"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

domenica 2 marzo 2014

René Guénon, La crisi del mondo moderno. Cap. 2 - L'opposizione fra Oriente e Occidente

René Guénon
La crisi del mondo moderno

Cap. 2 - L'opposizione fra Oriente e Occidente

Uno dei caratteri particolari del mondo moderno è la separazione che si riscontra fra l’Oriente e l’Occidente; e nonostante abbiamo già trattato tale questione in maniera specifica, è necessario ritornarvi anche in questa sede, per precisarne certi aspetti e per dissipare alcuni malintesi. La verità è che vi sono sempre state civiltà diverse e molteplici, ciascuna delle quali si è sviluppata nella maniera che le era propria ed in conformità con le attitudini di un dato popolo o di una data razza; ma una tale distinzione non significa affatto opposizione, ed è possibile che fra civiltà dalle forme molto diverse possa esserci una sorta di equivalenza, dal momento che tutte si basano sugli stessi principi fondamentali, principi di cui esse rappresentano solo delle applicazioni condizionate dalle diverse circostanze.
È questo il caso di tutte le civiltà che si possono definire normali o anche tradizionali; fra loro non vi è alcuna opposizione essenziale, mentre le divergenze, se esistono, sono solo esteriori e superficiali. Per contro, una civiltà che non riconosce alcun principio superiore e che è persino fondata su una negazione dei principi, è, per ciò stesso, sprovvista dei mezzi per intendersi con le altre, dal momento che una tale intesa, per essere veramente profonda ed efficace, può solo stabilirsi dall’alto, vale a dire esattamente per mezzo di ciò che manca ad una tale civiltà anormale e deviata. Nello stato presente del mondo, abbiamo dunque, da un lato, tutte le civiltà che sono rimaste fedeli allo spirito tradizionale e che sono le civiltà orientali, e, dall’altro, una civiltà propriamente antitradizionale, che è la civiltà occidentale moderna.
Tuttavia, certuni arrivano a contestare che la stessa divisione dell’umanità in Oriente ed Occidente corrisponda ad una qualche realtà; ma, almeno per quanto riguarda l’epoca attuale, la cosa non sembra possa essere messa seriamente in dubbio. Innanzi tutto, che esista una civiltà occidentale, comune all’Europa ed all’America, è un fatto su cui tutti devono essere d’accordo, quale che sia il giudizio che si voglia esprimere sul valore di questa stessa civiltà. Per l’Oriente, invece, le cose sono meno semplici, poiché in effetti esistono, non una, ma più civiltà orientali; solo che è sufficiente che esse possiedano certi tratti comuni, quelli che caratterizzano ciò che noi abbiamo chiamato una civiltà tradizionale, e che questi tratti non si ritrovino nella civiltà occidentale, perché la distinzione e perfino l’opposizione fra Oriente ed Occidente siano pienamente giustificate. Ora, le cose stanno proprio così, ed il carattere tradizionale è realmente comune a tutte le civiltà orientali, per le quali noi ricorderemo, per fissare meglio le idee, la divisione generale che abbiamo adottata altrove, divisione che, anche se un po’ troppo semplificata, se si vuole entrare nei particolari, è tuttavia esatta quando ci si attiene alle grandi linee: l’Estremo Oriente, rappresentato essenzialmente dalla civiltà cinese, il Medio Oriente, rappresentato dalla civiltà indù, e il Vicino Oriente, rappresentato dalla civiltà islamica. Conviene aggiungere che quest’ultima, sotto molti aspetti, dovrebbe piuttosto essere considerata come intermedia fra l’Oriente e l’Occidente, e che molte delle sue caratteristiche la avvicinano perfino in modo prevalente a ciò che fu la civiltà occidentale del Medio Evo; solo che, se la si considera in rapporto all’Occidente moderno, bisogna riconoscere che essa vi si oppone allo stesso titolo delle civiltà propriamente orientali, e da questo punto di vista è ad esse che occorre dunque associarla.
