"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

lunedì 24 marzo 2014

René Guénon, Scritti sull’esoterismo islamico e il Taoismo - Cap. IV - El-Faqr

René Guénon
Scritti sull’esoterismo islamico e il Taoismo

Cap. IV - El-Faqr[1]


L’essere contingente può venire definito come quello che non possiede in se stesso la propria ragione sufficiente; un tale essere, di conseguenza, non è nulla per se stesso, e nulla di ciò che egli è gli appartiene in proprio.
Tale è il caso dell’essere umano in quanto individuo, come pure di tutti gli esseri manifestati, in qualsivoglia stato, perché, quale che sia la diversità fra i gradi dell’Esistenza universale, essa è pur sempre nulla rispetto al Principio.
Questi esseri, umani e non, sono dunque, in tutto ciò che sono, completamente dipendenti dal Principio, «al di fuori del quale non vi è nulla, assolutamente nulla che esista»;[2] è nella consapevolezza di questa dipendenza che consiste propriamente ciò che varie tradizioni designano come «povertà spirituale». Allo stesso tempo, per l’essere giunto a tale consapevolezza, questa ha per conseguenza immediata il distacco da tutte le cose manifestate, perché ormai egli sa che anche tali cose non sono nulla, che la loro importanza è rigorosamente nulla rispetto alla Realtà assoluta. Questo distacco, nel caso dell’essere umano, implica essenzialmente e prima di tutto l’indifferenza riguardo ai frutti dell’azione, quale è insegnata in special modo nella Bhagavad-Gîtâ, indifferenza per il cui tramite l’essere sfugge alla concatenazione indefinita delle conseguenze di questa azione: è l’«azione senza desiderio» (nishkâma karma), mentre l’«azione con desiderio» (sakâma karma) è l’azione compiuta in vista dei suoi frutti.Per quella via l’essere esce dunque dalla molteplicità, e sfugge, secondo le espressioni usate dalla dottrina taoista, alle vicissitudini della «corrente delle forme», all’alternanza degli stati di «vita» e di «morte», di «condensazione» e di «dissipazione»,[3] passando dalla circonferenza della «ruota cosmica» al suo centro, che è descritto a sua volta come «il vuoto [il non-manifestato] che unisce i raggi e ne fa una ruota».[4]
«Chi è giunto al massimo del vuoto» dice ancora Lao-tseu «sarà saldamente stabilito nella quiete... Ritornare alla propria radice [cioè al Principio che è origine prima e insieme fine ultimo di tutti gli esseri] vuol dire entrare nello stato di quiete».[5] «La pace nel vuoto» dice Lie-tseu «è uno stato indefinibile; non la si riceve né la si dona; si arriva a stabilirvisi».[6] Questa «pace nel vuoto» è la «grande pace» (es-Sakînah) dell’esoterismo musulmano,[7] che è allo stesso tempo la «presenza divina» al centro dell’essere presupposta dall’unione con il Principio, la quale solo in quel centro può effettivamente operarsi. «A colui che ha dimora nel non-manifesto, tutti gli esseri si manifestano... Unito al Principio, attraverso esso egli è in armonia con tutti gli esseri. Unito al Principio, egli conosce ogni cosa attraverso le ragioni generali superiori, e di conseguenza non si serve più dei suoi diversi sensi per conoscere in particolare e nei dettagli. La vera ragione delle cose è invisibile, inafferrabile, indefinibile, indeterminabile. Solo lo spirito ristabilito nello stato di semplicità perfetta può afferrarla nello stato di contemplazione profonda».[8] 
La «semplicità», espressione dell’unificazione di tutte le potenze dell’essere, caratterizza il ritorno allo «stato primordiale»; e si misura qui tutta la distanza che separa la conoscenza trascendente del saggio dal sapere ordinario e «profano». Questa «semplicità» è anche designata altrove come lo stato di «infanzia» (in sanscrito bâlya), inteso naturalmente in senso spirituale, che, nella dottrina indù, è considerato come condizione preliminare all’acquisizione del sapere per eccellenza. Ciò ricorda le analoghe parole contenute nel Vangelo: «Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non vi entrerà».[9] «Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli avveduti, e le hai rivelate ai semplici e ai piccini».[10] 
«Semplicità» e «piccolezza» sono qui, in fondo, equivalenti della «povertà», di cui si parla tanto spesso anche nel Vangelo e che viene generalmente assai mal compresa: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli».[11] Questa «povertà» (in arabo el-faqr) conduce, secondo l’esoterismo musulmano, a el-fanâ, cioè all’«estinzione» dell’«io»;[12] per mezzo di questa «estinzione», si perviene alla «stazione divina» (el-maqâm el-ilâhî), che è il punto centrale dove tutte le distinzioni inerenti ai punti di vista esteriori sono superate, dove tutte le opposizioni sono cancellate e risolte in un equilibrio perfetto. «Nello stato primordiale, queste opposizioni non esistevano. Sono tutte derivate dalla diversificazione degli esseri [inerente alla manifestazione e come quella contingente], e dai loro contatti causati dalla girazione universale [cioè dalla rotazione della “ruota cosmica” intorno al suo asse]. Esse di colpo cessano d’influenzare l’essere che ha ridotto il suo io distinto e il suo movimento particolare a quasi nulla».