René Guénon
Considerazioni sull’Iniziazione
VII - Contro la commistione delle forme tradizionali
Come già abbiamo detto in un’altra occasione[1], secondo la tradizione indù ci sono due maniere opposte, l’una inferiore e l’altra superiore, di essere al di fuori delle caste: si può essere «senza casta» (avarna), in senso «privativo», ossia al di sotto di esse; e si può al contrario essere «di là dalle caste» (ativarna), ovvero al di sopra di esse, anche se questo secondo caso è senza paragoni più raro del primo, soprattutto nelle condizioni dell’epoca attuale[2]. In modo analogo si può altresì essere al di qua o al di là delle forme tradizionali: l’uomo «senza religione», ad esempio, quale si incontra abitualmente nel mondo occidentale moderno, è incontestabilmente nel primo caso; il secondo caso, invece, si attaglia esclusivamente a coloro che hanno preso effettiva coscienza dell’unità e dell’identità fondamentali di tutte le tradizioni; e, di nuovo, questo secondo caso può attualmente essere soltanto eccezionalissimo.
Occorre però comprender bene che, quando parliamo di coscienza effettiva, vogliamo dire che nozioni semplicemente teoriche su tale unità e tale identità, pur essendo certamente già lungi dall’esser trascurabili, sono totalmente insufficienti acciocché qualcuno possa ritenere di aver superato lo stadio nel quale è necessario adottare una forma determinata e aderirvi in modo rigoroso. Questo, beninteso, non significa assolutamente che chi sia in questa situazione non debba sforzarsi nello stesso tempo di comprendere le altre forme nel modo più completo e profondo possibile, ma soltanto che, in pratica, non deve far uso di mezzi rituali o d’altro tipo che appartengano a più forme diverse, cosa che, come dicevamo in precedenza, non solo sarebbe inutile e vano, ma addirittura nocivo e pericoloso sotto più di un riguardo[3].
Le forme tradizionali possono essere paragonate a strade che portano tutte a una stessa meta[4], le quali però, in quanto strade, sono nondimeno distinte; è evidente che non se ne possono seguire diverse per volta, e che, quando ci si sia immessi in una, è opportuno seguirla fino in fondo e senza deviare da essa, giacché il voler passare dall’una all’altra costituirebbe il miglior mezzo per non procedere realmente, se non addirittura per rischiare di perdersi del tutto. Soltanto chi sia giunto al termine domina con ciò stesso tutte le vie, e questo perché non ha più da seguirle; egli potrà perciò, se ne è il caso, praticare indistintamente tutte le forme, ma proprio perché le ha superate, e perché per lui esse sono ormai unificate nel loro principio comune. Generalmente, però, egli continuerà a questo punto ad attenersi esteriormente a una forma definita, non foss’altro che a modo di «esempio» per coloro che stanno intorno a lui e non sono arrivati al suo stesso punto; sennonché, se circostanze particolari si produrranno, che lo esigano, potrà anche, giustificatamente, partecipare ad altre forme, inteso che, nel punto in cui è, non ci sono più reali differenze. D’altra parte, dal momento che tali forme sono per lui unificate in questo modo, ciò non comporterà commistioni né confusioni di sorta, quali sono necessariamente provocate solo dalla diversità come tale; ma, ripetiamo. questo è unicamente il caso di colui che è effettivamente di là da tale diversità: per lui le forme non rivestono più il carattere di vie o di mezzi ‑ dei quali non ha più bisogno ‑, e non sopravvivono più se non in quanto espressioni della Verità una, espressioni delle quali è altrettanto legittimo servirsi a seconda delle circostanze quanto lo è il parlare lingue diverse per farsi capire da coloro a cui ci si rivolge[5].
