René Guénon
Considerazioni sull'Iniziazione
XV - Sui riti iniziatici
Nel corso dell’esposizione di ciò che precede abbiamo già avuto continue occasioni di fare accenno ai riti, poiché essi costituiscono l’elemento essenziale per la trasmissione dell’influenza spirituale e per il ricollegamento alla «catena» iniziatica, sicché si può dire che ‑ senza i riti ‑ non potrebbe esistere alcuna iniziazione.
Ci tocca ora ritornare su tale questione dei riti per precisare alcuni punti particolarmente importanti; resta però sottinteso che non abbiamo assolutamente la pretesa di trattare qui in modo esaustivo dei riti in generale, della loro ragion d’essere, della loro funzione, delle differenti specie in cui essi si dividono, perché si tratta nuovamente di un argomento che richiederebbe, da solo, un intero volume.
È importante far subito notare che la presenza dei riti costituisce un carattere comune di tutte le istituzioni tradizionali, di qualsiasi tipo siano, tanto exoteriche quanto esoteriche, assumendo questi termini nel loro significato più ampio come da noi fatto già in precedenza. Tale carattere è una conseguenza dell’elemento «non-umano» essenzialmente implicato in simili istituzioni, giacché si può dire che i riti abbiano sempre come fine il mettere l’essere umano, direttamente o indirettamente, in rapporto con qualcosa che oltrepassa la sua individualità e appartiene ad altri stati di esistenza; è del resto evidente come non sia in tutti i casi necessario che la comunicazione che è in tal modo stabilita sia cosciente per essere reale, dal momento che essa avviene nel modo più abituale attraverso l’intermediazione di determinate modalità sottili dell’individuo, modalità nelle quali la maggioranza degli uomini sono attualmente incapaci di trasferire il centro della loro coscienza. Comunque sia ‑ sia che l’effetto sia apparente, sia che non lo sia, sia che esso sia immediato o che sia differito ‑, il rito porta sempre in se stesso la sua efficacia, a condizione ‑ questo è ovvio ‑ che sia eseguito in conformità con le regole tradizionali che assicurano la sua validità, e al di fuori delle quali esso sarebbe solo più una forma vuota e un vano simulacro; questa efficacia non ha però nulla di «meraviglioso» né di «magico», come qualcuno dice talvolta con chiara intenzione di denigrazione e di negazione, giacché essa è unicamente la conseguenza delle leggi nettamente definite secondo le quali agiscono le influenze spirituali, leggi delle quali la «tecnica» rituale non è tutto sommato se non l’applicazione e la messa in opera[1].
La considerazione sull’efficacia dei riti, fondata su leggi che non concedono il minimo spazio alla fantasia o all’arbitrarietà, è comune a tutti i casi senza alcuna eccezione; essa è vera tanto per i riti di natura exoterica quanto per i riti esoterici, e, fra i primi, tanto per i riti che appartengono a forme tradizionali non religiose quanto per i riti religiosi. A tal proposito, dobbiamo ancora ricordare, perché si tratta di un punto fra i più importanti, che tale efficacia ‑ come già abbiamo in precedenza spiegato ‑ è totalmente indipendente da quel che vale in se stesso l’individuo che compie il rito; in questo caso conta soltanto la funzione e non l’individuo in quanto tale; in altre parole, la condizione necessaria e sufficiente è che questi abbia ricevuto regolarmente il potere di effettuare il rito; poco importa che egli non ne capisca il vero significato, e addirittura che non creda alla sua efficacia; non per questo il rito cessa di essere valido se tutte le regole prescritte sono state opportunamente osservate[2].
Detto ciò, possiamo passare a quanto più direttamente concerne l’iniziazione, e osserveremo subito, a tal proposito, che il suo carattere rituale mette nuovamente in evidenza una delle differenze fondamentali che la separano dal misticismo, nel quale non esiste nulla del genere, cosa che si comprende senza difficoltà se ci si ricorda di quel che abbiamo detto riguardo alla sua «irregolarità». Si sarà forse tentati di obiettare che talvolta il misticismo sembra avere un legame più o meno diretto con l’osservanza di determinati riti; ma essi non gli sono affatto propri, poiché non si tratta, né più né meno, che dei riti religiosi ordinari; né del resto tale legame ha alcun carattere di necessità, in quanto ‑ di fatto ‑ è lungi dall’esistere in tutti i casi, mentre ‑ ripetiamo ‑ non c’è iniziazione senza riti speciali e appropriati. L’iniziazione, infatti, non è, come le realizzazioni mistiche, qualcosa che piova dalle nubi, se così ci si può esprimere, senza che si sappia né come né perché; essa è fondata al contrario su leggi scientifiche positive e su regole tecniche rigorose; su questo punto non si insisterà mai troppo, tutte le volte che se ne presenta l’occasione, per escludere qualsiasi possibilità di malinteso sulla sua vera natura[3].