È proprio questo il punto fondamentale su cui occorre insistere: l’opposizione fra l’Oriente e l’Occidente non aveva alcuna ragion d’essere quando anche in Occidente vi erano delle civiltà tradizionali; essa ha dunque un senso solo quando si tratta in modo specifico dell’Occidente moderno, poiché questa è molto più un’opposizione fra due attitudini che fra due entità geografiche più o meno chiaramente definite. In certe epoche, di cui la più vicina a noi è il Medio Evo, lo spirito occidentale somigliava parecchio, per i suoi aspetti più importanti, a quello che è ancora oggi lo spirito orientale, molto più che a ciò che è divenuto nei tempi moderni; la civiltà occidentale era allora paragonabile alle civiltà orientali, allo stesso titolo che queste sono paragonabili fra di loro. Nel corso degli ultimi secoli si è prodotto un cambiamento considerevole, molto più grave che tutte le deviazioni che abbiano potuto manifestarsi in precedenza in epoche di decadenza, poiché esso si è spinto fino ad un vero capovolgimento della direzione data all’attività umana; ed è esclusivamente nel mondo occidentale che tale cambiamento ha avuto origine. Di conseguenza, quando diciamo spirito occidentale, riferendoci a ciò che esiste attualmente, con tale espressione occorre intendere nient’altro che lo spirito moderno; e dal momento che l’altro spirito si è conservato solo in Oriente, ecco che possiamo chiamarlo spirito orientale, sempre in relazione alle condizioni in cui ci troviamo attualmente. Queste due espressioni, insomma, non esprimono altro che una situazione di fatto; e se appare chiaramente che uno dei due spiriti in questione è effettivamente occidentale, perché la sua comparsa appartiene alla storia recente, ciò non vuol dire che intendiamo esprimere un pregiudizio circa la provenienza dell’altro, il quale fu un tempo comune all’Oriente come all’Occidente, e la cui origine, a dire il vero, si confonde con l’origine della stessa umanità; in effetti è questo lo spirito che si potrebbe qualificare come normale, non foss’altro che per il fatto che ha ispirato tutte le civiltà che conosciamo più o meno completamente, ad eccezione di una sola: la civiltà occidentale moderna.
Alcuni, che senza dubbio non si sono presi la briga di leggere i nostri libri, hanno creduto di doverci rimproverare di aver detto che tutte le dottrine tradizionali sarebbero di origine orientale, e che la stessa antichità occidentale, in tutte le epoche, avrebbe ricevuto sempre le sue tradizioni dall’Oriente; ora, noi non abbiamo mai scritto nulla di simile, per la semplice ragione che sappiamo benissimo che è falso. In effetti, sono proprio i dati tradizionali che si oppongono nettamente ad una asserzione del genere: ovunque si ritrova l’affermazione formale che la tradizione primordiale dell’attuale ciclo è venuta dalla regioni iperboree, si sono poi avute numerose correnti secondarie, corrispondenti a dei periodi diversi, e di cui una delle più importanti, quantomeno fra quelle le cui vestigia sono ancora riconoscibili, si è volta incontestabilmente da Occidente ad Oriente. Ma tutto questo si riferisce a delle epoche molto lontane, di quelle che comunemente vengono dette «preistoriche», e non è certo questo che abbiamo in vista; ciò che noi sosteniamo è che, in primo luogo, da tantissimo tempo ormai il deposito della tradizione primordiale è stato trasferito in Oriente, ed è qui che si trovano adesso le forme dottrinali che ne sono derivate più direttamente; e in secondo luogo che, allo stato attuale delle cose, il vero spirito tradizionale, con tutto ciò che esso implica, è solo in Oriente che mantiene dei rappresentanti autentici.