Tutto ben sommato, tra questo caso e quello di una mescolanza illegittima delle forme tradizionali, passa tutta la differenza che già abbiamo indicato come caratteristica di quella che esiste, in generale, tra la sintesi e il sincretismo, ed era questa la ragione per cui era necessario, a tal proposito, precisare prima di tutto cosa bisognava intendere con quest’ultima. In effetti, colui che percepisce tutte le forme nell’unità stessa del loro principio ‑ come abbiamo detto or ora ‑ ha di esse, proprio per tale ragione, una visione essenzialmente sintetica, nel senso più rigoroso della parola; egli non può che situarsi ugualmente all’interno di tutte, anzi ‑ dovremmo dire ‑, nel punto che è per esse tutte il più interno, poiché è veramente il loro centro comune. Per riprendere il confronto di cui ci siamo serviti poco fa, tutte le strade, partendo da punti diversi, si avvicinano sempre di più tra di loro, mantenendosi però sempre distinte, fino a terminare in questo centro unico[6]; sennonché, viste da tale centro, esse non sono più in realtà se non altrettanti raggi emananti da esso, e mediante i quali esso è in rapporto con i punti molteplici della circonferenza[7]. I due sensi, uno inverso dell’altro, secondo i quali le stesse vie possono essere intese, corrispondono in modo esattissimo a quelli che sono i punti di vista rispettivi di colui che è «in viaggio» verso il centro e di colui che è arrivato a esso, e i cui stati sono di conseguenza, nel simbolismo tradizionale, spesso descritti precisamente come quelli del «viaggiatore» e del «sedentario». Quest’ultimo è anche confrontabile con quello di chi, posto in cima a una montagna, ne vede contemporaneamente, e senza doversi spostare, i differenti versanti, mentre colui che scala la stessa montagna non vede di essa che la parte che è più vicina a lui; ed è chiaramente evidente che soltanto la vista che ne ha il primo può essere detta sintetica.
Occorre però comprender bene che, quando parliamo di coscienza effettiva, vogliamo dire che nozioni semplicemente teoriche su tale unità e tale identità, pur essendo certamente già lungi dall’esser trascurabili, sono totalmente insufficienti acciocché qualcuno possa ritenere di aver superato lo stadio nel quale è necessario adottare una forma determinata e aderirvi in modo rigoroso. Questo, beninteso, non significa assolutamente che chi sia in questa situazione non debba sforzarsi nello stesso tempo di comprendere le altre forme nel modo più completo e profondo possibile, ma soltanto che, in pratica, non deve far uso di mezzi rituali o d’altro tipo che appartengano a più forme diverse, cosa che, come dicevamo in precedenza, non solo sarebbe inutile e vano, ma addirittura nocivo e pericoloso sotto più di un riguardo[3].
Le forme tradizionali possono essere paragonate a strade che portano tutte a una stessa meta[4], le quali però, in quanto strade, sono nondimeno distinte; è evidente che non se ne possono seguire diverse per volta, e che, quando ci si sia immessi in una, è opportuno seguirla fino in fondo e senza deviare da essa, giacché il voler passare dall’una all’altra costituirebbe il miglior mezzo per non procedere realmente, se non addirittura per rischiare di perdersi del tutto. Soltanto chi sia giunto al termine domina con ciò stesso tutte le vie, e questo perché non ha più da seguirle; egli potrà perciò, se ne è il caso, praticare indistintamente tutte le forme, ma proprio perché le ha superate, e perché per lui esse sono ormai unificate nel loro principio comune. Generalmente, però, egli continuerà a questo punto ad attenersi esteriormente a una forma definita, non foss’altro che a modo di «esempio» per coloro che stanno intorno a lui e non sono arrivati al suo stesso punto; sennonché, se circostanze particolari si produrranno, che lo esigano, potrà anche, giustificatamente, partecipare ad altre forme, inteso che, nel punto in cui è, non ci sono più reali differenze. D’altra parte, dal momento che tali forme sono per lui unificate in questo modo, ciò non comporterà commistioni né confusioni di sorta, quali sono necessariamente provocate solo dalla diversità come tale; ma, ripetiamo. questo è unicamente il caso di colui che è effettivamente di là da tale diversità: per lui le forme non rivestono più il carattere di vie o di mezzi ‑ dei quali non ha più bisogno ‑, e non sopravvivono più se non in quanto espressioni della Verità una, espressioni delle quali è altrettanto legittimo servirsi a seconda delle circostanze quanto lo è il parlare lingue diverse per farsi capire da coloro a cui ci si rivolge[5].
