La crisi del mondo moderno
Cap. 8 - L’invasione occidentale
Il disordine moderno, lo abbiamo già detto, ha avuto origine in Occidente e, fino a questi ultimi anni, vi era sempre rimasto strettamente localizzato; ma adesso si sta verificando un fatto la cui gravità non dev’essere sottovalutata: ed è che questo disordine si va estendendo dappertutto e sembra giungere fino in Oriente[1].
Certo, l’invasione occidentale non è una cosa del tutto recente, ma, fino ad oggi, essa si limitava ad una dominazione più o meno brutale esercitata nei confronti degli altri popoli, ed i cui effetti erano limitati all’ambito politico ed economico; nonostante tutti gli sforzi operati da una propaganda che rivestiva forme molteplici, lo spirito orientale era impenetrabile ad ogni deviazione e le antiche civiltà tradizionali rimanevano intatte.
Oggigiorno, invece, accade che sono certi Orientali ad essersi «occidentalizzati», più o meno completamente, ad aver abbandonato la loro tradizione per adottare tutte le aberrazioni dello spirito moderno; e questi elementi deviati, grazie all’insegnamento delle università europee ed americane, diventano nei loro paese causa di turbamento e di agitazione. D’altronde, non bisogna esagerarne l’importanza, almeno per il momento: in Occidente, si immagina volentieri che queste individualità chiassose, ma poco numerose, rappresentino l’Oriente attuale, mentre invece, nella realtà, la loro azione non è né tanto estesa né tanto profonda come si crede; una tale illusione si spiega facilmente: dal momento che non si conoscono i veri Orientali, i quali peraltro non cercano minimamente di farsi conoscere, quelli che appaiono sono i «modernisti», se li si può chiamare così, i soli che si mostrano al di fuori, che parlano, scrivono e si agitano in tutti i modi. D’altronde, non è meno vero che questo movimento antitradizionale possa guadagnare terreno, ed occorre prendere in considerazione tutte le eventualità, anche le più sfavorevoli; già lo spirito tradizionale, in qualche modo, si ripiega su se stesso, i centri ove esso si conserva integralmente divengono sempre più chiusi e più difficilmente accessibili; e questa generalizzazione del disordine corrisponde esattamente a ciò che deve accadere nella fase finale del Kali-Yuga.
Diciamolo chiaramente: dal
momento che lo spirito moderno è cosa puramente occidentale, coloro che ne sono
affetti, fossero anche Orientali di nascita, devono essere considerati, in
ordine alla loro mentalità, come degli Occidentali, poiché ogni idea orientale
è loro completamente estranea e la loro ignoranza nei confronti delle dottrine
tradizionali è la sola scusa della loro ostilità. Ciò che può sembrare strano e
perfino contraddittorio è il fatto che questi uomini, che si fanno sostenitori
dell’«occidentalismo» dal punto di vista intellettuale, o più esattamente
contro ogni vera intellettualità, appaiono talvolta come i suoi avversari dal
punto di vista politico; e tuttavia non v’è nulla di cui ci si debba
meravigliare. Infatti, costoro sono quelli che si sforzano di instaurare in Oriente
dei diversi «nazionalismi», ed ogni «nazionalismo» è necessariamente opposto
allo spirito tradizionale; se è vero che vogliono combattere la dominazione
straniera, è anche vero che vogliono farlo con gli stessi metodi
dell’Occidente, allo stesso modo con cui si combattono fra loro i diversi
popoli occidentali; e forse è proprio questo che costituisce la loro ragion
d’essere. In effetti, se le cose sono giunte al punto tale che l’impiego di
simili metodi è divenuto inevitabile, la loro messa in opera può essere
effettuata solo da elementi che hanno rotto ogni legame con la tradizione; è
dunque possibile che tali elementi vengano utilizzati transitoriamente per poi
essere eliminati al pari degli stessi Occidentali. D’altronde, sarebbe
abbastanza logico che le idee diffuse dagli Occidentali finissero col
ritorcersi contro di essi, poiché si tratta solo di fattori di divisione e di
rovina; ed è per questo che, in un modo o nell’altro, la civiltà moderna è
destinata a perire, poco importa che ciò accada per effetto dei dissensi
esistenti fra gli Occidentali stessi, dissensi fra le nazioni o fra le classi
sociali, oppure, come pretendono alcuni, per effetto degli attacchi degli
Orientali «occidentalizzati», o ancora in seguito ad un cataclisma provocato dal
«progresso delle scienze»; in tutti i casi, il mondo occidentale corre dei
rischi solo a causa di se stesso e a causa di ciò che ha prodotto.
