"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

lunedì 8 gennaio 2018

René Guénon, Considerazioni sull’Iniziazione - VIII - Sulla trasmissione iniziatica

René Guénon
Considerazioni sull’Iniziazione

VIII - Sulla trasmissione iniziatica

Abbiamo affermato prima che l’iniziazione propriamente detta consiste essenzialmente nella trasmissione di un’influenza spirituale, trasmissione che può effettuarsi soltanto per mezzo di un’organizzazione tradizionale regolare, per modo che non si può parlare di iniziazione al di fuori del ricollegamento a un’organizzazione di questo genere.
Abbiamo precisato che la «regolarità» doveva intendersi come tale da escludere tutte le organizzazioni pseudo-iniziatiche, ovverossia tutte le organizzazioni, qualunque siano le loro pretese e qualunque apparenza abbiano, che non sono effettivamente le depositarie di nessuna influenza spirituale, e di conseguenza non possono in realtà trasmettere nulla. È perciò facile capire l’importanza capitale che tutte le tradizioni attribuiscono a quella che viene denominata la «catena» iniziatica[1], vale a dire a una successione che assicuri in modo ininterrotto la trasmissione in questione; al di fuori di tale successione, infatti, l’osservanza stessa delle forme rituali sarebbe vana, poiché verrebbe a mancare l’elemento vitale che è essenziale per la loro efficacia.
Ritorneremo in seguito più in particolare sulla questione dei riti iniziatici, ma dobbiamo fin d’ora rispondere a un’obiezione che può sorgere a questo proposito: tali riti, si potrebbe dire, non posseggono di per se stessi un’efficacia che è loro connaturale? In effetti un’efficacia simile essi la posseggono, giacché se non fossero osservati, o se fossero alterati in qualcuno dei loro elementi essenziali, nessun risultato effettivo potrebbe essere ottenuto; sennonché, anche se si tratta di una condizione necessaria, essa non è tuttavia sufficiente, e occorre inoltre, perché tali riti abbiano il loro effetto, che siano effettuati da coloro che hanno competenza per compierli. D’altronde, ciò non è affatto tipico dei soli riti iniziatici, ma si applica altresì ai riti di tipo exoterico, ad esempio ai riti religiosi, i quali hanno similmente la loro efficacia propria, ma pure essi non possono essere compiuti in modo valido da chicchessia; è per questa ragione che, se un rito religioso richiede un’ordinazione sacerdotale, colui che non ha ricevuto tale ordinazione potrà aver cura di osservarne tutte le forme, potrà applicarvi pure la necessaria intenzione, ma non ne otterrà nessun risultato, in quanto non è portatore dell’influenza spirituale che deve operare assumendo quali supporti tali forme rituali[2].
Anche in riti di livello molto basso e riguardanti soltanto applicazioni tradizionali secondarie, quali ad esempio i riti di tipo magico, nei quali interviene un influsso che non ha più nulla di spirituale, ma è semplicemente psichico (intendendo con ciò, nel senso più generale, quanto appartiene all’ambito degli elementi sottili dell’individualità umana e di quel che a essi corrisponde nell’ordine «macrocosmico»), la produzione di un effetto reale è condizionata in molti casi da una certa trasmissione; e la più volgare stregoneria delle campagne potrebbe presentare a tal proposito esempi numerosi[3]. Non dobbiamo però insistere oltre misura su quest’ultimo punto, il quale è fuori del nostro argomento; se vi abbiamo fatto accenno è stato soltanto per far meglio comprendere che, a maggior ragione, una trasmissione regolare è indispensabile per permettere di eseguire in modo valido i riti che comportano l’azione di un’influenza di livello superiore che può esser detta in modo proprio «non-umana», caso che è sia quello dei riti iniziatici, sia quello dei riti religiosi.