Tutto ben sommato, tra questo caso e quello di una mescolanza illegittima delle forme tradizionali, passa tutta la differenza che già abbiamo indicato come caratteristica di quella che esiste, in generale, tra la sintesi e il sincretismo, ed era questa la ragione per cui era necessario, a tal proposito, precisare prima di tutto cosa bisognava intendere con quest’ultima. In effetti, colui che percepisce tutte le forme nell’unità stessa del loro principio ‑ come abbiamo detto or ora ‑ ha di esse, proprio per tale ragione, una visione essenzialmente sintetica, nel senso più rigoroso della parola; egli non può che situarsi ugualmente all’interno di tutte, anzi ‑ dovremmo dire ‑, nel punto che è per esse tutte il più interno, poiché è veramente il loro centro comune. Per riprendere il confronto di cui ci siamo serviti poco fa, tutte le strade, partendo da punti diversi, si avvicinano sempre di più tra di loro, mantenendosi però sempre distinte, fino a terminare in questo centro unico[6]; sennonché, viste da tale centro, esse non sono più in realtà se non altrettanti raggi emananti da esso, e mediante i quali esso è in rapporto con i punti molteplici della circonferenza[7]. I due sensi, uno inverso dell’altro, secondo i quali le stesse vie possono essere intese, corrispondono in modo esattissimo a quelli che sono i punti di vista rispettivi di colui che è «in viaggio» verso il centro e di colui che è arrivato a esso, e i cui stati sono di conseguenza, nel simbolismo tradizionale, spesso descritti precisamente come quelli del «viaggiatore» e del «sedentario». Quest’ultimo è anche confrontabile con quello di chi, posto in cima a una montagna, ne vede contemporaneamente, e senza doversi spostare, i differenti versanti, mentre colui che scala la stessa montagna non vede di essa che la parte che è più vicina a lui; ed è chiaramente evidente che soltanto la vista che ne ha il primo può essere detta sintetica.
Inoltre, colui che non è al centro è necessariamente sempre in una posizione più o meno «esteriore», anche nei confronti della propria forma tradizionale, e a maggior ragione nei confronti delle altre; perciò, se vorrà ‑ ad esempio ‑ compiere riti che appartengano a più forme diverse, con la pretesa di usarli di concerto, sia gli uni che gli altri, come mezzi o «supporti» del suo sviluppo spirituale, in realtà egli potrà in tal modo soltanto associarli «dal di fuori», il che equivale a dire che ciò che farà non sarà nient’altro che sincretismo, visto che quest’ultimo consiste di fatto in una simile commistione di elementi disparati che nulla interviene a unificare veramente. Tutto ciò che abbiamo detto contro il sincretismo in generale vale perciò anche in questo caso particolare, anzi, addirittura con qualche aggravante: infatti, finché si tratti solo di teorie, la cosa ‑ pur se perfettamente insignificante e illusoria, e avente il semplice carattere di uno sforzo esercitato in pura perdita ‑, potrà per lo meno essere ancora relativamente inoffensiva; ma in questo caso, invece, a causa del contatto diretto che comporta, con realtà di un tipo più profondo, essa rischia di dare origine, in colui che agisca in tal modo, a una deviazione o a un arresto di quello sviluppo interiore in vista del quale egli credeva invece, assolutamente a torto, di procurarsi così facendo facilitazioni maggiori. È un caso abbastanza confrontabile con quello di chi, allo scopo di ottenere con più sicurezza una guarigione, utilizzasse contemporaneamente svariati medicamenti i cui effetti siano tali da neutralizzarsi o da annullarsi gli uni con gli altri, i quali potrebbero altresì generare talvolta tra di loro reazioni impreviste e più o meno dannose per l’organismo; esistono cose ciascuna delle quali è efficace quando se ne faccia un uso separato, ma che prese insieme sono invece radicalmente incompatibili.