La sola questione che si pone
è la seguente: a causa dello spirito moderno, l’Oriente subirà solo una crisi
passeggera e superficiale, oppure l’Occidente trascinerà l’intera umanità nella
sua caduta? Attualmente sarebbe difficile rispondere basandosi su delle
constatazioni che non lascino adito a dubbi; allo stato attuale, i due spiriti
opposti esistono entrambi in Oriente, e la forza spirituale, relativa alla
tradizione e misconosciuta dai suoi avversari, può trionfare sulla forza
materiale, una volta che questa abbia svolto il suo ruolo, e può farla svanire
come la luce fa svanire le tenebre; noi diciamo anzi che la forza spirituale
trionferà necessariamente, presto o tardi, ma è possibile che, prima di allora,
si abbia un periodo di completa oscurità. Lo spirito tradizionale non può
morire, perché esso, nella sua essenza, è superiore alla morte ed al cambiamento;
ma può ritirarsi interamente dal mondo esteriore, ed allora questo
corrisponderà veramente alla «fine di un mondo». Dopo tutto quello che abbiamo
detto, la realizzazione di questa eventualità, in un avvenire relativamente
poco lontano, non avrebbe nulla di inverosimile; e nella confusione che,
partita dall’Occidente, si estende attualmente in Oriente, si potrebbe vedere
l’«inizio della fine», il segno precursore del momento in cui, secondo la
tradizione indù, la dottrina sacra dev’essere racchiusa interamente in una
conca, per uscirne intatta all’alba del mondo nuovo.
Ma, ancora una volta,
lasciamo stare le anticipazioni e consideriamo solo gli avvenimenti attuali: è
incontestabile che l’Occidente ha invaso tutto; la sua azione, inizialmente, si
è esercitata nel dominio materiale, quello che era immediatamente alla sua
portata, sia a mezzo della conquista violenta sia tramite il commercio e
l’accaparramento delle risorse di tutti i popoli; ma attualmente le cose si
sono spinte ancora oltre. Gli Occidentali, sempre animati da quel bisogno di
proselitismo che è loro così proprio, hanno finito col far penetrare negli
altri, in una certa misura, il loro spirito antitradizionale e materialista; e
mentre la prima forma di invasione, in definitiva, si limitava solo ai corpi,
quest’ultima avvelena le intelligenze e uccide la spiritualità; d’altronde,
l’una ha preparata l’altra e l’ha resa possibile, di modo che, insomma, è con
la forza bruta che l’Occidente ha finito con l’imporsi dappertutto, poiché è in
questa forza bruta che risiede l’unica e reale superiorità della sua civiltà,
così inferiore da tutti gli altri punti di vista. L’invasione occidentale è
l’invasione del materialismo sotto tutte le sue forme e può essere solo questo;
tutti i mascheramenti più o meno ipocriti, tutti i pretesti «moralistici»,
tutte le declamazioni «umanitarie», tutta l’abilità di una propaganda che,
all’occasione, sa farsi insinuante per meglio ottenere i suoi scopi
distruttivi, non possono nulla di fronte a questa verità; verità che potrebbe
essere contestata solo da degli ingenui o da chi ha un qualunque interesse in
quest’opera veramente «satanica» nel senso più rigoroso del termine[2].
