Le due vie
Se colui che Allâh ha gratificato della
Sua misericordia facendosi a lui conoscere e facendogli conoscere le realtà
essenziali del mondo superiore e del mondo inferiore, se nonostante ciò costui
comincia a desiderare la visione del mondo dell'occulto (‘alam al-ghayb), dell'Immaginazione assoluta (al-hayâl al-mutlaq)[2] e di
tutto ciò che sfugge alla percezione sensibile in fatto di forme illusorie, di
pure relazioni prive di esistenza oggettiva e prive di altra realtà che non sia
quella del vero Essere (al-wujûd al-haqq) giacché esse
sono soltanto Sue manifestazioni, Sue attribuzioni, Sue relazioni
oggettivamente non esistenti -, costui è in errore e viola le convenienze spirituali.
Sono tra coloro che Allah ha gratificato
della Sua misericordia facendosi loro conoscere e facendo loro conoscere la
realtà essenziale dell'universo attraverso il rapimento estatico e non
attraverso il viaggio iniziatico (‘alâ tarîqati-l-jadba, lâ 'alâ tarîq al-sulûk)[3].
Al “viaggiatore” (al-sâlik) viene dapprima svelato il mondo sensibile, indi il
mondo immaginativo. Dopo di che egli si innalza con la mente sino al cielo di
questo mondo, poi al secondo cielo, quindi al terzo, e così via sino al Trono
divino. Lungo l’intero percorso
continua nondimeno a far parte degli esseri spiritualmente velati, finché Allah
non Si fa conoscere da lui e non gli strappa il velo estremo. Egli ripercorre
allora all'indietro il medesimo cammino e vede le cose diversamente da come le
vedeva durante il tragitto precedente: solo allora le conosce con vera
conoscenza.
Tale via, benché sia la più alta e la più
perfetta, è molto lunga per il viaggiatore e lo espone a gravi pericoli[4]. Tutti
quegli svelamenti successivi sono infatti altrettante prove. Il viaggiatore si
lascerà fermare da esse oppure no? Alcuni si arrestano al primo svelamento, o
al secondo, e così di seguito sino all'ultima di queste prove. Se il
viaggiatore è tra coloro che la provvidenza divina ha predestinato al successo,
se persevera nella ricerca, se si ostina nella determinazione, se si allontana
da tutto ciò che non è la meta, ottiene la vittoria e la liberazione. In caso
contrario viene respinto dal grado cui è giunto e rinviato addirittura là ove
era partito, perdendo al contempo questo e l'altro mondo. Per tale motivo
l'autore delle Sentenze ha detto[5]: «Le
forme delle creature non si presentano al discepolo senza che gli araldi della
Verità lo interpellino per dirgli: “Ciò che cerchi è dinanzi a te! Noi siamo
solo tentazioni! Non renderti colpevole di infedeltà!”». Sullo stesso
argomento, uno dei maestri ha anche detto:
Ogniqualvolta vedi i gradi spirituali
dispiegare il loro fulgore
Allontanatene, come noi ce ne siamo
allontanati!
Quando simili esseri giungono infine alla
conoscenza che è loro meta, i veli vengono loro tolti al termine del percorso. La
via del rapimento estatico è invece la più breve e la più sicura. E per il
saggio esiste qualcosa che equivalga alla sicurezza? A queste due vie Dio ha
alluso nel versetto: «Ben presto saprete chi sono gli uomini che seguono la via
diritta e coloro che sono ben diretti» [Cor. 20,135]. Ciò significa: ben presto
vi sarà rivelato chi sono quelli che sono giunti alla conoscenza di Dio
percorrendo la via diritta, mediana e senza deviazioni, ossia la via di Allah e
del Suo Profeta; e quelli che sono stati “diretti”, ossia che sono giunti alla
conoscenza di Dio senza compiere il viaggio iniziatico tappa dopo tappa o in
modo analogo, bensì con il rapimento in Dio e il sostegno della Sua
misericordia: Colui che rientra in questo caso è “il desiderato” (al-murâd)[6],
termine il cui significato è
stato definito “colui al quale la volontà [o il “desiderio”: irâda] è stata strappata”, e ogni cosa è stata anticipatamente
predisposta a suo favore. Costui attraversa senza sforzo tutte le forme e tutte
le tappe. Il versetto non menziona coloro che non appartengono ad alcuna delle
due categorie, cioè coloro che non giungono alla conoscenza di Allah, né col
viaggio iniziatico né col rapimento estatico.
Un giorno fui colto da questo pensiero: “Come
vorrei che Allah mi avesse svelato il mondo
dell'Immaginazione assoluta!”. La riflessione mi occupò per due giorni
provocando in me uno stato di contrazione (qabq)[7].
Mentre invocavo Allah, Egli mi strappò a me stesso e proiettò su di me
la Sua parola: «Un inviato è venuto a voi di mezzo a voi stessi» [o ‘dalle
vostre stesse anime’: min anfusikum] e compresi che Dio aveva pietà di
quanto mi accadeva. In questo stato di contrazione, durante le preghiere
rituali, Gli rivolsi la seguente domanda: “O mio Dio, fammi realizzare ciò che
hanno realizzato le Genti della Vicinanza e guidami sulla via delle Genti del
Rapimento estatico”. Udii allora in me: “Ho già fatto questo!”. Mi destai
dall'incoscienza e, su quanto chiedevo, seppi o che il momento di attenerlo non era ancora arrivato o che la saggezza divina
aveva decretato non l'ottenessi; quindi ero in errore nel chiedere. Ero simile
a colui che il re convoca a corte e invita a sedergli al fianco per tenergli
compagnia e convesare insieme, e nonostante ciò costui desidera vedere i
custodi delle porte, gli stallieri e i servitori del re oppure divertirsi ai
mercati. Mi rivolsi allora ad Allah e gli chiesi di farmi realizzare, quanto a
conoscenza di Lui e della servitù, solo ciò in vista di cui Egli mi aveva
creato.
