René Guénon
Considerazioni sull'Iniziazione
IX - Tradizione e trasmissione
Abbiamo fatto osservare in precedenza che la parola
«tradizione», nella sua accezione etimologica, tutto sommato non esprime altra
idea se non quella di trasmissione; in fondo, si tratta di qualcosa che è
perfettamente normale, e in accordo con l’applicazione che se ne fa quando si
parla di «tradizione» nel senso da noi inteso, e quel che abbiamo già spiegato
dovrebbe essere sufficiente a farlo capire con facilità; sennonché qualcuno ha
sollevato a tal proposito un’obiezione che ci ha mostrato la necessità di
insistere ulteriormente sulla questione, acciocché non possa permanere nessun
equivoco su tale punto essenziale.
L’obiezione è la seguente: oggetto di
trasmissione può essere qualsiasi cosa, ivi comprese quelle dal carattere più
profano; in tali condizioni, perché non si può parlare altresì di «tradizione»
per qualunque cosa che venga trasmessa ‑ quale ne sia la natura ‑, invece di
confinare l’uso di tale termine nel solo ambito che possiamo denominare
«sacro»?
Dobbiamo fare subito un’osservazione importante, la quale
riduce già di molto la portata della questione; essa è la seguente: se ci si
riferisce alle origini, tale questione non ha ragione di porsi, poiché la
distinzione tra «sacro» e «profano» che essa sottintende era allora
inesistente. In effetti, come abbiamo spesso avuto modo di spiegare, non esiste
una sfera propriamente profana, alla quale un certo ordine di cose appartenga
per sua natura specifica; in realtà quello che esiste soltanto è un punto di
vista che è profano, e tale punto di vista non è se non la conseguenza e il
prodotto di un certo processo degenerativo, esso stesso conseguenza della
marcia discendente del ciclo umano e del suo graduale allontanamento dallo
stato principiale. Per cui si può dire che prima di simile degenerazione, ossia
‑ in altre parole ‑, nello stato normale dell’umanità non ancora decaduta,
tutto avesse veramente un carattere tradizionale, giacché tutto vi era inteso
secondo la sua dipendenza essenziale nei confronti dei principi e in conformità
con essi; conseguentemente, in tale stato, una attività profana ‑ vale a dire
separata da questi principi, e che li ignorasse ‑ sarebbe stata qualcosa di
assolutamente inconcepibile; e questo financo per quanto appartiene al campo di
quella che oggi si è convenuto di chiamare la «vita ordinaria», o, piuttosto,
per quanto poteva allora corrispondervi, ma che appariva sotto una luce ben diversa
da quel che i nostri contemporanei intendono con tale espressione[1]. A maggior ragione questo valeva per tutto quel che riguarda le scienze, le arti
e i mestieri, per i quali tale carattere tradizionale si è conservato
integralmente per molto più tempo, e ancora si ritrova in ogni civiltà di tipo
normale, cosicché si potrebbe dire che la loro concezione profana è, a parte
l’eccezione che è forse il caso di fare fino a un certo punto per l’antichità
detta «classica», esclusivamente propria della sola civiltà moderna, che in
fondo non rappresenta, in quanto tale, se non l’ultimo stadio del processo
degenerativo di cui abbiamo parlato poco fa.
Se ora esaminiamo lo stato di fatto posteriore a tale degenerazione, possiamo chiederci perché in esso l’idea di tradizione escluda quel che è trattato come avente ormai un carattere profano, vale a dire quel che non ha più legame cosciente con i principi, per applicarsi solamente a ciò che ha conservato il suo carattere originario, con l’aspetto «trascendente» che comporta. Non è sufficiente constatare che è l’uso ad aver voluto così, per lo meno fino a che non si erano ancora prodotte le confusioni e le deviazioni tipicamente moderne sulle quali abbiamo attirato l’attenzione in altre occasioni[2]; è vero che l’uso modifica spesso il significato primitivo delle parole, e può in particolare aggiungere o togliere a esso qualcosa; ma pure ciò ‑ per lo meno quando si tratti di un uso legittimo ‑ deve avere la sua ragion d’essere, e, soprattutto in un caso come questo, tale ragione non può essere una ragione qualunque. Possiamo inoltre far rilevare che questo fatto non si contiene alle sole lingue che si servano della parola latina «tradizione»; in ebraico, la parola qabbalah, che ha esattamente il medesimo senso di «trasmissione», è parimenti riservata a denominare la tradizione come noi l’intendiamo, e financo, abitualmente ‑ in modo ancor più ristretto ‑, la sua parte esoterica e iniziatica, ossia ciò che vi è di più «interiore» e di più elevato nella tradizione stessa, ciò che ne costituisce in certo qual modo lo spirito; e anche questo fa vedere con evidenza come si sia in presenza di qualcosa di più importante e di più significativo di una semplice questione di uso, nel senso in cui quest’ultimo si può intendere quando si tratti soltanto di modificazioni qualsiasi del linguaggio corrente.