[13] Questa riduzione dell’«io distinto», il quale infine scompare riassorbendosi in un punto unico, coincide con el-fanâ, come pure con il «vuoto» di cui dicevamo sopra; è del resto evidente che, in base al simbolismo della ruota, il «movimento» di un essere è tanto più ridotto quanto più tale essere si va avvicinando al punto centrale. «Questo essere non entra più in conflitto con alcun altro essere, poiché risiede nell’infinito, è scomparso nell’indefinito.[14] Egli è giunto e si tiene nel punto di partenza delle trasformazioni, punto neutro dove non si pongono conflitti. Concentrando la sua natura, alimentando il suo spirito vitale, raccogliendo insieme tutte le sue potenze, egli si è unito al principio di tutte le genesi. Essendo la sua natura integra [totalizzata in modo sintetico nell’unità principiale] e il suo spirito vitale intatto, nessun essere può scalfirlo».[15] 
La «semplicità» di cui si parlava sopra corrisponde all’unità «senza dimensioni» del punto primordiale, al quale fa capo il movimento di ritorno verso l’origine. «L’uomo assolutamente semplice soggioga con la sua semplicità tutti gli esseri... al punto che nulla gli si oppone nelle sei regioni dello spazio, nulla gli è ostile, il fuoco e l’acqua non gli recano danno».[16] Egli infatti si mantiene al centro, da cui originano come raggi le sei direzioni, e verso cui, nel movimento di ritorno, esse vengono a neutralizzarsi a due a due, di modo che, in quel punto unico, la loro triplice opposizione cessa interamente, e niente di ciò che ne risulta o di ciò che vi trova luogo può attentare all’essere dimorante nell’unità immutabile. Poiché egli non si oppone a nulla, nulla può a sua volta opporsi a lui, infatti l’opposizione è necessariamente un rapporto reciproco, che esige la presenza di due termini e che, di conseguenza, è incompatibile con l’unità principiale; e l’ostilità, che è soltanto una conseguenza o una manifestazione esteriore dell’opposizione, non può sussistere nei confronti di un essere che sia al di fuori e al di là di ogni opposizione. Il fuoco e l’acqua, che sono il modello dei contrari nel «mondo elementare», non possono recargli danno, poiché, a dire il vero, essi per lui non esistono nemmeno più come coppia di opposti, essendo rientrati – equilibrandosi e neutralizzandosi reciprocamente attraverso la riunificazione delle loro qualità in apparenza contrarie, ma in realtà complementari – nell’indifferenziazione dell’etere primordiale.
Questo punto centrale, attraverso cui si stabilisce, per l’essere umano, la comunicazione con gli stati superiori o «celesti», è anche la «porta stretta» del simbolismo evangelico, e si può allora comprendere chi siano i «ricchi» che non possono attraversarla: sono gli esseri che si attaccano alla molteplicità, pertanto incapaci di elevarsi dalla conoscenza distintiva alla conoscenza unificata. Tale attaccamento infatti è l’esatto opposto di quel distacco di cui si diceva dianzi, come la ricchezza è l’opposto della povertà, e incatena l’essere alla serie indefinita dei cicli di manifestazione.[17] L’attaccamento alla molteplicità è anche, in certo qual modo, la «tentazione» biblica che, facendo gustare all’essere il frutto dell’«Albero della Scienza del bene e del male», cioè della conoscenza duale e distintiva delle cose contingenti, lo allontana dall’unità centrale originaria impedendogli di cogliere il frutto dell’«Albero della Vita»; ed è appunto per questo, in effetti, che l’essere è sottoposto all’alternanza delle mutazioni cicliche, cioè alla nascita e alla morte. Il percorso indefinito della molteplicità è rappresentato con precisione dalle spire del serpente che si attorciglia al tronco dell’albero simboleggiante l’«Asse del Mondo»: è il cammino degli «smarriti» (ed-dâllîn), di coloro che sono nell’«errore» nel senso etimologico della parola, contrapposto alla «retta via» (es-sirât el-mustaqîm), che sale verticalmente seguendo lo stesso asse, di cui si parla nella prima sura del Corano.[18] 
«Povertà», «semplicità», «infanzia» sono in fondo una sola e medesima cosa, e l’essenzialità che tutti questi termini esprimono[19] si conclude con una «estinzione» che è, in realtà, la pienezza dell’essere, così come il «non-agire» (wu-wei) è la pienezza dell’attività, poiché è da questo che derivano tutte le attività particolari: «Il Principio è sempre non-agente, eppure tutto è fatto da lui».[20] L’essere che sia così giunto al punto centrale ha con ciò stesso realizzato la totalità della condizione umana: è l’«uomo vero» (tch’eng-jen) del Taoismo, e quando, partendo da questo punto per salire agli stati superiori, egli avrà compiuto la perfetta totalizzazione delle sue possibilità, sarà divenuto l’«uomo divino» (cheng-jen), ossia l’«Uomo Universale» (el-Insân el-Kâmil) dell’esoterismo musulmano. Si può dire quindi che i «ricchi» dal punto di vista della manifestazione sono in verità i «poveri» rispetto al Principio, e viceversa; è ciò che esprime con altrettanta chiarezza il passo evangelico: «Gli ultimi saranno i primi, e i primi saranno gli ultimi»;[21] e a tale riguardo dobbiamo constatare, una volta di più, il perfetto accordo di tutte le dottrine tradizionali, che sono soltanto le diverse espressioni della Verità una.
Mesr, 11-12 rabî el-awwal 1349 H.
(Mawlid en-Nabî)



