di progrom apparentemente spontanei.
In questa fin troppo rapida panoramica possiamo solamente
menzionare il miserevole rudere delle iniziazioni di mestiere del cattolicesimo
medievale, troppo compromesso, quando non protagonista dell’azione
contro-tradizionale. Se un progetto di raddrizzamento della tradizione
occidentale potesse ancora essere formulato, possibilità sempre fattibile anche
se viepiù improbabile, ciò non avverrà certamente con il sostegno della Libera
Muratoria o alla Chiesa “cattolica”[11].
La strada che conduce al dominio spirituale è diventata,
dunque, quasi impraticabile in Occidente ed estremamente ridotta in Oriente, se
questa divisione geografica può ancora avere alcun senso al tempo presente. Il
taoismo nella Cina continentale è stato infiltrato e controllato dal regime
comunista, che ha utilizzato a fini magici certe sue conoscenze di psichismo
inferiore, allo scopo di rafforzare il “Partito” e i suoi gerarchi, oltre ad ordire
una spietata guerra “sottile” contro i suoi nemici. La grave ribellione del
démone Dorje Shugden (Rdo-rje
shugs-ldan) contro
le gerarchie monastiche gelupa (dGe Lugs Pa) pilotata da Pechino, ne è una
prova sotto gli occhi di chiunque sappia vedere. Rimangono, naturalmente,
alcune organizzazioni taoiste ancora intatte fuori dal continente, in
particolare a Taiwan e Singapore, ma la loro perifericità dal centro e
l’allentamento della “solidarietà di razza”, così importante per l’efficacia
rituale della tradizione estremo orientale, non può non averne indebolito la
portata.[12]
Per gentile concessione del Comitato Redazionale Tridaṇḍa del sito Veda Vyāsa Maṇḍala e dell'Autore
[1] È davvero doloroso assistere al modo in cui
i sinceri devoti cattolici si aggrappano pateticamente all’illusione e alla
speranza che il cadavere della Chiesa Romana possa un giorno risorgere da
morte; vite religiose spezzate, vittime di una gerarchia che ha perso per
sempre ogni trasmissione, oltre al “ben dell’intelletto”. Costoro, invece
d’insistere a prestare voto di obbedienza ai fattivi seguaci dell’Avversario,
devono prendere atto che il “non
prevalebunt” è tuttora effettivo presso altre Chiese che hanno mantenuta
ritualmente la trasmissione apostolica.
[2] Non teniamo in alcuna considerazione, in
questo contesto, la religiosità protestantica, suddivisa nelle sue innumerevoli
sette, per il fatto che non può in alcun modo essere annoverata nell’ambito,
pur limitato spiritualmente, delle autentiche religioni, proprio per l’assenza
di ogni tradizione rituale, spirituale, conoscitiva e della trasmissione
apostolica.
[3] Naturalmente tutte le Chiese cristiane
orientali che, volenti o nolenti, hanno fatto atto di sottomissione a Roma, si
trovano nella medesima tragica condizione del cattolicesimo latino. Tuttavia,
godendo paradossalmente dell’abrogazione del latino come lingua liturgica
generale in favore dei volgari, scelta che è stata fatale per il rituale
romano, queste Chiese hanno potuto conservare la loro liturgia originaria nelle
lingue paleoslava, armena, aramea e altro ancora, mantenendo così ancora una
certa efficacia per i loro riti essoterici. Purtroppo lo stesso non può dirsi
dell’esoterismo, che la gerarchia latina con capisce, confondendolo con il
misticismo o con un preteso “gnosticismo”, e a cui è comunque sordamente
ostile.
[4] Potremmo osservare che la tradizione
tibetana, avendo fatto una simile scelta difensiva, ha garantito la continuità
di certe trasmissioni segrete anche dopo la perdita del suo centro spirituale
himalayano; ma contemporaneamente ha permesso l’entrata nel corpo del saṅga
d’una massa d’individui spaventosamente squalificati d’origine europea,
estremo-orientale o nordamericana, che ha provocato, di riflesso, anche un
repentino crollo intellettuale fra le più giovani generazioni monastiche in
esilio. Perciò alla gelosa preservazione della componente esoterica ha
corrisposto una evidente decadenza qualitativa della tradizione esteriore.
[5] Le sole rarissime turuq, che hanno elaborato una qualche forma di metafisica, possono
essere definite “orientali”, intendendo questo termine in senso simbolico e non
solamente geografico. Si tratta di vie iniziatiche che sono entrate in contatto
diretto con la Tradizione Primordiale.