Cosa straordinaria: questo
momento in cui l’Occidente invade tutto, è lo stesso scelto da certuni per
denunciare, come un pericolo che li riempie di spavento, una pretesa
penetrazione di idee orientali in Occidente; che sarà mai questa nuova
aberrazione? Malgrado il nostro desiderio di attenerci a delle considerazioni
di ordine generale, non possiamo esimerci dallo spendere almeno qualche parola
a proposito della Difesa dell’Occidente pubblicata recentemente da Henri
Massis, la quale costituisce una delle manifestazioni, fra le più
caratteristiche, di questa condizione di spirito. Questo libro è pieno di
confusioni e perfino di contraddizioni, e dimostra una volta di più come la
maggior parte di coloro che vorrebbero reagire al disordine moderno siano poco
capaci di farlo in maniera veramente efficace, poiché non conoscono molto bene
neanche ciò che devono combattere. Talvolta l’autore nega di volersi richiamare
al vero Oriente, e se effettivamente si fosse attenuto ad una critica delle
fantasie «pseudo-orientali», vale a dire di quelle teorie puramente occidentali
che sono state diffuse con delle etichette fuorvianti e che sono solo uno dei
numerosi prodotti dello squilibrio attuale, non potremmo che approvarlo
pienamente, tanto più che noi stessi abbiamo segnalato, ben prima di lui, il
pericolo reale di questo genere di cose, al pari della loro inconsistenza dal
punto di vista intellettuale. Ma, sfortunatamente, in seguito egli sente il
bisogno di attribuire all’Oriente delle concezioni che non valgono certo più
delle prime, e per far questo egli si basa su delle citazioni tratte da alcuni
orientalisti, più o meno «ufficiali», nelle quali le dottrine orientali sono
deformate fino alla caricatura, come accade ordinariamente; che ne direbbe se
qualcuno usasse lo stesso procedimento nei confronti del Cristianesimo,
pretendendo di giudicarlo in base ai lavori degli «ipercritici» universitari? È
esattamente ciò che egli fa nei confronti delle dottrine dell’India e della
Cina, con l’aggravante che gli Occidentali di cui invoca la testimonianza non
hanno la minima conoscenza diretta di tali dottrine, mentre i loro colleghi che
si occupano del Cristianesimo devono almeno conoscerlo in una certa misura,
anche se l’ostilità nei confronti di tutto ciò che è religioso impedisce loro
di comprenderlo veramente. D’altronde, con l’occasione, dobbiamo dire che
talvolta abbiamo avuto delle difficoltà per far ammettere a degli Orientali che
le esposizioni di tale o di tal altro orientalista derivano da una
incomprensione pura e semplice e non da un partito preso cosciente e
volontario, si pensi fino a che punto si percepisce in tali lavori quella
stessa ostilità che è tipica dello spirito antitradizionale; e vorremmo
chiedere volentieri a H. Massis se crede che attaccare la tradizione altrui sia
la cosa più accorta per chi vorrebbe restaurarla nel proprio paese. Parliamo di
accortezza perché, in fondo, tutta la discussione del Massis è condotta sul terreno
politico; per noi che ci poniamo da un punto di vista del tutto diverso, quello
dell’intelligenza pura, la sola questione che si pone è una questione di
verità; ma questo punto di vista è indubbiamente troppo elevato e troppo sereno
perché i polemisti vi possano trovare la loro soddisfazione, e dubitiamo
perfino che, in quanto polemisti, la cura della verità possa occupare un gran
posto fra le loro preoccupazioni[3].