Questo ci conduce alla precisazione di un altro punto: esso consiste nel fatto che, oltre alla ragione propriamente dottrinale che si oppone alla validità di qualsiasi commistione delle forme tradizionali, esiste anche un’altra considerazione che, per essere di un genere più contingente, non per questo cessa di avere un’importanza molto grande dal punto di vista che possiamo dire «tecnico». In effetti, anche supponendo che qualcuno si trovi nelle condizioni volute per praticare riti che appartengano a forme diverse, in modo tale che gli uni e gli altri abbiano effetti reali, il che implica naturalmente che abbia per lo meno qualche legame effettivo con ciascuna di tali forme, potrà avvenire ‑ e anzi avverrà quasi inevitabilmente nella maggior parte dei casi ‑ che questi riti faranno entrare in azione non solo influenze spirituali, ma pure, e financo in primo luogo, influenze psichiche che, non armonizzandosi fra di loro, si urteranno e provocheranno uno stato di disordine e di squilibrio che colpirà più o meno gravemente colui che le avrà imprudentemente suscitate; non è difficile capire come un simile pericolo sia fra quelli ai quali non è opportuno esporsi sconsideratamente. L’urto delle influenze psichiche è inoltre più particolarmente da temersi, da un lato, quale conseguenza dell’uso dei riti più esteriori, ossia di quelli che appartengono all’aspetto exoterico di tradizioni differenti, giacché è soprattutto sotto questo profilo che queste ultime si presentano esclusive le une delle altre, essendo la divergenza delle vie tanto maggiore quanto più esse sono prese lontano dal centro; dall’altro, anche se ciò può sembrare paradossale a coloro che non vi riflettano a sufficienza, l’opposizione sarà in tal caso tanto più violenta quanto maggiormente numerosi saranno i caratteri che le tradizioni a cui è fatto ricorso hanno in comune, come, ad esempio, nel caso di quelle che rivestono exotericamente la forma religiosa propriamente detta, giacché cose che tanto più differiscano tra di loro tanto meno sono suscettibili di entrare in conflitto proprio a causa di tale differenza; in quest’ambito, così come in qualunque altro, non può esistere lotta se non a condizione di porsi sullo stesso terreno. Su questo argomento non insisteremo oltre, ma c’è da sperare che il nostro avvertimento serva almeno per coloro che potrebbero esser tentati di mettere in opera simili mezzi discordanti; costoro non devono dimenticare che l’ambito spirituale è il solo in cui si sia al riparo da ogni attacco, perché in esso le stesse opposizioni non hanno più nessun senso, e che finché la sfera psichica non sia completamente e definitivamente superata, le peggiori disavventure possono sempre essere possibili, anche ‑ e forse dovremmo dire soprattutto ‑ per coloro che affermano con troppa risolutezza di non crederci.