Il punto essenziale è di fatto questo, ed è il caso che ci ritorniamo con una certa insistenza: abbiamo già detto che la costituzione di organizzazioni iniziatiche regolari non è a disposizione di semplici iniziative individuali, e la stessa cosa si può dire esattamente per quanto riguarda le organizzazioni religiose, giacché, tanto nell’uno come nell’altro caso, occorre la presenza di qualcosa che non può provenire dagli individui, essendo di là dall’ambito delle possibilità umane. I due casi si possono del resto riunire dicendo che, di fatto, si tratta di tutto l’insieme delle organizzazioni che possono essere qualificate come veramente tradizionali; si comprenderà così, senza che ci sia neppure bisogno di far intervenire altre considerazioni, perché noi rifiutiamo ‑ come si è verificato in più di un’occasione ‑ di attribuire il nome di tradizione a cose che non sono se non puramente umane, come abusivamente fa il linguaggio profano; non sarà inutile osservare che la stessa parola «tradizione» nel suo significato originario, non esprime null’altro se non questa idea di trasmissione che stiamo esaminando al presente, questione sulla quale ritorneremo del resto tra non molto.
Ora, si potrebbe, per maggior comodità, dividere le organizzazioni tradizionali in «exoteriche» ed «esoteriche», anche se questi due termini, a volerli intendere nel loro significato più preciso, non si applicano forse dappertutto con uguale esattezza; sennonché, per quanto abbiamo in vista attualmente, sarà sufficiente intendere come «exoteriche» le organizzazioni che, in una certa forma di civiltà, sono aperte indistintamente a tutti, e come «esoteriche» quelle che sono riservate a una élite, o, in altri termini, quelle nelle quali sono ammessi soltanto coloro che posseggono una «qualificazione» particolare. Queste ultime sono propriamente le organizzazioni iniziatiche; quanto alle altre, esse non comprendono solo le organizzazioni specificamente religiose, ma pure, come si vede nelle civiltà orientali, organizzazioni sociali che non hanno tale carattere di religioni, pur se sono come queste ricollegate a un principio d’ordine superiore, condizione che è in tutti i casi indispensabile perché esse possano essere riconosciute come tradizionali. D’altro canto, dal momento che non dobbiamo esaminare in questa sede le organizzazioni exoteriche in quanto tali, ma solamente per confrontare il loro caso con quello delle organizzazioni esoteriche o iniziatiche, possiamo contenerci alla considerazione delle organizzazioni religiose, poiché esse sono le sole di questo tipo a essere conosciute in Occidente, cosicché quel che ha rapporto con loro è più immediatamente comprensibile.
Diremo perciò quel che segue: qualsiasi religione, nel vero senso della parola, ha un’origine «non-umana» ed è organizzata in modo da conservare il deposito parimenti «non-umano» che possiede in virtù di tale origine; questo elemento, che è dell’ordine di quelle da noi chiamate influenze spirituali, esercita la sua azione effettiva per mezzo di riti appropriati, e l’esecuzione di questi riti, per essere valida, vale a dire per fornire un supporto reale all’influenza in questione, richiede una trasmissione diretta e ininterrotta in seno all’organizzazione religiosa. Se le cose stanno in questo modo a livello semplicemente exoterico (ed è sottinteso che ciò che diciamo non si rivolge ai «critici» negatori a cui alludevamo in precedenza, che hanno la pretesa di ridurre la religione a un «fatto umano» e l’opinione dei quali non abbiamo da prendere in considerazione, alla stregua di tutto ciò che in modo simile deriva soltanto da pregiudizi antitradizionali), a maggior ragione esse staranno così a un livello più elevato, ossia a livello esoterico. I termini di cui ci siamo serviti sono abbastanza ampi per potersi ancora applicare qui senza nessuna modificazione, sostituendo soltanto la parola «religione» con la parola «iniziazione»; l’intera differenza verterà sulla natura delle influenze spirituali che entrano in gioco (giacché molte sono ancora le differenze da fare in quest’ambito, nel quale in fondo noi comprendiamo tutto ciò che si riferisce a possibilità di ordine sovraindividuale), e soprattutto sulle finalità rispettive dell’azione da esse esercitata nell’uno e nell’altro caso.