Per completare questa messa a punto dobbiamo anche spiegarci, almeno brevemente, su certe idee di restaurazione di una «tradizione occidentale» che sono comparse in diversi ambienti contemporanei; il solo interesse che esse presentano, in fondo, è quello di mostrare che alcuni animi non sono più soddisfatti della negazione moderna e provano il bisogno di qualcosa di diverso da quello che offre loro la nostra epoca, rivelando che costoro intravedono la possibilità di un ritorno alla tradizione, sotto una forma o un’altra, come l’unico mezzo per uscire dalla crisi attuale. Sfortunatamente, il «tradizionalismo» non è affatto la stessa cosa del vero spirito tradizionale; esso non può essere altro, e molto spesso lo è in effetti, che una semplice tendenza, un’aspirazione più o meno vaga che non presuppone alcuna conoscenza reale; e nel disordine mentale dei nostri tempi, tale aspirazione provoca soprattutto, è bene dirlo, delle concezioni fantasiose e chimeriche sprovviste di ogni serio fondamento. Non trovando alcuna tradizione autentica a cui appoggiarsi, si arriva fino ad immaginare delle pseudo-tradizioni che non sono mai esistite e che sono sprovviste di principi esattamente come ciò che dovrebbero sostituire; tutto il disordine moderno si riflette in costruzioni siffatte e, quali che siano le intenzioni dei loro autori, il solo risultato che ottengono è di apportare un nuovo contributo allo squilibrio generale. Fra le cose di questo tipo, a titolo informativo, ci limiteremo solo ad accennare alla pretesa «tradizione occidentale» fabbricata da certi occultisti con l’aiuto degli elementi più disparati, e destinata soprattutto a far concorrenza ad una «tradizione orientale» non meno immaginaria, che è quella dei teosofisti; di queste cose abbiamo parlato a sufficienza in altra sede e preferiamo passare subito all’esame di qualche altra teoria che può sembrare più degna di attenzione, perché almeno vi si trova il desiderio di richiamarsi a delle tradizioni che hanno avuto una esistenza reale.
Alludiamo alla corrente tradizionale venuta dalle regioni occidentali; i racconti degli antichi, relativi ad Atlantide, ne indicano l’origine; dopo la sparizione di questo continente, sparizione che rappresenta l’ultimo dei grandi cataclismi avvenuti nel passato, sembra non vi siano dubbi che i resti della sua tradizione siano stati trasferiti in diverse regioni, ove si sono mescolati con altre tradizioni preesistenti, principalmente con dei tronconi della grande tradizione iperborea; ed è molto probabile che le dottrine dei Celti, in particolare, siano state uno dei prodotti di tale fusione. Noi siamo ben lungi dal contestare queste cose, ma invitiamo a riflettere sul seguente aspetto del problema: la forma propriamente «atlantidea» è scomparsa ormai da migliaia di anni, insieme alla civiltà alla quale apparteneva, e la cui distruzione non può essersi prodotta che in seguito ad una deviazione che, per certi aspetti, si può forse paragonare a quella che constatiamo ai giorni nostri, anche se con una notevole differenza relativa al fatto che l’umanità non era ancora entrata nel Kali-Yuga; peraltro, tale tradizione corrispondeva solo ad un periodo secondario del nostro ciclo, e sarebbe un grave errore pretendere di identificarla con la tradizione primordiale da cui sono derivate tutte le altre, tradizione primordiale che è l’unica che persisterà dall’inizio alla fine. Ora, in questa sede, sarebbe fuori luogo esporre tutti i dati che giustificano queste affermazioni, pertanto ci limiteremo alla conclusione e cioè alla impossibilità di far rivivere attualmente una tradizione «atlantidea» o perfino di riallacciarsi ad essa più o meno direttamente; d’altronde, vi è un bel po’ di fantasia in tentativi di tal fatta. Certo, è altrettanto vero che sarebbe interessante ricercare l’origine degli elementi che si riscontrano nelle tradizioni successive, posto che lo si faccia con tutte le precauzioni necessarie atte ad evitare certe illusioni; ma queste ricerche non possono in alcun caso sfociare nella resurrezione di una tradizione che non sarebbe adatta ad alcuna delle condizioni attuali del nostro mondo.
