"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

mercoledì 12 marzo 2014

René Guénon, La crisi del mondo moderno. Cap. 8 - L’invasione occidentale

René Guénon
La crisi del mondo moderno

Cap. 8 - L’invasione occidentale

Il disordine moderno, lo abbiamo già detto, ha avuto origine in Occidente e, fino a questi ultimi anni, vi era sempre rimasto strettamente localizzato; ma adesso si sta verificando un fatto la cui gravità non dev’essere sottovalutata: ed è che questo disordine si va estendendo dappertutto e sembra giungere fino in Oriente[1].
Certo, l’invasione occidentale non è una cosa del tutto recente, ma, fino ad oggi, essa si limitava ad una dominazione più o meno brutale esercitata nei confronti degli altri popoli, ed i cui effetti erano limitati all’ambito politico ed economico; nonostante tutti gli sforzi operati da una propaganda che rivestiva forme molteplici, lo spirito orientale era impenetrabile ad ogni deviazione e le antiche civiltà tradizionali rimanevano intatte.
Oggigiorno, invece, accade che sono certi Orientali ad essersi «occidentalizzati», più o meno completamente, ad aver abbandonato la loro tradizione per adottare tutte le aberrazioni dello spirito moderno; e questi elementi deviati, grazie all’insegnamento delle università europee ed americane, diventano nei loro paese causa di turbamento e di agitazione. D’altronde, non bisogna esagerarne l’importanza, almeno per il momento: in Occidente, si immagina volentieri che queste individualità chiassose, ma poco numerose, rappresentino l’Oriente attuale, mentre invece, nella realtà, la loro azione non è né tanto estesa né tanto profonda come si crede; una tale illusione si spiega facilmente: dal momento che non si conoscono i veri Orientali, i quali peraltro non cercano minimamente di farsi conoscere, quelli che appaiono sono i «modernisti», se li si può chiamare così, i soli che si mostrano al di fuori, che parlano, scrivono e si agitano in tutti i modi. D’altronde, non è meno vero che questo movimento antitradizionale possa guadagnare terreno, ed occorre prendere in considerazione tutte le eventualità, anche le più sfavorevoli; già lo spirito tradizionale, in qualche modo, si ripiega su se stesso, i centri ove esso si conserva integralmente divengono sempre più chiusi e più difficilmente accessibili; e questa generalizzazione del disordine corrisponde esattamente a ciò che deve accadere nella fase finale del Kali-Yuga.
Diciamolo chiaramente: dal momento che lo spirito moderno è cosa puramente occidentale, coloro che ne sono affetti, fossero anche Orientali di nascita, devono essere considerati, in ordine alla loro mentalità, come degli Occidentali, poiché ogni idea orientale è loro completamente estranea e la loro ignoranza nei confronti delle dottrine tradizionali è la sola scusa della loro ostilità. Ciò che può sembrare strano e perfino contraddittorio è il fatto che questi uomini, che si fanno sostenitori dell’«occidentalismo» dal punto di vista intellettuale, o più esattamente contro ogni vera intellettualità, appaiono talvolta come i suoi avversari dal punto di vista politico; e tuttavia non v’è nulla di cui ci si debba meravigliare. Infatti, costoro sono quelli che si sforzano di instaurare in Oriente dei diversi «nazionalismi», ed ogni «nazionalismo» è necessariamente opposto allo spirito tradizionale; se è vero che vogliono combattere la dominazione straniera, è anche vero che vogliono farlo con gli stessi metodi dell’Occidente, allo stesso modo con cui si combattono fra loro i diversi popoli occidentali; e forse è proprio questo che costituisce la loro ragion d’essere. In effetti, se le cose sono giunte al punto tale che l’impiego di simili metodi è divenuto inevitabile, la loro messa in opera può essere effettuata solo da elementi che hanno rotto ogni legame con la tradizione; è dunque possibile che tali elementi vengano utilizzati transitoriamente per poi essere eliminati al pari degli stessi Occidentali. D’altronde, sarebbe abbastanza logico che le idee diffuse dagli Occidentali finissero col ritorcersi contro di essi, poiché si tratta solo di fattori di divisione e di rovina; ed è per questo che, in un modo o nell’altro, la civiltà moderna è destinata a perire, poco importa che ciò accada per effetto dei dissensi esistenti fra gli Occidentali stessi, dissensi fra le nazioni o fra le classi sociali, oppure, come pretendono alcuni, per effetto degli attacchi degli Orientali «occidentalizzati», o ancora in seguito ad un cataclisma provocato dal «progresso delle scienze»; in tutti i casi, il mondo occidentale corre dei rischi solo a causa di se stesso e a causa di ciò che ha prodotto.