Se per farci capire ancor meglio, ci riferiamo più in particolare al caso del Cristianesimo nel campo della religione, potremo aggiungere quanto segue: i riti d’iniziazione, che hanno quale fine immediato la trasmissione dell’influenza spirituale da un individuo all’altro, il quale, perlomeno in linea di principio, potrà a sua volta trasmetterla in seguito, sono esattamente paragonabili, sotto questo profilo, a riti di ordinazione[4]; e si può financo osservare che tanto gli uni quanto gli altri sono in modo analogo capaci di comportare diversi gradi, giacché la pienezza dell’influenza spirituale non è necessariamente comunicata d’un sol colpo con tutte le prerogative che essa comporta, in particolare per ciò che concerne l’attitudine attuale a esercitare questa o quella funzione nell’organizzazione tradizionale[5]. È nota l’importanza che nelle Chiese cristiane riveste la questione della «successione apostolica», ed è facile da capire, giacché, se si verificasse che tale successione si interrompesse, nessuna ordinazione potrebbe più esser valida, e di conseguenza la maggior parte dei riti sarebbero soltanto più vane formalità senza portata effettiva[6]. Coloro che, perfettamente a ragione, ammettono la necessità di tale condizione a livello religioso, non dovrebbero avere la minima difficoltà a capire come essa s’imponga altrettanto rigorosamente a livello iniziatico, o, detto in altri termini, come una trasmissione regolare, rappresentante la «catena» di cui parlavamo in precedenza, sia anche qui rigorosamente indispensabile.
Dicevamo poco fa che l’iniziazione deve avere un’origine «non-umana», giacché, a difetto di ciò, essa non potrebbe in alcun modo raggiungere il suo obiettivo finale, il quale supera l’ambito delle possibilità individuali; è questa la ragione per cui i veri riti iniziatici, come indicavamo prima, non possono essere riferiti ad autori umani, e, di fatto, non si conoscono mai uomini che siano i loro autori[7]; così come non si conoscono inventori ai simboli tradizionali, e per la stessa ragione, giacché tali simboli sono parimenti «non-umani» nella loro origine e nella loro essenza[8]; del resto, tra riti e simboli ci sono legami strettissimi, che saranno da noi esaminati più tardi. Si può dire, rigorosamente parlando, che in casi come questi non esiste origine «storica», poiché l’origine reale si situa in un mondo al quale non si applicano le condizioni di tempo e di luogo che definiscono i fatti storici in quanto tali; ed è questo il motivo per cui tali cose sfuggiranno sempre inevitabilmente ai metodi profani di ricerca, metodi che ‑ in qualche modo per definizione ‑ non possono dare risultati relativamente validi se non nella sfera puramente umana[9].
È facile capire, in simili condizioni, che il ruolo dell’individuo che conferisce l’iniziazione a un altro individuo è di fatto, e veramente, un ruolo di «trasmettitore», nel senso più esatto del termine; egli non agisce in quanto individuo, ma in quanto supporto di un influsso, che non appartiene all’ambito individuale; egli è unicamente un anello della «catena» il cui punto di partenza è fuori e di là dall’umanità. Per questo non può agire in nome proprio, ma in nome dell’organizzazione alla quale è ricollegato e dalla quale derivano i suoi poteri, ovvero ‑ ancor più esattamente ‑ in nome del principio che questa organizzazione rappresenta in modo visibile. Ciò spiega fra l’altro come l’efficacia del rito compiuto da un individuo sia indipendente dal valore proprio dell’individuo in quanto tale, cosa che vale parimenti per i riti religiosi; e ciò noi non lo intendiamo in senso «morale» ‑ senso che sarebbe troppo evidentemente privo di importanza trattandosi di una questione che è in realtà d’ordine esclusivamente «tecnico» ‑, ma nel senso che, quand’anche l’individuo in questione non possieda il grado di conoscenza necessario per comprendere il senso profondo del rito e la ragione essenziale dei suoi vari elementi, il rito non mancherà con ciò di avere il suo effetto completo, a patto che egli, essendo regolarmente investito della funzione di «trasmettitore». lo compia osservando tutte le regole prescritte, e con un’intenzione che la coscienza del suo ricollegamento all’organizzazione tradizionale è sufficiente a determinare. Da ciò proviene in modo immediato la conseguenza che, se anche un’organizzazione a un certo momento non comprende più se non iniziati «virtuali», come noi li abbiamo chiamati (e su questo argomento torneremo in seguito), essa sarà ciò nonostante in grado di continuare a trasmettere realmente l’influenza spirituale di cui è la depositaria; e a tal proposito la nota favola dell’«asino che porta le reliquie» è capace di un significato iniziatico degno di meditazione[10].
