Il dhikr “Allâh Allâh” assicura la salvaguardia di questo mondo
Il Profeta, su di Lui la
Grazie e la Pace, ha detto: “L’Ora non si leverà fino a che sulla superfice
della terra vi avrà dimora qualcuno per dire “Allâh, Allâh”. Egli non si è
accontentato di una sola menzione di questo Nome, ma lo ha ripetuto due volte
per confermare che questo dhikr è
stato stabilito con un termine isolato, senza l’aggiunta di una qualche
attribuzione, mantenendone la hâ
finale non vocalizzata.
Si tratta in realtà di un commento della parola coranica: “Praticate il dhikr d’Allâh con costanza”, ossia ripetendone il Nome… e anche il commento della Parola divina: “E in verità il dhikr d’Allâh è più grande”[1]. In questo hadîth è menzionato il Nome “Allâh” ad esclusione di ogni altro; e ciò perché questo ha la funzione di spiegare agli uomini il senso (universale) della rivelazione fattagli. Se per l’uomo, il fatto di dire “Allâh, Allâh” non avesse per scopo che quello di assicurare la salvaguardia di questo mondo in cui questo dhikr è praticato, (il Profeta) non avrebbe ricollegato alla cessazione di questo dhikr la fine del mondo in seno a cui è praticato, ovverosia questo basso mondo (dunya). Questo dhikr è il nostro dhikr e quello del maestro che ci ha fatto entrare nella Via. Nessun altro dhikr ha una utilità comparabile. Quando Dio ha detto: “E in verità il dhikr d’Allâh è più grande”, Egli non ha menzionato la formula di alcun altro dhikr, a dispetto del loro numero. Le Genti di Allâh ne hanno fatto il loro unico dhikr e ciò ha prodotto nel loro cuore un effetto immenso (amran ‘azîman) che nessun altro dhikr potrebbe produrre. Un sapiente che si attenne all’esteriorità delle cose non poté cogliere l’utilità di questo dhikr argomentando col fatto che si tratta (grammaticalmente) di un soggetto (mubtada’) senza predicato (khabar), mentre tutti i soggetti ne richiedono uno. Ciò che gli si può rispondere è che il predicato non deve necessariamente stare nella frase enunciata: all’occorrenza, l’utilità si manifesta piuttosto presso colui che pratica l’invocazione, nel momento in cui la pratica attraverso questa parola (si vuole dire il Nome di “Allâh”) a esclusione di ogni altro. Questo dhikr, genera nell’interiorità di colui che invoca, la luce di uno svelamento che solo lui può creare; meglio ancora: è seguito da un “predicato” esteriore che non si manifesta in una parola proferita, come si verifica quando la relazione (grammaticale) concerne una realtà trascendente (il cui senso è inesprimibile), o ancora quando una lode è fatta per mezzo di un atto (e non con una parola).
Si tratta in realtà di un commento della parola coranica: “Praticate il dhikr d’Allâh con costanza”, ossia ripetendone il Nome… e anche il commento della Parola divina: “E in verità il dhikr d’Allâh è più grande”[1]. In questo hadîth è menzionato il Nome “Allâh” ad esclusione di ogni altro; e ciò perché questo ha la funzione di spiegare agli uomini il senso (universale) della rivelazione fattagli. Se per l’uomo, il fatto di dire “Allâh, Allâh” non avesse per scopo che quello di assicurare la salvaguardia di questo mondo in cui questo dhikr è praticato, (il Profeta) non avrebbe ricollegato alla cessazione di questo dhikr la fine del mondo in seno a cui è praticato, ovverosia questo basso mondo (dunya). Questo dhikr è il nostro dhikr e quello del maestro che ci ha fatto entrare nella Via. Nessun altro dhikr ha una utilità comparabile. Quando Dio ha detto: “E in verità il dhikr d’Allâh è più grande”, Egli non ha menzionato la formula di alcun altro dhikr, a dispetto del loro numero. Le Genti di Allâh ne hanno fatto il loro unico dhikr e ciò ha prodotto nel loro cuore un effetto immenso (amran ‘azîman) che nessun altro dhikr potrebbe produrre. Un sapiente che si attenne all’esteriorità delle cose non poté cogliere l’utilità di questo dhikr argomentando col fatto che si tratta (grammaticalmente) di un soggetto (mubtada’) senza predicato (khabar), mentre tutti i soggetti ne richiedono uno. Ciò che gli si può rispondere è che il predicato non deve necessariamente stare nella frase enunciata: all’occorrenza, l’utilità si manifesta piuttosto presso colui che pratica l’invocazione, nel momento in cui la pratica attraverso questa parola (si vuole dire il Nome di “Allâh”) a esclusione di ogni altro. Questo dhikr, genera nell’interiorità di colui che invoca, la luce di uno svelamento che solo lui può creare; meglio ancora: è seguito da un “predicato” esteriore che non si manifesta in una parola proferita, come si verifica quando la relazione (grammaticale) concerne una realtà trascendente (il cui senso è inesprimibile), o ancora quando una lode è fatta per mezzo di un atto (e non con una parola).
(Cheikh al-Akbar
Muhyî-d-Dîn Ibn ‘Arabî, Futûhât, chap. 361, Stazione spirituale
corrispondente alla Sura 23, estratto tradotto dall’arabo da Abd ar-Razzâq
Yahyâ (Gilis), Tawhîd et Ikhlâs, p.129).
Ibn Arabi era uno Shaytan così come coloro che lo seguono
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