H. Massis se la prende con quelli che chiama i «propagandisti orientali», espressione che contiene in se stessa una contraddizione, poiché lo spirito di propaganda, lo abbiamo già ripetuto più volte, è una cosa tutta occidentale; e basta questo per indicare chiaramente che in tutto ciò vi è dell’equivoco. In effetti, fra i propagandisti in questione noi possiamo distinguere due gruppi, di cui il primo è costituito da dei puri Occidentali: se non fosse indice della più deplorevole ignoranza delle cose dell’Oriente, sarebbe veramente comico vedere annoverati fra i rappresentanti dello spirito orientale dei Tedeschi e dei Russi; nei loro confronti l’autore esprime delle considerazioni di cui alcune sono molto giuste, ma perché non presenta chiaramente costoro per ciò che sono in realtà? In questo primo gruppo noi comprendiamo anche i «teosofisti» anglosassoni e tutti gli inventori delle altre sette dello stesso genere, la cui terminologia orientale è solamente una maschera destinata ad imporsi agli ingenui ed ai male informati, maschera che ricopre delle idee tanto estranee all’Oriente per quanto sono care all’Occidente moderno; d’altronde, costoro sono molto più pericolosi dei semplici filosofi, a causa delle loro pretese nei confronti di un «esoterismo» che non possiedono minimamente, ma che simulano fraudolentemente per attrarre tutti coloro che cercano qualcosa di diverso dalle speculazioni «profane» e che in mezzo al caos presente non sanno a chi indirizzarsi; noi ci stupiamo un po’ del fatto che H. Massis non ne parli quasi per niente. Quanto al secondo gruppo, vi si possono trovare alcuni di quegli Orientali occidentalizzati di cui parlavamo prima, i quali, ignorando al pari dei primi le vere idee orientali, non sarebbero certamente in grado di diffonderle in Occidente, ammesso che ne abbiano l’intenzione; del resto, lo scopo che costoro si propongono realmente è proprio l’opposto, poiché esso consiste nel distruggere queste stesse idee in Oriente e, al tempo stesso, nel presentare agli Occidentali il loro Oriente modernizzato, in accordo con le teorie che sono state loro insegnate in Europa ed in America; veri agenti della più nefasta di tutte le propagande occidentali, di quella che si volge direttamente all’intelligenza, è per l’Oriente che essi sono un pericolo e non per l’Occidente, di cui invece sono il riflesso. Per quanto riguarda i veri Orientali, H. Massis non ne nomina uno solo, e sarebbe stato ben difficile farlo, visto che sicuramente non ne conosce nessuno; l’impossibilità di citare il nome di un Orientale che non sia occidentalizzato avrebbe dovuto farlo riflettere e fargli comprendere che i «propagandisti orientali» sono del tutto inesistenti.
H. Massis se la prende con quelli che chiama i «propagandisti orientali», espressione che contiene in se stessa una contraddizione, poiché lo spirito di propaganda, lo abbiamo già ripetuto più volte, è una cosa tutta occidentale; e basta questo per indicare chiaramente che in tutto ciò vi è dell’equivoco. In effetti, fra i propagandisti in questione noi possiamo distinguere due gruppi, di cui il primo è costituito da dei puri Occidentali: se non fosse indice della più deplorevole ignoranza delle cose dell’Oriente, sarebbe veramente comico vedere annoverati fra i rappresentanti dello spirito orientale dei Tedeschi e dei Russi; nei loro confronti l’autore esprime delle considerazioni di cui alcune sono molto giuste, ma perché non presenta chiaramente costoro per ciò che sono in realtà? In questo primo gruppo noi comprendiamo anche i «teosofisti» anglosassoni e tutti gli inventori delle altre sette dello stesso genere, la cui terminologia orientale è solamente una maschera destinata ad imporsi agli ingenui ed ai male informati, maschera che ricopre delle idee tanto estranee all’Oriente per quanto sono care all’Occidente moderno; d’altronde, costoro sono molto più pericolosi dei semplici filosofi, a causa delle loro pretese nei confronti di un «esoterismo» che non possiedono minimamente, ma che simulano fraudolentemente per attrarre tutti coloro che cercano qualcosa di diverso dalle speculazioni «profane» e che in mezzo al caos presente non sanno a chi indirizzarsi; noi ci stupiamo un po’ del fatto che H. Massis non ne parli quasi per niente. Quanto al secondo gruppo, vi si possono trovare alcuni di quegli Orientali occidentalizzati di cui parlavamo prima, i quali, ignorando al pari dei primi le vere idee orientali, non sarebbero certamente in grado di diffonderle in Occidente, ammesso che ne abbiano l’intenzione; del resto, lo scopo che costoro si propongono realmente è proprio l’opposto, poiché esso consiste nel distruggere queste stesse idee in Oriente e, al tempo stesso, nel presentare agli Occidentali il loro Oriente modernizzato, in accordo con le teorie che sono state loro insegnate in Europa ed in America; veri agenti della più nefasta di tutte le propagande occidentali, di quella che si volge direttamente all’intelligenza, è per l’Oriente che essi sono un pericolo e non per l’Occidente, di cui invece sono il riflesso. Per quanto riguarda i veri Orientali, H. Massis non ne nomina uno solo, e sarebbe stato ben difficile farlo, visto che sicuramente non ne conosce nessuno; l’impossibilità di citare il nome di un Orientale che non sia occidentalizzato avrebbe dovuto farlo riflettere e fargli comprendere che i «propagandisti orientali» sono del tutto inesistenti.