Altri vorrebbero ricollegarsi al «celtismo» e, siccome si appellano a qualcosa che è meno lontano nel tempo, si può avere l’impressione che i loro propositi siano meno irrealizzabili; tuttavia ci chiediamo: ove trovare oggi il «celtismo» allo stato puro ed ancora dotato di una vitalità sufficiente perché sia possibile assumerlo come punto d’appoggio? Evidentemente non ci riferiamo a delle ricostruzioni archeologiche o semplicemente «letterarie», come quelle che già si conoscono, ma è di ben altra cosa che si tratta. Che degli elementi celtici molto riconoscibili ed ancora utilizzabili siano giunti fino a noi tramite diversi intermediari, è vero; ma questi elementi sono ben lontani dal rappresentare una tradizione integrale; la cosa sorprendente è che, negli stessi paesi ove è esistita, questa tradizione è oggi completamente ignorata, molto più di quanto vi si ignorino gli elementi di molte altre civiltà che furono ad essi estranee; non ci si trova al cospetto di qualcosa che dovrebbe far riflettere, quantomeno coloro che non sono del tutto dominati da un’idea preconcetta? Ma diremo di più: in tutti i casi come questo, ove si ha a che fare con delle vestigia di civiltà scomparse, è possibile comprenderle realmente solo tramite la comparazione con quanto vi è di simile nelle civiltà tradizionali ancora viventi; e si può dire altrettanto per lo stesso Medio Evo, ove si riscontrano parecchie cose il cui significato è andato perduto per gli Occidentali moderni. Questa presa di contatto con le tradizioni il cui spirito sussiste ancora, è perfino il solo mezzo per rivivificare ciò che è ancora suscettibile di esserlo; ed è proprio questo, come abbiamo avuto modo di dire molto spesso, uno dei più grandi servigi che l’Oriente possa rendere all’Occidente. Noi non neghiamo la sopravvivenza di un certo «spirito celtico», che può ancora manifestarsi sotto forme diverse, come è già accaduto in epoche diverse; ma quando ci si viene ad assicurare che esistono ancora dei centri spirituali che conservano integralmente la tradizione druidica, non possiamo che aspettare che ce lo si dimostri, e, fino a prova contraria, ciò ci appare molto dubbio se non addirittura inverosimile.
La verità è che gli elementi celtici che sussistono, per la maggior parte sono stati assimilati, nel Medio Evo, dal Cristianesimo: la leggenda del «Santo Graal», con tutto ciò che vi è connesso, ne è un esempio particolarmente probante e significativo. Peraltro, pensiamo che una tradizione occidentale, qualora arrivasse a ricostituirsi, prenderebbe necessariamente una forma esteriore religiosa, nel senso più ristretto del termine, e che questa forma non potrebbe essere che quella cristiana, poiché, per un verso, le altre forme possibili sono ormai da troppo tempo estranee alla mentalità occidentale, e per l’altro, è solo nel Cristianesimo, e più esattamente nel Cattolicesimo, che si trovano, in Occidente, i resti dello spirito tradizionale ancora sopravviventi. Ogni tentativo «tradizionalista» che non tenesse conto di ciò sarebbe inevitabilmente votato all’insuccesso, perché mancherebbe di fondamento; è fin troppo evidente che ci si può appoggiare solo a qualcosa che esiste in maniera reale, e che, là ove la continuità viene a mancare, non possono aversi che delle ricostruzioni artificiali che non possono essere praticabili; se ci si obbietta che lo stesso Cristianesimo, ai nostri giorni, non è più nemmeno compreso veramente e secondo il suo significato profondo, rispondiamo che esso ha almeno conservato, nella sua stessa forma, tutto quello che è necessario per servire da fondamento a ciò di cui si tratta. Il tentativo meno chimerico, persino il solo che non si scontri con delle impossibilità immediate, sarebbe dunque quello di considerare la restaurazione di qualcosa di paragonabile a ciò che è esistito nel Medio Evo, con le differenze richieste dal mutamento delle circostanze; mentre, per tutto ciò che è interamente perduto in Occidente, occorrerebbe richiamarsi alle tradizioni che si sono conservate integralmente, come abbiamo fin qui indicato, per poi procedere ad un lavoro di adattamento che potrebbe essere svolto solo da un’élite intellettuale saldamente costituita. Tutto ciò l’abbiamo già detto, ma è opportuno insistervi ulteriormente, perché attualmente circolano troppe fantasticherie inconsistenti, ed anche perché occorre ben comprendere che, se le tradizioni orientali, nella loro specifica forma, possono sicuramente essere assimilate da un’élite che, per definizione, dev’essere in qualche modo al di là delle forme, indubbiamente queste stesse tradizioni non potrebbero mai essere assimilate dalla generalità degli Occidentali, a meno di trasformazioni impreviste, proprio perché esse non sono state costituite per quest’ultimi.