La sola questione che si pone è la seguente: a causa dello spirito moderno, l’Oriente subirà solo una crisi passeggera e superficiale, oppure l’Occidente trascinerà l’intera umanità nella sua caduta? Attualmente sarebbe difficile rispondere basandosi su delle constatazioni che non lascino adito a dubbi; allo stato attuale, i due spiriti opposti esistono entrambi in Oriente, e la forza spirituale, relativa alla tradizione e misconosciuta dai suoi avversari, può trionfare sulla forza materiale, una volta che questa abbia svolto il suo ruolo, e può farla svanire come la luce fa svanire le tenebre; noi diciamo anzi che la forza spirituale trionferà necessariamente, presto o tardi, ma è possibile che, prima di allora, si abbia un periodo di completa oscurità. Lo spirito tradizionale non può morire, perché esso, nella sua essenza, è superiore alla morte ed al cambiamento; ma può ritirarsi interamente dal mondo esteriore, ed allora questo corrisponderà veramente alla «fine di un mondo». Dopo tutto quello che abbiamo detto, la realizzazione di questa eventualità, in un avvenire relativamente poco lontano, non avrebbe nulla di inverosimile; e nella confusione che, partita dall’Occidente, si estende attualmente in Oriente, si potrebbe vedere l’«inizio della fine», il segno precursore del momento in cui, secondo la tradizione indù, la dottrina sacra dev’essere racchiusa interamente in una conca, per uscirne intatta all’alba del mondo nuovo.
Ma, ancora una volta, lasciamo stare le anticipazioni e consideriamo solo gli avvenimenti attuali: è incontestabile che l’Occidente ha invaso tutto; la sua azione, inizialmente, si è esercitata nel dominio materiale, quello che era immediatamente alla sua portata, sia a mezzo della conquista violenta sia tramite il commercio e l’accaparramento delle risorse di tutti i popoli; ma attualmente le cose si sono spinte ancora oltre. Gli Occidentali, sempre animati da quel bisogno di proselitismo che è loro così proprio, hanno finito col far penetrare negli altri, in una certa misura, il loro spirito antitradizionale e materialista; e mentre la prima forma di invasione, in definitiva, si limitava solo ai corpi, quest’ultima avvelena le intelligenze e uccide la spiritualità; d’altronde, l’una ha preparata l’altra e l’ha resa possibile, di modo che, insomma, è con la forza bruta che l’Occidente ha finito con l’imporsi dappertutto, poiché è in questa forza bruta che risiede l’unica e reale superiorità della sua civiltà, così inferiore da tutti gli altri punti di vista. L’invasione occidentale è l’invasione del materialismo sotto tutte le sue forme e può essere solo questo; tutti i mascheramenti più o meno ipocriti, tutti i pretesti «moralistici», tutte le declamazioni «umanitarie», tutta l’abilità di una propaganda che, all’occasione, sa farsi insinuante per meglio ottenere i suoi scopi distruttivi, non possono nulla di fronte a questa verità; verità che potrebbe essere contestata solo da degli ingenui o da chi ha un qualunque interesse in quest’opera veramente «satanica» nel senso più rigoroso del termine[2].