[6] Con “convertiti” intendiamo coloro che sono
passati da un precedente stato profano all’essoterismo di una tradizione tale
da permettere o favorire un tale passaggio. Costoro, perciò, non essendosi
“collocati” nell’esoterismo dell’altra tradizione attraverso il suo centro,
portano le caratteristiche e gli attacamenti esteriori tipici delle
conversioni.
[7] In questo i pseudo guru “californiani” hanno fatto scuola. I discepoli occidentali,
soprattutto quelli di provenienza protestantica, che rappresentano anche una
importante fonte finanziaria, sono facilmente indotti all’adorazione acritica
del guru o dello shaykh per il loro atteggiamento fideistico cieco dovuto alle loro
radici culturali.
[8] Usiamo le virgolette in questo caso in
quanto la massima parte dei “maestri” di oggi sono in realtà dei facenti
funzioni, khulafā,
che non hanno raggiunto il grado di realizzazione corrispondente alla funzione
di shaykh o pīr; ciò spiega anche la deriva di quel tipo di turuq che stiamo
descrivendo.
[9] L’affermazione secondo la quale nessuna
organizzazione iniziatica islamica si trasferirebbe
o fonderebbe mai una sua diramazione fuori del dār al-islām è del tutto
valida e attuale; ciò è necessitato da quella organizzazione della geografia
sacra che nel medioevo cristiano era denominata “Feudi Celesti e feudi terreni”
e che è ancora una realtà attuale per il tasawwuf.
La totale ignoranza di questa concezione da parte dei vari autonominati “shuyukh”
europei conduce le loro pretese turuq a essere soltanto centri di
conversione essoterica, inducendo i loro proseliti a una inutile e disordinata
memorizzazione di simboli e dottrine “tradizionali” di fonte libresca al fine
di mantenere una parvenza “iniziatica”. Cfr.
Jean-Louis Gabin, L’idée que l’islam doit dominer la
planète, Vaux-le-Pénil, Vers la Tradition, n° Hors Série, Décembre 2016. È altrettanto evidente
il clamoroso fallimento della ripetizione di formule rituali iniziatiche
impartite in simili ambienti, davanti alla supponente ignoranza dottrinale e incapacità
metodica di tali pretesi “maestri”, i quali riescono solamente a convincere i
discepoli più illusi e manipolabili che certe “sensazioni” rappresentano il
raggiungimento d’una qualche “realizzazione”. Per distrarre dall’inefficacia di
tali rituali esoterici, si ricorre a una intensificazione dei riti essoterici
che, per loro natura, nulla hanno a che fare con la dimensione iniziatica. Dobbiamo tuttavia ammettere che l’azione di
tutti costoro è stata provvidenziale, poiché, attirando nelle loro cerchie i
“guénoniani” intellettualmente meno qualificati, hanno drenato parzialmente il
flusso di occidentali nelle fila delle autentiche turuq della terra d’islam. Infatti, a nostra diretta conoscenza,
alcune turuq, che hanno subito
massicce infiltrazioni di convertiti più o meno “guénoniani”, hanno subito una
rapida quanto inaspettata degenerazione.
[10] Non a caso la “lotta finale”, secondo la
tradizione tibetana, si svilupperà contro certe diaboliche correnti islamiche
provenienti da quello che è l’attuale Afghanistan.
[11] D’altra
parte, le pretese forme “iniziatiche ermetiche” d’origine rinascimentale
sopravvissute fino al giorno d’oggi, come quelle annunciate con alone di
mistero da Charbonneau, con la sospetta complicità di Jean Reyor, e ancora
recentemente date per buone da inquietanti “cacciatori di sette”, si sono poi
rivelate semplici pie confraternite religiose; proprio di quelle che
proliferano ancora a migliaia nelle aree “pretecnologiche” del cattolicesimo
dell’Italia meridionale, dell’Occitania, della Spagna e del Portogallo.
[12] Da qualche anno il
regime della Cina continentale ha riproposto, in chiave new age-maoista,
un “nuovo confucianesimo”, con pretese iniziatiche alternative a quelle del
taoismo e promotore dell’egemonia cinese sul pianeta. Il “pericolo giallo”
preconizzato tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, in definitiva oggi è
diventato reale. Il lettore non confonda il “nuovo confucianesimo”, con il
“neo-confucianesimo” che si formò sotto la guida di Chu Hsi durante la dinastia
Sung e che integrava in un’unica forma tradizionale confucianesimo, buddhismo e
taoismo.
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