Per quel che riguarda la distinzione tra i riti iniziatici e i riti exoterici, tutto quel che possiamo fare qui è solo indicarla piuttosto sommariamente, giacché, se dovessimo entrare nei particolari, la cosa rischierebbe di condurci assai lontano; in particolare, sarebbe necessario sviluppare tutte le conseguenze del fatto che i primi sono riservati e non riguardano che un’élite che possieda qualificazioni particolari, mentre i secondi sono pubblici e si rivolgono indistintamente a tutti i membri di un determinato ambiente sociale, il che indica chiaramente che, qualunque possano essere qualche volta le rassomiglianze apparenti, lo scopo in realtà non può essere il medesimo[4]. E di fatto, i riti exoterici non hanno quale fine, come i riti iniziatici, di aprire all’essere determinate possibilità di conoscenza, cosa per la quale non tutti sarebbero adatti; inoltre, è essenziale osservare che, quantunque facciano essi pure ricorso all’intervento di un elemento di natura sovraindividuale, la loro azione non è mai destinata a oltrepassare la sfera dell’individualità.
Questo è particolarmente percepibile nel caso dei riti religiosi, che possiamo assumere più in particolare come termine di paragone, in quanto sono i soli riti exoterici che conosca oggi l’Occidente: qualsiasi religione si propone unicamente di assicurare la «salvezza» dei suoi aderenti, finalità che è ancora d’ordine individuale e, in qualche modo per definizione, il suo punto di vista non va al di là di questo; gli stessi mistici hanno in vista sempre ed esclusivamente la «salvezza», mai la «Liberazione», mentre quest’ultima è ‑ al contrario ‑ lo scopo ultimo e supremo di ogni iniziazione[5].
Un altro punto d’importanza capitale è il seguente: l’iniziazione, qualunque sia il grado che di essa si consideri, rappresenta per l’essere che l’ha ricevuta un’acquisizione permanente, uno stato che, virtualmente o effettivamente, egli ha raggiunto una volta per tutte, e del quale nulla ormai potrà più privarlo[6]. Possiamo osservare che anche questa è una differenza nettissima tra l’iniziazione e gli stati mistici, i quali si presentano come qualcosa di passeggero e financo di fuggevole, dai quali l’essere esce così come vi era entrato, e che può persino non ritrovare mai più, cosa che si spiega con il carattere «fenomenico» di tali stati, che sono ricevuti dal di fuori ‑ in certo qual modo ‑, invece di provenire dall’«interiorità» stessa dell’essere[7]. Da ciò discende immediatamente la conseguenza seguente, che, cioè, i riti d’iniziazione conferiscono un carattere definitivo e incancellabile; lo stesso accade, del resto, in un’altra sfera, per i riti religiosi che per la medesima ragione non possono mai essere ripetuti per lo stesso individuo, e i quali sono per questa ragione stessa quelli che presentano l’analogia più accentuata con i riti iniziatici, al punto che li si potrebbe considerare ‑ in un certo senso ‑ quali una sorta di trasposizione di questi ultimi nell’ambito exoterico[8].
Un’altra conseguenza di quanto abbiamo appena detto è il punto seguente, che avevamo già indicato di sfuggita, ma sul quale vale la pena di insistere un po’ di più: la qualità iniziatica, una volta che sia stata ricevuta, non è assolutamente legata al fatto di essere membri attivi di questa o di quella organizzazione; effettuato che sia, il ricollegamento a un’organizzazione tradizionale non può più essere rotto per nessuna ragione, e permane anche quando l’individuo non abbia più con tale organizzazione nessuna relazione apparente, cosa che sotto questo profilo non ha che un’importanza del tutto secondaria. Già solo questo sarebbe sufficiente ‑ in assenza di qualsiasi altra considerazione ‑ a far vedere quanto profondamente le organizzazioni iniziatiche differiscano dalle associazioni profane, alle quali non possono essere accostate, o anche solo confrontate, in nessun modo: chi si ritiri da un’associazione profana o ne sia escluso non ha più nessun legame con essa e torna a essere esattamente quel che era prima che ne facesse parte; per contro, il legame costituito dal carattere iniziatico non dipende per nulla da contingenze quali possono essere una dimissione o un’esclusione, le quali sono di ordine semplicemente «amministrativo», come già abbiamo detto, e non hanno effetti se non sui rapporti esteriori; e se questi ultimi sono tutto nella sfera profana, ambito nel quale un’associazione non ha nient’altro da dare ai suoi membri, al contrario essi non sono, nell’ambito iniziatico, se non un mezzo del tutto accessorio, e assolutamente non necessario, se messo in rapporto con le realtà interiori che, sole, importano veramente. Crediamo che basti un po’ di riflessione per rendersi conto che tutto quel che abbiamo detto è di una totale evidenza; quel che stupisce è che si debba constatare ‑ come abbiamo dovuto fare noi in svariate occasioni ‑ una ignoranza pressoché generale su nozioni tanto semplici ed elementari[9].