Cosa straordinaria: questo momento in cui l’Occidente invade tutto, è lo stesso scelto da certuni per denunciare, come un pericolo che li riempie di spavento, una pretesa penetrazione di idee orientali in Occidente; che sarà mai questa nuova aberrazione? Malgrado il nostro desiderio di attenerci a delle considerazioni di ordine generale, non possiamo esimerci dallo spendere almeno qualche parola a proposito della Difesa dell’Occidente pubblicata recentemente da Henri Massis, la quale costituisce una delle manifestazioni, fra le più caratteristiche, di questa condizione di spirito. Questo libro è pieno di confusioni e perfino di contraddizioni, e dimostra una volta di più come la maggior parte di coloro che vorrebbero reagire al disordine moderno siano poco capaci di farlo in maniera veramente efficace, poiché non conoscono molto bene neanche ciò che devono combattere. Talvolta l’autore nega di volersi richiamare al vero Oriente, e se effettivamente si fosse attenuto ad una critica delle fantasie «pseudo-orientali», vale a dire di quelle teorie puramente occidentali che sono state diffuse con delle etichette fuorvianti e che sono solo uno dei numerosi prodotti dello squilibrio attuale, non potremmo che approvarlo pienamente, tanto più che noi stessi abbiamo segnalato, ben prima di lui, il pericolo reale di questo genere di cose, al pari della loro inconsistenza dal punto di vista intellettuale. Ma, sfortunatamente, in seguito egli sente il bisogno di attribuire all’Oriente delle concezioni che non valgono certo più delle prime, e per far questo egli si basa su delle citazioni tratte da alcuni orientalisti, più o meno «ufficiali», nelle quali le dottrine orientali sono deformate fino alla caricatura, come accade ordinariamente; che ne direbbe se qualcuno usasse lo stesso procedimento nei confronti del Cristianesimo, pretendendo di giudicarlo in base ai lavori degli «ipercritici» universitari? È esattamente ciò che egli fa nei confronti delle dottrine dell’India e della Cina, con l’aggravante che gli Occidentali di cui invoca la testimonianza non hanno la minima conoscenza diretta di tali dottrine, mentre i loro colleghi che si occupano del Cristianesimo devono almeno conoscerlo in una certa misura, anche se l’ostilità nei confronti di tutto ciò che è religioso impedisce loro di comprenderlo veramente. D’altronde, con l’occasione, dobbiamo dire che talvolta abbiamo avuto delle difficoltà per far ammettere a degli Orientali che le esposizioni di tale o di tal altro orientalista derivano da una incomprensione pura e semplice e non da un partito preso cosciente e volontario, si pensi fino a che punto si percepisce in tali lavori quella stessa ostilità che è tipica dello spirito antitradizionale; e vorremmo chiedere volentieri a H. Massis se crede che attaccare la tradizione altrui sia la cosa più accorta per chi vorrebbe restaurarla nel proprio paese. Parliamo di accortezza perché, in fondo, tutta la discussione del Massis è condotta sul terreno politico; per noi che ci poniamo da un punto di vista del tutto diverso, quello dell’intelligenza pura, la sola questione che si pone è una questione di verità; ma questo punto di vista è indubbiamente troppo elevato e troppo sereno perché i polemisti vi possano trovare la loro soddisfazione, e dubitiamo perfino che, in quanto polemisti, la cura della verità possa occupare un gran posto fra le loro preoccupazioni[3].
H. Massis se la prende con quelli che chiama i «propagandisti orientali», espressione che contiene in se stessa una contraddizione, poiché lo spirito di propaganda, lo abbiamo già ripetuto più volte, è una cosa tutta occidentale; e basta questo per indicare chiaramente che in tutto ciò vi è dell’equivoco. In effetti, fra i propagandisti in questione noi possiamo distinguere due gruppi, di cui il primo è costituito da dei puri Occidentali: se non fosse indice della più deplorevole ignoranza delle cose dell’Oriente, sarebbe veramente comico vedere annoverati fra i rappresentanti dello spirito orientale dei Tedeschi e dei Russi; nei loro confronti l’autore esprime delle considerazioni di cui alcune sono molto giuste, ma perché non presenta chiaramente costoro per ciò che sono in realtà? In questo primo gruppo noi comprendiamo anche i «teosofisti» anglosassoni e tutti gli inventori delle altre sette dello stesso genere, la cui terminologia orientale è solamente una maschera destinata ad imporsi agli ingenui ed ai male informati, maschera che ricopre delle idee tanto estranee all’Oriente per quanto sono care all’Occidente moderno; d’altronde, costoro sono molto più pericolosi dei semplici filosofi, a causa delle loro pretese nei confronti di un «esoterismo» che