Un analogo pensiero mi balenò di nuovo
mentre mi trovavo a Medina - che Dio la benedica! Mi preparavo a invocare Dio
quando Egli mi strappò a me stesso e proiettò su di me la Sua parola: «E ti
abbiamo già dato i sette ripetuti, e il Corano glorioso. Non volgere dunque lo sguardo
verso ciò di cui abbiamo concesso il godimento ad alcuni gruppi dei loro».
[Cor. 15,87-88)[8].
Allorché ripresi i sensi, dissi: “Ciò mi basta! Ciò mi basta!”. L'assillo sparì
del tutto dalla mia mente, tanto che me ne ricordai solo molto più tardi.
[1] I sette ripetuti: espressione enigmatica che ha dato luogo a numerose interpretazioni, la più diffusa delle quali vede in ciò la Fâtiha, la sûra che fa da prologo al Corano e che comprende sette versetti (secondo alcuni commentatori, tali versetti sarebbero stati rivelati due volte; cfr. Suyûti, Itqân fî 'ulûm al-qur'ân [La perfezione nelle scienze coraniche], capitolo 11; Ibn 'Arabi, Fut., vol. II, p. 507, cita il caso di sûre rivelate due volte, ma non parla della Fâtiha). Non potendoci dilungare su tale problema, segnaliamo soprattutto l'interpretazione di Qâshâni (m. 1329) per il quale i sette ripetuti sono i sette attributi dell'Essenza (la vita, la scienza, la potenza, la volontà, l’udito, la vista, la parola), mentre il Corano glorioso menzionato subito dopo nel versetto simbolizza la stessa Essenza divina (Qâshâni, Tafsîr [Commentario], pubblicato sotto il nome di Ibn 'Arabi, Beirut,1968, vol. I, p. 670). Il «raddoppiamento» è allora un'allusione al riflesso nella persona dell'Uomo Perfetto, che è lo «specchio di Dio», dei sette attributi. Tuttavia l'Essenza, che trascende in senso assoluto ogni dualità, non si sdoppia: in pieno rigore metafisica, lo «specchio di Dio» non è «altro da Dio». Sulle interpretazioni proposte dagli orientalisti, v. E.I.2, s. v. Kur'ân, tomo V, pp. 403, 426.
[2] Ibn 'Arabi (Fut., vol. II, pp. 310-311) identifica l'Immaginazione assoluta con la «nuvola» (al-‘amâ) nella quale Dio ha dato forma a tutto ciò che non è Lui. I termini usati da Abd el-Kader in questa frase comprendono quindi sia il mondo della manifestazione informale sia il mondo della manifestazione formale soprasensibile. Tali gradi, pur essendo superiori a quello della comune manifestazione, sono comunque anch'essi privi di ogni natura reale rispetto all'Essere assoluto e costituiscono dunque pà l'uomo spirituale altrettante “tentazioni”.
[3] Sui concetti di jadba e di sulûk, v. Introduzione, pp. 19-20.
[4] L'aspetto pericoloso del viaggio iniziatico è trattato in maniera più precisa da Ibn 'Arabi, Risâlat al-anwâr (Epistola delle luci), Hyderabad 1948 (soprattutto pp. 9-13), e dal commento che ne ha fatto 'Abd al-Karim al-Jîlî (Damasco 1329 dell'egira, pp. 129 s.). Una traduzione in inglese di tale opera, con brani scelti del commento di Jîlî, è stata pubblicata da R. Terri Harris, Journey to the Lord of Power, New York 1981.
[5] Si tratta di Ibn 'Atâ Allâh (m. 1309), terzo shaykh della confraternita shadilita (tarîqa shâdhîlîya), le cui Sentenze (Hikam) riassumono con concisione pari a forza di regole fondamentali della Via. Le Hikam sono state tradotte in francese da padre Nwyia (Ibn 'Atâ Allâh et la Naissance de la confrérie shadhilite, Beirut 1972) e in inglese da V. Danner (Ibn ‘Atâ Allah, The Book of Wisdom, New York 1978). L'emiro cita a memoria e non letteralmente la sentenza 19 (per il testo esatto, v. Nwyia, op.cit., p. 95).
[6] Murâd («desiderato») si oppone tradizionalmente a murîd («desiderante») e, nel lessico del sufismo, indica il discepolo che intraprende il viaggio iniziatico. Al murâd viene strappata la volontà o il desiderio (Abd el-Kader mutua la definizione da Ibn 'Arabi, Ist., definizione 4), mentre il murîd compie uno sforzo per liberarsene (cfr. ivi, definizione 3). Tuttavia il primo di questi termini corrisponde a una realtà oggettiva, mentre il secondo esprime soltanto la percezione soggettiva dell'iniziato per quanto riguarda il suo caso spirituale: come sottolineano copiosamente i maestri, non vi è murîd che non sia anzitutto murâd, ossia desiderato da Dio.
[7] Sullo spasmo o contrazione (qabd), v. nota 6 al testo 36.
[8] Il termine awzajân, che abbiamo tradotto con groppi, indica più precisamente «coppie» o «paia»; esotericamente, va interpretato come un richiamo alla situazione degli esseri che vivono nel mondo della dualità senza avvertirne il carattere illusorio.
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