Peraltro, benché la cosa ci
costringa a parlare di noi stessi, il che rientra assai poco nelle nostre
abitudini, dobbiamo dichiarare formalmente che, a quanto ci risulta, non v’è
nessuno che abbia esposto in Occidente delle idee orientali autentiche, salvo
noi stessi; e noi lo abbiamo sempre fatto esattamente come l’avrebbe fatto ogni
Orientale che fosse stato spinto dalle circostanze: vale a dire senza la minima
intenzione di «propaganda» o di «volgarizzazione», e unicamente per coloro che
sono in grado di comprendere le dottrine esattamente come esse sono, senza
snaturarle col pretesto di metterle alla loro portata; e aggiungiamo che,
malgrado la decadenza dell’intellettualità occidentale, coloro che comprendono
sono ancora meno rari di quanto avremmo supposto, pur rimanendo evidentemente
una piccola minoranza. Una tale iniziativa non è certo del genere di quelle
immaginate da H. Massis, non osiamo dire per i bisogni della sua causa anche se
il carattere politico del suo libro possa autorizzare una simile espressione, e
per essere il più benevoli possibile, diciamo che egli le immagina perché il suo
spirito è turbato dalla paura che scaturisce in lui dal presentimento di una
rovina, più o meno prossima, della civiltà occidentale, e ci rammarichiamo che
non abbia saputo vedere con chiarezza ove si trovano le vere cause che
condurranno ad una tale rovina, nonostante talvolta riesca a dar prova di
giusta severità nei confronti di certi aspetti del mondo moderno. Ed è proprio
questo che rende continuamente oscillante la sua tesi: da un lato, non sa
esattamente quali sono gli avversari che dovrebbe combattere, e dall’altro, il
suo «tradizionalismo» lo rende parecchio ignorante circa l’essenza stessa della
tradizione, che egli confonde chiaramente con una sorta di «conservatorismo»
politico-religioso dell’ordine più esteriore.
Abbiamo detto che lo spirito
di H. Massis è turbato dalla paura; la miglior prova è costituita, forse,
dall’attitudine straordinaria, e perfino del tutto inconcepibile, che egli
attribuisce ai suoi cosiddetti «propagandisti orientali»: costoro sarebbero
animati da un odio feroce nei confronti dell’Occidente, ed è per rovinarlo che
si sforzerebbero di comunicargli le loro dottrine, vale a dire di fargli dono
di ciò che loro stessi hanno di più prezioso, di ciò che costituisce in qualche
modo la sostanza stessa del loro spirito! A fronte di tutto quello che vi è di
contraddittorio in una ipotesi siffatta, non ci si può impedire di provare un
profondo stupore: tutta la tesi faticosamente imbastita crolla istantaneamente,
e sembra che l’autore non se ne sia neanche accorto, poiché non vogliamo
supporre che abbia avuto coscienza di una tale inverosimiglianza e che, per
farla accettare ai suoi lettori, abbia semplicemente contato sul loro poco
discernimento. Non occorre riflettere né a lungo né profondamente per rendersi
conto che, se vi fossero degli uomini che odiano così ferocemente l’Occidente,
la prima cosa che essi farebbero è di conservare gelosamente le proprie
dottrine per se stessi, esercitando tutti i loro sforzi per interdirne
l’accesso agli Occidentali; e peraltro è proprio questo il rimprovero che
talvolta è stato mosso agli Orientali, con una maggiore apparente ragione.