Se si arriverà a formare un’élite occidentale, affinché questa possa svolgere la sua funzione, è indispensabile che abbia una conoscenza vera delle dottrine orientali, per i motivi che abbiamo appena indicato; ma coloro che avranno solo da trar profitto dal suo lavoro, e che saranno la stragrande maggioranza, potranno benissimo non aver alcuna coscienza di questo fatto, e non per questo l’influenza che ne riceveranno, per così dire senza sospettarlo e in ogni caso tramite dei mezzi che sfuggiranno loro interamente, sarà meno reale e meno efficace. Non abbiamo mai detto niente di diverso; ma abbiamo ritenuto opportuno doverlo ripetere nella maniera più chiara possibile, perché, se dobbiamo aspettarci che non sempre possiamo essere interamente compresi da tutti, ci teniamo che almeno non ci si attribuiscano delle intenzioni che non sono assolutamente le nostre.
Ma, a questo punto, lasciamo da parte ogni anticipazione, poiché dobbiamo occuparci soprattutto dello stato attuale delle cose, e ritorniamo ancora un istante sulle idee di restaurazione di una «tradizione occidentale», così come possiamo osservarle intorno a noi. Una sola osservazione basterà a mostrare che queste idee non sono affatto «nell’ordine», se così si può dire: in effetti esse sono quasi sempre concepite con uno spirito di ostilità, più o meno manifesto, nei confronti dell’Oriente. Perfino coloro che vorrebbero appoggiarsi al Cristianesimo, è necessario dirlo, sono talvolta animati da tale spirito; sembra che per prima cosa essi cerchino di scoprire delle opposizioni che, in realtà, sono completamente inesistenti; ed è così che abbiamo sentito formulare l’assurda opinione che, seppure le stesse cose si ritrovano contemporaneamente nel Cristianesimo e nelle dottrine orientali, espresse da una parte e dall’altra in una forma quasi identica, non avrebbero tuttavia lo stesso significato ed avrebbero perfino un significato opposto! Coloro che formulano affermazioni del genere, quali che siano le loro pretese, provano, per ciò stesso, che non sono andati molto avanti nella comprensione delle dottrine tradizionali, poiché non sono riusciti ad intravedere l’identità fondamentale dissimulata sotto tutte le diverse forme esteriori, e perfino là ove questa identità diviene del tutto apparente si ostinano ancora a disconoscerla. Così facendo, costoro considerano lo stesso Cristianesimo solo in maniera del tutto esteriore, tale da non poter corrispondere alla nozione di una vera dottrina tradizionale che offra in tutti gli ordini una sintesi completa; è il principio che manca a costoro, ed in questo sono affetti, molto più di quanto possano pensare, da quello stesso spirito moderno contro il quale vorrebbero invece reagire; ed allorquando capita loro di usare il termine «tradizione» essi non lo concepiscono certo con lo stesso significato che gli diamo noi.