[1] «Le Voile d’Isis», ottobre 1930, pp. 714-21.
[2] Mohyiddîn ibn Arabî, Risâlah el-Ahadiyyah.
[3] Aristotele, in senso simile, parla di «generazione» e di «corruzione».
[4] Tao-te-king, cap. XI.
[5] Tao-te-king, cap. XVI.
[6] Lie-tseu, cap. I.
[7] Si veda il capitolo «La Guerre et la Paix», in Le Symbolisme de la Croix, Éditions Véga, Paris, 1931 [trad. it. Il simbolismo della croce, Rusconi, Milano, 1973].
[8] Lie-tseu, cap. IV
[9] Luca, 18, 17.
[10] Matteo, 11, 25; Luca, 10, 21.
[11] Matteo, 5, 3.
[12] Questa «estinzione» non è priva di analogie, anche quanto al senso letterale del termine che la designa, con il nirvâna della dottrina indù; al di là di el-fanâ vi è ancora fanâ el-fanâ, l’«estinzione dell’estinzione», che analogamente corrisponde al parinirvâna.
[13] Tchouang-tseu, cap. XIX.
[14] La prima di queste due espressioni si riferisce alla «personalità» e la seconda all’«individualità».
[15] Tchouang-tseu, cap. XIX. L’ultima frase si riferisce ancora una volta alle condizioni dello «stato primordiale»: è ciò che la tradizione giudaico-cristiana designa come l’immortalità dell’uomo prima della «caduta», immortalità recuperata da chi, tornato al «Centro del Mondo», trae nutrimento dall’«Albero della Vita».
[16] Lie-tseu, cap. II.
[17] È il samsâra buddhista, la rotazione indefinita della «ruota della vita» da cui l’essere deve liberarsi per giungere al nirvâna.
[18] Questa «retta via» è identica al Te o «Rettitudine» di Lao-tseu, è la direzione che un essere deve seguire affinché la sua esistenza sia conforme alla «Via» (Tao) o, in altri termini, conforme al Principio.
[19] È l’«essenzialità dei metalli» nel simbolismo massonico. 
[20] Tao-te-king, cap. XXXVII. 
[21] Matteo, 20, 16.

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