non possiedono minimamente, ma che simulano fraudolentemente per attrarre tutti coloro che cercano qualcosa di diverso dalle speculazioni «profane» e che in mezzo al caos presente non sanno a chi indirizzarsi; noi ci stupiamo un po’ del fatto che H. Massis non ne parli quasi per niente. Quanto al secondo gruppo, vi si possono trovare alcuni di quegli Orientali occidentalizzati di cui parlavamo prima, i quali, ignorando al pari dei primi le vere idee orientali, non sarebbero certamente in grado di diffonderle in Occidente, ammesso che ne abbiano l’intenzione; del resto, lo scopo che costoro si propongono realmente è proprio l’opposto, poiché esso consiste nel distruggere queste stesse idee in Oriente e, al tempo stesso, nel presentare agli Occidentali il loro Oriente modernizzato, in accordo con le teorie che sono state loro insegnate in Europa ed in America; veri agenti della più nefasta di tutte le propagande occidentali, di quella che si volge direttamente all’intelligenza, è per l’Oriente che essi sono un pericolo e non per l’Occidente, di cui invece sono il riflesso. Per quanto riguarda i veri Orientali, H. Massis non ne nomina uno solo, e sarebbe stato ben difficile farlo, visto che sicuramente non ne conosce nessuno; l’impossibilità di citare il nome di un Orientale che non sia occidentalizzato avrebbe dovuto farlo riflettere e fargli comprendere che i «propagandisti orientali» sono del tutto inesistenti.
Peraltro, benché la cosa ci costringa a parlare di noi stessi, il che rientra assai poco nelle nostre abitudini, dobbiamo dichiarare formalmente che, a quanto ci risulta, non v’è nessuno che abbia esposto in Occidente delle idee orientali autentiche, salvo noi stessi; e noi lo abbiamo sempre fatto esattamente come l’avrebbe fatto ogni Orientale che fosse stato spinto dalle circostanze: vale a dire senza la minima intenzione di «propaganda» o di «volgarizzazione», e unicamente per coloro che sono in grado di comprendere le dottrine esattamente come esse sono, senza snaturarle col pretesto di metterle alla loro portata; e aggiungiamo che, malgrado la decadenza dell’intellettualità occidentale, coloro che comprendono sono ancora meno rari di quanto avremmo supposto, pur rimanendo evidentemente una piccola minoranza. Una tale iniziativa non è certo del genere di quelle immaginate da H. Massis, non osiamo dire per i bisogni della sua causa anche se il carattere politico del suo libro possa autorizzare una simile espressione, e per essere il più benevoli possibile, diciamo che egli le immagina perché il suo spirito è turbato dalla paura che scaturisce in lui dal presentimento di una rovina, più o meno prossima, della civiltà occidentale, e ci rammarichiamo che non abbia saputo vedere con chiarezza ove si trovano le vere cause che condurranno ad una tale rovina, nonostante talvolta riesca a dar prova di giusta severità nei confronti di certi aspetti del mondo moderno. Ed è proprio questo che rende continuamente oscillante la sua tesi: da un lato, non sa esattamente quali sono gli avversari che dovrebbe combattere, e dall’altro, il suo «tradizionalismo» lo rende parecchio ignorante circa l’essenza stessa della tradizione, che egli confonde chiaramente con una sorta di «conservatorismo» politico-religioso dell’ordine più esteriore.
Abbiamo detto che lo spirito di H. Massis è turbato dalla paura; la miglior prova è costituita, forse, dall’attitudine straordinaria, e perfino del tutto inconcepibile, che egli attribuisce ai suoi cosiddetti «propagandisti orientali»: costoro sarebbero animati da un odio feroce nei confronti dell’Occidente, ed è per rovinarlo che si sforzerebbero di comunicargli le loro dottrine, vale a dire di fargli dono di ciò che loro stessi hanno di più prezioso, di ciò che costituisce in qualche modo la sostanza stessa del loro spirito! A fronte di tutto quello che vi è di contraddittorio in una ipotesi siffatta, non ci si può impedire di provare un profondo stupore: tutta la tesi faticosamente imbastita crolla istantaneamente, e sembra che l’autore non se ne sia neanche accorto, poiché non vogliamo supporre che abbia avuto coscienza di una tale inverosimiglianza e che, per farla accettare ai suoi lettori, abbia semplicemente contato sul loro poco discernimento. Non occorre riflettere né a lungo né profondamente per rendersi conto che, se vi fossero degli uomini che odiano così ferocemente l’Occidente, la prima cosa che essi farebbero è di conservare gelosamente le proprie dottrine per se stessi, esercitando tutti i loro sforzi per interdirne l’accesso agli Occidentali; e peraltro è proprio questo il rimprovero che talvolta è stato mosso agli Orientali, con una maggiore apparente ragione.