Una prima indicazione si deduce immediatamente dal fatto che, come dicevamo poco fa, ciò a cui si applica il nome «tradizione» è in fondo ‑ nella sua essenza propria se non necessariamente nella sua espressione esteriore ‑, rimasto tal quale era in origine; si tratta perciò effettivamente di qualcosa che è stato trasmesso, si potrebbe dire, da uno stato anteriore dell’umanità al suo stato presente. Inoltre, si può osservare che il carattere «trascendente» di tutto ciò che è tradizionale implica altresì una trasmissione in un altro senso, trasmissione che parte dai principi per essere comunicata allo stato umano; e questo senso si ricollega in certo qual modo con il precedente, evidentemente completandolo. Si potrebbe addirittura, riprendendo in quest’occasione i termini da noi usati in un altro studio[3], parlare sia di una trasmissione «verticale», dal sovraumano all’umano, sia di una trasmissione «orizzontale», attraverso gli stati o stadi successivi dell’umanità; la trasmissione verticale è però essenzialmente «intemporale», essendo solo la trasmissione orizzontale quella che implica una successione cronologica. Aggiungeremo inoltre che la trasmissione verticale, che assume questa caratteristica quando sia vista dall’alto in basso come abbiamo fatto noi poco fa, diventa, se la si guarda invece dal basso in alto, una «partecipazione» dell’umanità alle realtà di ordine principiale, partecipazione che in effetti è precisamente assicurata dalla tradizione sotto tutte le sue forme, poiché si tratta di ciò mediante cui l’umanità è messa in rapporto effettivo e cosciente con quel che è a essa superiore. La trasmissione orizzontale, dal canto suo, se la si considera risalendo il corso dei tempi, diventa propriamente un «ritorno alle origini», vale a dire una restaurazione dello «stato primordiale»; e noi abbiamo già segnalato in precedenza che tale restaurazione è precisamente una condizione necessaria acciocché, da qui, l’uomo possa poi elevarsi effettivamente agli stati superiori.
Ma c’è di più: al carattere di «trascendenza» che appartiene essenzialmente ai principi, e del quale partecipa in qualche misura tutto ciò che è a essi effettivamente ricollegato (cosa che si traduce nella presenza di un elemento «non-umano» in tutto quel che è propriamente tradizionale), si aggiunge un carattere di «permanenza» che esprime l’immutabilità di questi principi stessi e in modo analogo si comunica, in tutta la misura del possibile, alle loro applicazioni, anche quando queste ultime si riferiscano a campi contingenti. Questo non vuol dire, tuttavia, che la tradizione non sia capace di adattamenti indotti da determinate circostanze; sotto queste modificazioni, però, è conservata la permanenza per ciò che riguarda l’essenziale; e anche quando si tratti di contingenze, tali contingenze sono in qualche modo superate e «trasformate» a causa del loro stesso ricollegamento ai principi. Al contrario, quando ci si ponga dal punto di vista profano, il quale è caratterizzato, in un modo che del resto può essere soltanto negativo, dall’assenza di un tale ricollegamento, si è, se così si può dire, nella contingenza pura, con tutto ciò che quest’ultima comporta di instabilità e di variabilità incessante, e senza nessuna possibilità di uscirne; si tratta in certo qual modo del «divenire» ridotto a se stesso, e non è difficile constatare che in effetti le concezioni profane, di qualsiasi natura, sono soggette a un mutamento continuo, così come i modi agire che provengono dallo stesso punto di vista, e dei quali quella che riceve il nome di «moda» rappresenta l’immagine sotto tal riguardo più impressionante. Si può perciò concludere, in base a queste considerazioni, che la tradizione comprende non soltanto tutto quel che vale la pena di trasmettere, ma anche tutto quel che trasmesso può essere veramente, giacché il resto, ‑ quel che è privo del carattere tradizionale e che di conseguenza ricade nel punto di vista profano, è in tal misura dominato dal cambiamento, che qualsiasi trasmissione di esso diventa ben presto un «anacronismo» puro e semplice, o una «superstizione» ‑ nel senso etimologico della parola ‑, che non corrisponde più a nulla di reale né di valido.
Si capirà ora perché tradizione e trasmissione possono essere considerate, senza nessun abuso di linguaggio, pressoché alla stregua di due sinonimi o di due equivalenti, o perché ‑ per lo meno ‑ la tradizione, sotto qualunque aspetto la si guardi, costituisce quella che potrebbe esser detta la trasmissione per eccellenza. Del resto, se simile idea di trasmissione è in tal misura legata al punto di vista tradizionale da far sì che quest’ultimo abbia potuto trarne legittimamente la sua stessa denominazione, tutto ciò che abbiamo detto in precedenza della necessità di una trasmissione regolare per quanto appartiene alla sfera tradizionale, e più in particolare a quella iniziatica che non solo ne è parte integrante, ma addirittura «eminente», si ritrova ulteriormente rafforzato e ne acquisisce persino una sorta di evidenza immediata che dovrebbe ‑ avuto riguardo alla più semplice logica, e senza che si debba neppure far ricorso a considerazioni più profonde ‑, rendere decisamente impossibile qualsiasi contestazione su questo punto, sul quale sono del resto soltanto le organizzazioni pseudo-iniziatiche ad avere qualche interesse a conservare l’equivoco e la confusione, e ciò precisamente perché tale trasmissione è quella che fa loro difetto.
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