Questo ci conduce alla precisazione di un altro punto: esso consiste nel fatto che, oltre alla ragione propriamente dottrinale che si oppone alla validità di qualsiasi commistione delle forme tradizionali, esiste anche un’altra considerazione che, per essere di un genere più contingente, non per questo cessa di avere un’importanza molto grande dal punto di vista che possiamo dire «tecnico». In effetti, anche supponendo che qualcuno si trovi nelle condizioni volute per praticare riti che appartengano a forme diverse, in modo tale che gli uni e gli altri abbiano effetti reali, il che implica naturalmente che abbia per lo meno qualche legame effettivo con ciascuna di tali forme, potrà avvenire ‑ e anzi avverrà quasi inevitabilmente nella maggior parte dei casi ‑ che questi riti faranno entrare in azione non solo influenze spirituali, ma pure, e financo in primo luogo, influenze psichiche che, non armonizzandosi fra di loro, si urteranno e provocheranno uno stato di disordine e di squilibrio che colpirà più o meno gravemente colui che le avrà imprudentemente suscitate; non è difficile capire come un simile pericolo sia fra quelli ai quali non è opportuno esporsi sconsideratamente. L’urto delle influenze psichiche è inoltre più particolarmente da temersi, da un lato, quale conseguenza dell’uso dei riti più esteriori, ossia di quelli che appartengono all’aspetto exoterico di tradizioni differenti, giacché è soprattutto sotto questo profilo che queste ultime si presentano esclusive le une delle altre, essendo la divergenza delle vie tanto maggiore quanto più esse sono prese lontano dal centro; dall’altro, anche se ciò può sembrare paradossale a coloro che non vi riflettano a sufficienza, l’opposizione sarà in tal caso tanto più violenta quanto maggiormente numerosi saranno i caratteri che le tradizioni a cui è fatto ricorso hanno in comune, come, ad esempio, nel caso di quelle che rivestono exotericamente la forma religiosa propriamente detta, giacché cose che tanto più differiscano tra di loro tanto meno sono suscettibili di entrare in conflitto proprio a causa di tale differenza; in quest’ambito, così come in qualunque altro, non può esistere lotta se non a condizione di porsi sullo stesso terreno. Su questo argomento non insisteremo oltre, ma c’è da sperare che il nostro avvertimento serva almeno per coloro che potrebbero esser tentati di mettere in opera simili mezzi discordanti; costoro non devono dimenticare che l’ambito spirituale è il solo in cui si sia al riparo da ogni attacco, perché in esso le stesse opposizioni non hanno più nessun senso, e che finché la sfera psichica non sia completamente e definitivamente superata, le peggiori disavventure possono sempre essere possibili, anche ‑ e forse dovremmo dire soprattutto ‑ per coloro che affermano con troppa risolutezza di non crederci.
[1] Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, cap. IX.
[2] Quest’ultimo era invece, come abbiamo indicato in una nota precedente, il caso normale per gli uomini dell’epoca primordiale.
[3] Ciò che diciamo qui deve permettere di capire meglio quanto dicevamo in precedenza della «giurisdizione» delle organizzazioni iniziatiche appartenenti a una forma tradizionale determinata: poiché l’iniziazione in senso stretto, ottenuta mediante il ricollegamento a una simile organizzazione, è propriamente un «inizio», è evidente che colui che la riceve è ancora molto lontano dal poter essere al di là delle forme tradizionali.
[4] Per essere rigorosamente esatti occorrerebbe aggiungere questo: a condizione che siano complete, vale a dire che comprendano non solo la parte exoterica, ma anche la parte esoterica e iniziatica; in linea di principio, le cose stanno del resto sempre così, ma di fatto può accadere che, per una specie di degenerazione, la seconda parte sia dimenticata e in qualche modo perduta.
[5] È precisamente questo che, dal punto di vista iniziatico, significa in realtà quello che è detto il «dono delle lingue», sul quale ritorneremo più avanti.
[6] Nel caso di una forma tradizionale diventata incompleta ‑ come spiegavamo poco fa ‑, si potrebbe dire che la strada si trova interrotta a un certo punto prima che raggiunga il centro, o, forse, ancora più esattamente, è impraticabile di fatto a partire da tale punto, punto che segna il passaggio dall’ambito exoterico all’ambito esoterico.
[7] È sottinteso che da questo punto di vista centrale, le vie che in quanto tali non sono più praticabili fino alla fine, come dicevamo nella nota precedente, non costituiscono affatto un’eccezione.
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