Tuttavia, la verità è ben diversa, gli autentici rappresentanti delle dottrine tradizionali non provano odio per nessuno e la loro riservatezza è dovuta ad un solo motivo: essi giudicano perfettamente inutile esporre certe verità a coloro che sono incapaci di comprenderle; ma non si sono mai rifiutati di comunicarle a coloro che, indipendentemente dalla loro origine, possiedono le «qualificazioni» richieste; ed è colpa loro se fra questi ultimi vi sono pochissimi Occidentali? D’altra parte, se la massa degli Orientali, dopo aver per lungo tempo considerato con indifferenza gli Occidentali, ha finito con l’esser loro ostile, chi ne è responsabile? Forse quell’élite che, dedita alla contemplazione intellettuale, si tiene decisamente al di fuori dell’agitazione esteriore o piuttosto non ne sono responsabili gli stessi Occidentali, che hanno fatto di tutto per rendere odiosa ed intollerabile la loro presenza? Basta porre la questione in questi termini, che sono quelli in cui va posta, perché chiunque sia in grado di darvi una risposta immediata; ed anche ammettendo che gli Orientali, i quali fino ad oggi hanno dato prova di un’incredibile pazienza, volessero infine essere padroni di se stessi, chi mai potrebbe pensare sinceramente di biasimarli? Vero è che quando intervengono certe passioni, le stesse cose, a seconda delle circostanze, possono essere valutate in maniera molto diversa e perfino opposta: infatti, quando la resistenza ad una invasione straniera è attuata da un popolo occidentale, ecco che si chiama «patriottismo» e diviene degna di ogni elogio; mentre quand’è un popolo orientale a metterla in atto, viene chiamata «fanatismo» o «xenofobia» e non merita che odio o disprezzo. D’altronde, non è proprio in nome del «Diritto», della «Libertà», della «Giustizia» e della «Civiltà» che gli Europei pretendono di imporre dappertutto la loro dominazione e pretendono di interdire a tutti gli uomini di vivere e di pensare diversamente da come vivono e pensano loro stessi? Si converrà che il «moralismo» è veramente una cosa ammirevole, a meno che non si preferisca concludere molto semplicemente, come facciamo noi, che, salvo delle eccezioni tanto più onorevoli per quanto più sono rare, in Occidente non rimangono che due tipi di persone, entrambi assai poco interessanti: gli ingenui che si lasciano prendere da queste parole roboanti e che credono alla loro «missione civilizzatrice», incoscienti come sono della barbarie materialista nella quale sono immersi; ed i furbi che sfruttano questo stato d’animo per soddisfare i loro istinti di violenza e di cupidigia. In tutti i casi, una cosa è certa: ed è che gli Orientali non minacciano nessuno e non pensano nemmeno di invadere l’Occidente in un modo qualsiasi; per il momento hanno troppo da fare per difendersi dall’oppressione europea che rischia di colpirli fin nello spirito; ed è veramente curioso vedere i loro aggressori atteggiarsi a vittime.