Tuttavia, la verità è ben
diversa, gli autentici rappresentanti delle dottrine tradizionali non provano
odio per nessuno e la loro riservatezza è dovuta ad un solo motivo: essi
giudicano perfettamente inutile esporre certe verità a coloro che sono incapaci
di comprenderle; ma non si sono mai rifiutati di comunicarle a coloro che,
indipendentemente dalla loro origine, possiedono le «qualificazioni» richieste;
ed è colpa loro se fra questi ultimi vi sono pochissimi Occidentali? D’altra
parte, se la massa degli Orientali, dopo aver per lungo tempo considerato con
indifferenza gli Occidentali, ha finito con l’esser loro ostile, chi ne è
responsabile? Forse quell’élite che, dedita alla contemplazione intellettuale,
si tiene decisamente al di fuori dell’agitazione esteriore o piuttosto non ne
sono responsabili gli stessi Occidentali, che hanno fatto di tutto per rendere
odiosa ed intollerabile la loro presenza? Basta porre la questione in questi
termini, che sono quelli in cui va posta, perché chiunque sia in grado di darvi
una risposta immediata; ed anche ammettendo che gli Orientali, i quali fino ad
oggi hanno dato prova di un’incredibile pazienza, volessero infine essere
padroni di se stessi, chi mai potrebbe pensare sinceramente di biasimarli? Vero
è che quando intervengono certe passioni, le stesse cose, a seconda delle
circostanze, possono essere valutate in maniera molto diversa e perfino
opposta: infatti, quando la resistenza ad una invasione straniera è attuata da
un popolo occidentale, ecco che si chiama «patriottismo» e diviene degna di
ogni elogio; mentre quand’è un popolo orientale a metterla in atto, viene
chiamata «fanatismo» o «xenofobia» e non merita che odio o disprezzo.
D’altronde, non è proprio in nome del «Diritto», della «Libertà», della
«Giustizia» e della «Civiltà» che gli Europei pretendono di imporre dappertutto
la loro dominazione e pretendono di interdire a tutti gli uomini di vivere e di
pensare diversamente da come vivono e pensano loro stessi? Si converrà che il
«moralismo» è veramente una cosa ammirevole, a meno che non si preferisca
concludere molto semplicemente, come facciamo noi, che, salvo delle eccezioni
tanto più onorevoli per quanto più sono rare, in Occidente non rimangono che
due tipi di persone, entrambi assai poco interessanti: gli ingenui che si
lasciano prendere da queste parole roboanti e che credono alla loro «missione
civilizzatrice», incoscienti come sono della barbarie materialista nella quale
sono immersi; ed i furbi che sfruttano questo stato d’animo per soddisfare i
loro istinti di violenza e di cupidigia. In tutti i casi, una cosa è certa: ed
è che gli Orientali non minacciano nessuno e non pensano nemmeno di invadere
l’Occidente in un modo qualsiasi; per il momento hanno troppo da fare per
difendersi dall’oppressione europea che rischia di colpirli fin nello spirito;
ed è veramente curioso vedere i loro aggressori atteggiarsi a vittime.
Questa precisazione era necessaria,
poiché certe cose vanno dette; ma ci guarderemo dall’insistervi oltre, visto
che la tesi dei «difensori dell’Occidente» è veramente troppo fragile ed
inconsistente. Del resto, se nel citare H. Massis, per un momento ci siamo
discostati dal riserbo che abitualmente osserviamo per ciò che concerne le
individualità, è soprattutto perché egli rappresenta, nella circostanza, una
certa parte della mentalità contemporanea, della quale occorre tenere conto in
questo studio sullo stato del mondo moderno. In che modo questo
«tradizionalismo» d’ordine inferiore, strettamente limitato e incapace di
comprendere, forse persino assai superficiale, potrebbe opporsi veramente ed
efficacemente ad uno spirito con il quale condivide così tanti pregiudizi?