Per converso, la conoscenza pur completa di un rito, quando sia stata ottenuta al di fuori delle condizioni regolari, è totalmente priva di qualsiasi valore effettivo; è per tale ragione che, per scegliere un esempio semplice (visto che il rito qui si riduce essenzialmente alla pronuncia di una parola o di una formula), nella tradizione indù il mantra che sia stato appreso in modo diverso che non attraverso la bocca di un guru autorizzato è senza effetto alcuno, perché non è stato «vivificato» dalla presenza dell’influenza spirituale della quale è unicamente destinato a essere il veicolo[11]. Quel che diciamo si applica del resto per estensione, a uno o all’atro grado, a tutto ciò a cui sia legata un’influenza spirituale: è così che lo studio dei testi sacri di una tradizione, eseguito sui libri, non potrà mai supplire alla loro comunicazione diretta; ed è per tale ragione che anche là dove gli insegnamenti tradizionali siano stati più o meno completamente messi per iscritto, essi continuano ciò nonostante a essere l’oggetto regolare di una trasmissione orale, la quale, mentre è indispensabile a conferir loro il loro pieno effetto (dal momento che non si tratta soltanto di limitarsi a una conoscenza semplicemente teorica), assicura la perpetuazione della «catena» a cui è legata la vita stessa della tradizione. In condizioni diverse da questa, si avrebbe solo più a che fare con una tradizione morta, alla quale non è più possibile nessun ricollegamento effettivo; e se la conoscenza di quel che rimane di una tradizione può ancora avere un certo interesse teorico (al di fuori, beninteso, del punto di vista della semplice erudizione profana, il cui valore qui è nullo, e in quanto essa è capace di essere d’aiuto per la comprensione di certe verità dottrinali), essa non potrà essere di nessun beneficio diretto in vista di una qualsiasi «realizzazione»[12].
In tutte queste cose si tratta a tal punto della comunicazione di qualcosa di «vitale», che in India nessun discepolo può mai sedersi di fronte al guru, e ciò per evitare che l’azione del prâna che è legato al respiro e alla voce, esercitandosi troppo direttamente, provochi un urto troppo violento, urto che, di conseguenza, potrebbe non essere privo di pericoli, sotto il profilo psichico e financo fisico[13]. Tale azione è tanto più forte, di fatto, in quanto il prâna stesso, in un caso come questo, è soltanto il veicolo o il supporto sottile dell’influenza spirituale trasmessa dal guru al discepolo; e il guru, nella sua funzione propria, non ha da esser considerato quale un’individualità (giacché quest’ultima scompare allora veramente, salvo per il fatto di essere un semplice supporto), ma unicamente come il rappresentante della tradizione stessa, che egli in certo qual modo incarna nei confronti del suo discepolo; ed è in questo che consiste esattamente quel ruolo di «trasmettitore» di cui dicevamo prima.



[1] Formuliamo qui in modo esplicito la condizione dell’intenzione al fine di precisare chiaramente che i riti non possono essere oggetto di «esperienze» nel senso profano del termine; chi volesse effettuare un rito, di qualsiasi genere esso sia, per semplice curiosità e per sperimentarne gli effetti, potrà star sicuro in anticipo che il suo effetto sarà nullo.
[2] Neppure i riti che non richiedono espressamente simile ordinazione possono essere eseguiti indistintamente da tutti, giacché l’espressa adesione alla forma tradizionale a cui appartengono è in ogni caso una condizione indispensabile per la loro efficacia.
[3] Questa condizione della trasmissione si ritrova quindi persino nelle deviazioni della tradizione o nelle sue vestigia degenerate, e financo ‑ dobbiamo aggiungere ‑ nella sovversione, a propriamente parlare, che riguarda quella da noi denominata la «contro-iniziazione». Cfr. a tal proposito Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, capp. XXXIV e XXXVIII.
[4] Se diciamo «sotto questo profilo», è perché da un altro punto di vista la prima iniziazione, in quanto «seconda nascita», sarebbe paragonabile al rito del battesimo; è ovvio che le corrispondenze che si possono stabilire tra cose appartenenti a sfere tanto diverse devono essere necessariamente piuttosto complesse e non si lasciano ridurre a una specie di schema unilineare.