Questa precisazione era necessaria, poiché certe cose vanno dette; ma ci guarderemo dall’insistervi oltre, visto che la tesi dei «difensori dell’Occidente» è veramente troppo fragile ed inconsistente. Del resto, se nel citare H. Massis, per un momento ci siamo discostati dal riserbo che abitualmente osserviamo per ciò che concerne le individualità, è soprattutto perché egli rappresenta, nella circostanza, una certa parte della mentalità contemporanea, della quale occorre tenere conto in questo studio sullo stato del mondo moderno. In che modo questo «tradizionalismo» d’ordine inferiore, strettamente limitato e incapace di comprendere, forse persino assai superficiale, potrebbe opporsi veramente ed efficacemente ad uno spirito con il quale condivide così tanti pregiudizi? Dall’una parte e dall’altra si riscontra, all’incirca, la stessa ignoranza dei veri principi, lo stesso partito preso teso a negare tutto ciò che sorpassa un certo orizzonte, la stessa inettitudine a comprendere l’esistenza di civiltà differenti, la stessa superstizione del «classicismo» greco-latino. E una tale insufficiente reazione ci interessa solo per il fatto che è indicativa di una certa insoddisfazione di alcuni nostri contemporanei per lo stato presente delle cose; peraltro, esistono altre manifestazioni della stessa insoddisfazione, le quali sarebbero suscettibili di spingersi più lontano se fossero ben dirette; ma, per il momento, si tratta di qualcosa di assai caotico, ed è molto difficile dire che cosa ne deriverà. Tuttavia, a questo proposito, qualche previsione non sarà forse del tutto inutile; e dal momento che tali previsioni sono strettamente connesse col destino del mondo attuale, esse potrebbero servire contemporaneamente da conclusione per questo nostro studio, nella misura in cui è permesso trarre delle conclusioni senza fornire all’ignoranza «profana» l’occasione per attacchi troppo facili, sviluppando imprudentemente delle considerazioni impossibili da giustificare con i mezzi ordinari. Noi non siamo di quelli che ritengono che tutto possa essere detto indifferentemente, almeno quando si lascia la dottrina pura per passare alle applicazioni; perché allora si impongono certe riserve e inevitabilmente si devono prendere in considerazione delle questioni di opportunità; ma queste riserve legittime, e perfino indispensabili, non hanno niente in comune con certe paure puerili che sono solo l’effetto di un’ignoranza paragonabile a quella di un uomo che, secondo la proverbiale espressione indù, « scambia una corda per un serpente». Lo si voglia o no, ciò che dev’esser detto lo sarà nella misura richiesta dalle circostanze; né gli sforzi interessati degli uni né l’inconscia ostilità degli altri, potranno impedire che sia così; e, per altri versi, non sarà certo l’impazienza di coloro che, presi dalla precipitazione febbrile del mondo moderno, vorrebbero sapere tutto e subito che potrebbe fare in modo che certe cose vengano conosciute all’esterno prima di quando è opportuno; ma questi ultimi, almeno, potranno consolarsi pensando che il ritmo accelerato degli avvenimenti darà loro indubbiamente una pronta soddisfazione; speriamo solo che, a quel punto, non abbiano a rimpiangere di non essersi sufficientemente preparati a ricevere una conoscenza che troppo spesso hanno cercato con molto più entusiasmo che con vero discernimento!

[1] Occorre sempre tener presente che René Guénon scriveva queste cose nel 1927, è quindi inevitabile che i suoi riferimenti siano relativi alle condizioni di allora; tuttavia, scorrendo il testo, è facile comprendere come le considerazioni esposte non risentano di alcun limite temporale, mentre le numerose anticipazioni prospettate, lungi dall’essere delle fantasiose «profezie» o delle ipotetiche e pessimistiche previsioni, rivelano invece una tranquilla ed inesorabile lungimiranza che derivava all’autore dalla sua completa padronanza delle dottrine tradizionali (n.d.t.). 
[2] Satan, in ebraico, è l’«avversario», vale a dire colui che inverte tutte le cose e, in qualche modo, le prende alla rovescia; è lo spirito di negazione e di sovversione, che si identifica con la tendenza discendente o «inferiorizzante», «infernale» nel senso etimologico, quella stessa tendenza che seguono gli esseri in quel processo di materializzazione in base al quale si effettua tutto lo sviluppo della civiltà moderna. 
[3] Sappiamo che H. Massis conosce i nostri lavori, ma egli si astiene accuratamente dal farvi la minima allusione, perché si scontrerebbero con la sua tesi; il procedimento manca, quantomeno, di franchezza. D’altronde, riteniamo di poterci solo felicitare di tale silenzio, che ci evita di veder confuse con delle polemiche delle cose che, per loro natura, devono rimanere al di sopra di ogni discussione; vi è sempre qualcosa di penoso nello spettacolo dell’incomprensione «profana», benché la verità della «dottrina sacra» sia sicuramente, di per sé, troppo in alto per poterne subire gli attacchi.

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