Nella confusione mentale che caratterizza la nostra epoca, si è giunti ad applicare indistintamente lo stesso termine «tradizione» ad ogni sorta di cose, spesso parecchio insignificanti, come delle semplici usanze senza alcun valore e talvolta di origine tutta recente; noi abbiamo segnalato altrove un abuso dello stesso genere relativo al termine «religione». Occorre diffidare da queste deviazioni del linguaggio, che rivelano una sorta di degenerazione delle idee corrispondenti; e non basta che qualcuno si autodefinisca «tradizionalista» perché si possa essere certi che egli conosca, anche imperfettamente, che cos’è la tradizione nel vero senso della parola. Da parte nostra ci rifiutiamo assolutamente di dare questo nome a tutto ciò che è di ordine puramente umano; e non è inopportuno dichiararlo espressamente allorché si riscontrano, ad ogni pie’ sospinto, espressioni come quella, per esempio, di «filosofia tradizionale». Una filosofia, anche quando è realmente tutto ciò che può essere, non ha alcun diritto a questo titolo, poiché essa si limita interamente al solo ordine razionale, perfino quando non arriva a negare ciò che la trascende, ed anche perché si tratta solo di una costruzione edificata da individui umani, senza rivelazione o ispirazione di sorta; e comunque, per dirla in poche parole, perché essa è qualche cosa di essenzialmente «profano». D’altronde, a dispetto di tutte le illusioni di cui certuni sembrano compiacersi, non è certo una scienza tutta «libresca» che può essere sufficiente per rettificare la mentalità di una razza e di un’epoca; occorre ben altro che una speculazione filosofica, la quale, perfino nel caso più favorevole, è condannata, per la sua stessa natura, a rimanere tutta esteriore e molto più verbale che reale. Per restaurare la tradizione perduta, per rivivificarla veramente, occorre il contatto con lo spirito tradizionale vivente, e, come abbiamo già detto, è solo in Oriente che questo spirito è ancora pienamente in vita; e se è vero che per far ciò, in Occidente, è innanzi tutto necessaria un’aspirazione ad un ritorno a questo spirito tradizionale, è parimenti vero che la semplice aspirazione non basta. I pochi movimenti di reazione «antimoderna» che si sono prodotti fino ad oggi, peraltro alquanto incompleti a nostro avviso, non possono che confermare questa nostra convinzione, poiché tutto questo, sicuramente eccellente nella sua parte negativa e critica, è tuttavia molto lontano da una restaurazione della vera intellettualità e si sviluppa entro i limiti di un orizzonte mentale assai ristretto. Ciò nonostante è già qualcosa, nel senso che è l’indizio di una condizione di spirito di cui difficilmente si sarebbe potuta trovare traccia fino a qualche anno fa; se non tutti gli Occidentali sono più concordi nell’accontentarsi dello sviluppo esclusivamente materiale della civiltà moderna, si tratta forse del segno che, per loro, ogni speranza di salvezza non è ancora del tutto perduta.
Comunque sia, supponendo che l’Occidente, in una maniera qualunque, ritorni alla sua tradizione, per ciò stesso la sua opposizione con l’Oriente sarebbe risolta e cesserebbe d’esistere, poiché essa è stata generata dalla deviazione occidentale e in realtà non è che l’opposizione fra lo spirito tradizionale e lo spirito antitradizionale. Di modo che, contrariamente a quanto supposto da coloro a cui alludevamo prima, il ritorno alla tradizione produrrebbe, fra i primi risultati, la ripresa immediata dell’intesa con l’Oriente, così come si verifica per tutte le civiltà che possiedono degli elementi simili o equivalenti; ed una tale situazione è possibile solo in presenza di tali elementi, poiché sono essi che costituiscono l’unico terreno sul quale questa intesa può essere attuata validamente.
Il vero spirito tradizionale, qualunque sia la forma che esso riveste, è dappertutto e sempre lo stesso; le diverse forme, che sono adattate in modo specifico a queste o a quelle costruzioni mentali, a queste o a quelle circostanze di tempo e di luogo, sono solo delle espressioni di una sola ed unica verità; ma occorre potersi porre nell’ordine della pura intellettualità per scoprire quest’unità fondamentale sotto l’apparente molteplicità. D’altronde, è in quest’ordine intellettuale che risiedono i principi da cui tutto il resto dipende normalmente a titolo di conseguenza o di applicazione più o meno lontana; ed è dunque su questi principi che occorre innanzi tutto accordarsi, se si vuol parlare di un’intesa realmente profonda, poiché è questo tutto l’essenziale; ed allorché questo verrà realmente compreso, l’accordo verrà da sé. Occorre sottolineare, in effetti, che la conoscenza dei principi, che è la conoscenza per eccellenza, la conoscenza metafisica nel vero senso della parola, è universale come gli stessi principi, dunque interamente sganciata da ogni contingenza individuale, la quale invece interviene necessariamente quando si giunge alle applicazioni; di modo che questo dominio puramente intellettuale è il solo ove non necessitano sforzi di adattamento fra le diverse mentalità. Inoltre, allorché un lavoro di tal genere fosse compiuto, non rimarrebbe che svilupparne i risultati per ottenere anche l’accordo in tutti gli altri domini, giacché, come abbiamo appena detto, è da esso che dipende tutto, direttamente o indirettamente; per contro, l’accordo ottenuto in un dominio particolare, prescindendo dai principi, sarà sempre eminentemente instabile e precario, e molto più simile ad un accomodamento diplomatico che ad una vera intesa. Ed è proprio per questo che un tale accordo, lo ripetiamo, può operarsi realmente solo dall’alto e non dal basso, e ciò va inteso in maniera duplice: occorre partire da ciò che vi è di più elevato, vale a dire dai principi, per scendere gradualmente ai diversi ordini di applicazione osservando sempre rigorosamente la dipendenza gerarchica che esiste fra loro; e un tal compito, per il suo stesso carattere, non può essere che quello di un’élite, dando a questo termine la sua accezione più vera e più completa: ed è esclusivamente di un’élite intellettuale che intendiamo parlare, dato che, ai nostri occhi, non ne potrebbero esistere altre, poiché le distinzioni sociali esteriori non rivestono alcuna importanza dal punto di vista in cui noi ci poniamo.