[5] Diciamo «attitudine attuale» per precisare che in questo caso si tratta di qualcosa di più della «qualificazione» preventiva, la quale può essere indicata come un’attitudine; si potrà di conseguenza dire che un individuo è atto all’esercizio delle funzioni sacerdotali se non ha nessuno degli impedimenti che gliene interdicono l’accesso, ma non sarà attualmente atto a esso se non avrà ricevuto effettivamente l’ordine. Osserviamo inoltre, a tal proposito, che l’ordine è il solo sacramento per cui siano richieste «qualificazioni» particolari, e in ciò esso è nuovamente comparabile con l’iniziazione, a condizione, beninteso, di tener sempre conto della differenza essenziale dei due ambiti exoterico ed esoterico.
[6] Di fatto, le Chiese protestanti che non ammettono le funzioni sacerdotali hanno soppresso quasi tutti i riti, o li hanno conservati solo a titolo di semplici simulacri «commemorativi»; e, tenuto conto della costituzione propria della tradizione cristiana, in una situazione simile non possono in effetti essere nulla di più. È noto inoltre a quali discussioni dia luogo la questione della «successione apostolica» per quanto riguarda la legittimità della Chiesa anglicana; ed è curioso osservare come gli stessi teosofisti, quando vollero costituire la loro Chiesa «cattolica libera», abbiano cercato prima di tutto di assicurarle il beneficio di una «successione apostolica» regolare.
[7] L’attribuzione che si constata talvolta di tali riti a personaggi leggendari, o più esattamente simbolici, non deve assolutamente esser considerata passibile di un significato «storico», ma conferma invece pienamente quel che stiamo dicendo ora.
[8] Le organizzazioni esoteriche islamiche si trasmettono un segno di riconoscimento che secondo la tradizione fu comunicato al Profeta dallo stesso arcangelo Gabriele; non si potrebbe indicare più chiaramente l’origine «non-umana» dell’iniziazione.
[9] Osserviamo a tal proposito che coloro che, con intenzioni «apologetiche», insistono su quella che chiamano, con un termine del resto piuttosto barbaro, la «storicità» di una religione, al punto di vedere in essa qualcosa di assolutamente essenziale, a cui subordinare talvolta financo le considerazioni dottrinali (mentre invece sono i fatti storici che non valgono veramente se non in quanto possono essere assunti come simboli di realtà spirituali), commettono un errore grave a detrimento della «trascendenza» di tale religione. Un errore simile, il quale del resto è il segno tangibile di una concezione abbastanza fortemente «materializzata» e dell’incapacità di elevarsi a una sfera superiore, può considerarsi una deplorevole concessione al punto di vista «umanistico», vale a dire individualistico e antitradizionale, che caratterizza propriamente lo spirito occidentale moderno.
[10] Si può anche osservare, a tal proposito, che le reliquie sono precisamente un veicolo di influenze spirituali; è questa la vera ragione del culto di cui esse sono oggetto, anche se è una ragione che non è sempre cosciente nei rappresentanti delle religioni exoteriche, i quali sembrano talvolta non rendersi conto del carattere molto «positivo» delle forze che maneggiano, ciò che d’altronde non impedisce a tali forze di agire effettivamente, persino a loro insaputa, quantunque forse con minor ampiezza di quanto potrebbero se fossero meglio dirette «tecnicamente».
[11] Segnaliamo di sfuggita, a proposito di tale «vivificazione» ‑ se così ci si può esprimere ‑ che la consacrazione dei templi, delle immagini e degli oggetti rituali ha lo scopo essenziale di farne il ricettacolo effettivo delle influenze spirituali senza la cui presenza i riti al quali essi devono servire sarebbero privi di efficacia.
[12] Questo completa e precisa ulteriormente quanto dicevamo in precedenza sulla vanità di un preteso ricollegamento «ideale» alle forme di una tradizione scomparsa.
[13] È questa anche la spiegazione della speciale disposizione dei sedili in una Loggia massonica, cosa che la maggior parte dei Massoni attuali è certamente ben lontana dal sospettare.

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