Dall’una parte e dall’altra si riscontra, all’incirca, la stessa ignoranza dei
veri principi, lo stesso partito preso teso a negare tutto ciò che sorpassa un
certo orizzonte, la stessa inettitudine a comprendere l’esistenza di civiltà
differenti, la stessa superstizione del «classicismo» greco-latino. E una tale
insufficiente reazione ci interessa solo per il fatto che è indicativa di una
certa insoddisfazione di alcuni nostri contemporanei per lo stato presente
delle cose; peraltro, esistono altre manifestazioni della stessa
insoddisfazione, le quali sarebbero suscettibili di spingersi più lontano se
fossero ben dirette; ma, per il momento, si tratta di qualcosa di assai
caotico, ed è molto difficile dire che cosa ne deriverà. Tuttavia, a questo
proposito, qualche previsione non sarà forse del tutto inutile; e dal momento
che tali previsioni sono strettamente connesse col destino del mondo attuale,
esse potrebbero servire contemporaneamente da conclusione per questo nostro
studio, nella misura in cui è permesso trarre delle conclusioni senza fornire
all’ignoranza «profana» l’occasione per attacchi troppo facili, sviluppando
imprudentemente delle considerazioni impossibili da giustificare con i mezzi
ordinari. Noi non siamo di quelli che ritengono che tutto possa essere detto
indifferentemente, almeno quando si lascia la dottrina pura per passare alle
applicazioni; perché allora si impongono certe riserve e inevitabilmente si
devono prendere in considerazione delle questioni di opportunità; ma queste
riserve legittime, e perfino indispensabili, non hanno niente in comune con
certe paure puerili che sono solo l’effetto di un’ignoranza paragonabile a
quella di un uomo che, secondo la proverbiale espressione indù, « scambia una
corda per un serpente». Lo si voglia o no, ciò che dev’esser detto lo sarà
nella misura richiesta dalle circostanze; né gli sforzi interessati degli uni
né l’inconscia ostilità degli altri, potranno impedire che sia così; e, per
altri versi, non sarà certo l’impazienza di coloro che, presi dalla precipitazione
febbrile del mondo moderno, vorrebbero sapere tutto e subito che potrebbe fare
in modo che certe cose vengano conosciute all’esterno prima di quando è
opportuno; ma questi ultimi, almeno, potranno consolarsi pensando che il ritmo
accelerato degli avvenimenti darà loro indubbiamente una pronta soddisfazione;
speriamo solo che, a quel punto, non abbiano a rimpiangere di non essersi
sufficientemente preparati a ricevere una conoscenza che troppo spesso hanno
cercato con molto più entusiasmo che con vero discernimento!
[1] Occorre sempre tener presente che René Guénon scriveva queste cose nel 1927, è quindi inevitabile che i suoi riferimenti siano relativi alle condizioni di allora; tuttavia, scorrendo il testo, è facile comprendere come le considerazioni esposte non risentano di alcun limite temporale, mentre le numerose anticipazioni prospettate, lungi dall’essere delle fantasiose «profezie» o delle ipotetiche e pessimistiche previsioni, rivelano invece una tranquilla ed inesorabile lungimiranza che derivava all’autore dalla sua completa padronanza delle dottrine tradizionali (n.d.t.).
[2] Satan, in ebraico, è l’«avversario», vale a dire colui che inverte tutte le cose e, in qualche modo, le prende alla rovescia; è lo spirito di negazione e di sovversione, che si identifica con la tendenza discendente o «inferiorizzante», «infernale» nel senso etimologico, quella stessa tendenza che seguono gli esseri in quel processo di materializzazione in base al quale si effettua tutto lo sviluppo della civiltà moderna.
[3] Sappiamo che H. Massis conosce i nostri lavori, ma egli si astiene accuratamente dal farvi la minima allusione, perché si scontrerebbero con la sua tesi; il procedimento manca, quantomeno, di franchezza. D’altronde, riteniamo di poterci solo felicitare di tale silenzio, che ci evita di veder confuse con delle polemiche delle cose che, per loro natura, devono rimanere al di sopra di ogni discussione; vi è sempre qualcosa di penoso nello spettacolo dell’incomprensione «profana», benché la verità della «dottrina sacra» sia sicuramente, di per sé, troppo in alto per poterne subire gli attacchi.
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