[1] È appena il caso di dire che tutte le considerazioni che esponiamo qui si riferiscono esclusivamente ai veri riti ‑ quelli che possiedano, cioè, un carattere autenticamente tradizionale ‑, e che rifiutiamo nel modo più assoluto di attribuire il nome di riti a tutto quel che di essi è solo una parodia, vale a dire a cerimonie istituite in virtù di costumi puramente umani, il cui effetto ‑ se pure esse ne hanno uno ‑ in nessun caso va al di là della sfera «psicologica», nel senso più profano della parola; del resto, la distinzione tra riti e cerimonie è sufficientemente importante perché abbiamo da trattarne in modo più particolare più avanti.
[2] È perciò un errore grave quello di servirsi ‑ come abbiamo visto fare spesso a certo scrittore massonico, evidentemente molto soddisfatto di tale «trovata» piuttosto dubbia ‑ dell’espressione «giocare al rituale» parlando dell’effettuazione dei riti iniziatici da parte di individui che ne ignorano il significato e non cercano neppure di penetrarlo; un’espressione simile non si adatterebbe se non al caso di profani che simulassero i riti, non possedendo la qualità per effettuarli in modo valido; di fatto, in un’organizzazione iniziatica, per quanto degenerata essa possa essere per quanto riguardi la qualità dei suoi membri attuali, il rituale non è qualcosa a cui si possa giocare: esso è e rimane sempre una cosa seria e realmente efficace, anche all’insaputa di coloro che vi prendono parte.
[3] È a una simile tecnica, riguardante il maneggio delle influenze spirituali, che si riferiscono in modo proprio espressioni come quelle di «arte sacerdotale» e di «arte regale», che indicano le applicazioni rispettive delle corrispondenti iniziazioni; qui si tratta d’altro canto di scienza sacra e tradizionale, scienza che, pur se è sicuramente di un tipo del tutto differente da quello della scienza profana, è tuttavia non meno «positiva» di essa; anzi lo è in realtà molto di più se si interpreta tale parola nel suo vero senso, invece di distoglierla da esso abusivamente come fanno gli «scientisti» moderni.
[4] Segnaliamo a tal proposito l’errore degli etnologi e dei sociologi, che chiamano molto impropriamente «riti d’iniziazione» dei riti che riguardano semplicemente l’aggregazione dell’individuo a un’organizzazione sociale esteriore, e per i quali la sola qualificazione richiesta è costituita dal fatto di aver raggiunto una determinata età; ritorneremo del resto in seguito su questo punto.
[5] Se si dicesse, secondo la distinzione che preciseremo più avanti, che ciò è vero soltanto per i «grandi misteri», risponderemo che i «piccoli misteri», i quali effettivamente si arrestano ai confini delle possibilità umane, non costituiscono ‑ nei confronti dei primi ‑ se non uno stadio preparatorio e non sono un fine di per se stessi, mentre la religione si presenta come un tutto che è sufficiente a se stesso e non abbisogna di nessun ulteriore complemento.
[6] Precisiamo, perché non esistano possibilità di equivoci, che quel che stiamo dicendo deve intendersi riferito unicamente ai gradi d’iniziazione e non alle funzioni; queste ultime possono essere conferite a un individuo soltanto temporaneamente, o l’individuo può diventare inabile a esercitarle per molteplici ragioni; si tratta di due cose totalmente distinte, tra le quali occorre aver gran cura di non far confusione, giacché la prima è d’ordine puramente interiore, mentre la seconda ha rapporto con un’attività esteriore dell’essere, e questo spiega la differenza che stiamo delineando.
[7] Ciò ha rapporto con la questione della «dualità», che il punto di vista religioso necessariamente conserva, per il fatto stesso di riferirsi essenzialmente a ciò che nella terminologia indù è qualificato come «Non-Supremo».
[8] È noto che fra i sette sacramenti del Cattolicesimo ce ne sono tre che sono in queste condizioni e possono essere ricevuti soltanto una volta: il battesimo, la [cresima o] confermazione e l’ordine; è evidente l’analogia che il battesimo ha con un’iniziazione in quanto «seconda nascita», e la cresima [o confermazione] rappresenta in linea di principio l’accesso a un grado superiore; per quel che riguarda l’ordine, abbiamo già segnalato le rassomiglianze che si possono trovare in esso con riferimento alla trasmissione delle influenze spirituali, rassomiglianze che sono rese ancor più notevoli dal fatto che si tratta di un sacramento che non è ricevuto da tutti e richiede, come abbiamo detto, certe qualificazioni particolari.
[9] Volendo, a titolo di applicazione di ciò che abbiamo appena detto in finale, fornire l’esempio più semplice e più banale traendolo dalle organizzazioni iniziatiche, è del tutto inesatto che si parli di un «ex-Massone» come abitualmente si fa; un Massone dimissionario, o anche escluso, non fa più parte di nessuna Loggia e di nessuna Obbedienza, ma resta ciò nondimeno Massone; che lo voglia egli stesso o no, le cose non cambiano; e la prova di ciò è costituita dal fatto che se egli è in seguito «reintegrato», non viene iniziato di nuovo e non è fatto ripassare attraverso i gradi che abbia già ricevuto; per la qual ragione l’espressione inglese di «unattached Mason» è l’unica che si attagli in modo proprio a un caso del genere.
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