Queste poche considerazioni possono far comprendere già tutto ciò che manca alla civiltà occidentale moderna, non solo in relazione alla possibilità di un effettivo avvicinamento con le civiltà orientali, ma anche di per sé, perché possa dirsi una civiltà normale e completa; d’altronde, in verità, le due questioni sono strettamente connesse, tanto da ridursi ad una sola, ed abbiamo appena finito di illustrarne i motivi. Dovremmo passare adesso a mostrare, in maniera più completa, in cosa consiste lo spirito antitradizionale, che è propriamente lo spirito moderno, e quali sono le conseguenze che esso implica, conseguenze che vediamo scorrere con una logica inesorabile negli avvenimenti attuali; ma occorre prima attardarsi su un’ultima riflessione.
Il fatto di essere risolutamente «antimoderni», non significa certo essere «antioccidentali», se così si può dire, poiché significa invece effettuare il solo sforzo valido per cercare di salvare l’Occidente dal suo proprio disordine; e, d’altra parte, nessun Orientale fedele alla propria tradizione potrebbe considerare le cose diversamente da così; vi sono sicuramente molti meno avversari dell’Occidente come tale, cosa che peraltro non avrebbe molto senso, di quanti ve ne siano dell’Occidente inteso come sinonimo della civiltà moderna. Alcuni parlano oggi di «difesa dell’Occidente», il che è veramente singolare, se si pensa che, come vedremo in seguito, è proprio l’Occidente che minaccia di sommergere tutto e di trascinare l’intera umanità nel turbinio della sua attività disordinata; singolare, dicevamo, e del tutto ingiustificato, se costoro intendono, come sembra proprio malgrado qualche restrizione, che questa difesa debba essere diretta contro l’Oriente, poiché il vero Oriente non pensa né ad attaccare né a dominare chicchessia, esso chiede solo la sua indipendenza e la sua tranquillità, il che, si converrà, è del tutto legittimo. Tuttavia, la verità è che l’Occidente ha in effetti un gran bisogno di essere difeso, ma unicamente nei confronti di se stesso e delle sue stesse tendenze, le quali, se verranno spinte fino alla fine, lo condurranno inevitabilmente alla rovina ed alla distruzione; ed allora è di «riforma dell’Occidente» che si dovrebbe parlare, e questa riforma, se fosse ciò che dovrebbe essere, condurrebbe del tutto naturalmente ad un avvicinamento con l’Oriente. Da parte nostra, non chiediamo che di contribuire a tale riforma e a tale avvicinamento, nella misura delle nostre possibilità, e sempre che si sia ancora in tempo e che un tale risultato possa essere raggiunto prima della catastrofe finale verso cui marcia a grandi passi la civiltà moderna; ma anche se fosse troppo tardi per evitare questa catastrofe, il lavoro compiuto in quest’ottica non sarebbe inutile, poiché servirebbe in ogni caso a preparare, per lontana che sia, quella «discriminazione» di cui dicevamo all’inizio, e servirebbe anche ad assicurare la conservazione degli elementi che dovranno sfuggire al naufragio del mondo attuale per divenire i germi del mondo futuro.

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