Scritti sull’esoterismo islamico e il Taoismo
Cap. V - Er-Rûh[1]
Secondo i dati tradizionali della «scienza delle lettere», Allâh creò il mondo non per mezzo dell’alif che è la prima lettera, ma della bâ che è la seconda; infatti l’unità,
sebbene sia necessariamente il principio primo della manifestazione, presuppone
immediatamente la dualità, fra i due termini della quale, come fra i due poli
complementari della manifestazione rappresentati dalle due estremità della bâ, sarà prodotta tutta l’indefinita
molteplicità delle esistenze contingenti.
È dunque la bâ a trovarsi propriamente all’origine della creazione, e questa si compie in essa e per essa, vale a dire che la bâ ne è a un tempo il «luogo» e il «mezzo», secondo i due sensi che questa lettera ha nella preposizione bi.[2] La bâ, in questo ruolo primordiale, rappresenta er-Rûh, lo «Spirito», da intendere come lo Spirito totale dell’Esistenza universale e che si identifica essenzialmente con la «Luce» (en-Nûr); questo è prodotto direttamente dal «comando divino» (min amr Allâh) e, una volta prodotto, è in certo modo lo strumento per mezzo del quale tale «comando» opererà tutte le cose, che saranno così tutte «ordinate» in rapporto ad esso;[3] prima non vi è dunque che el-amr, affermazione dell’Essere puro e formulazione prima della Volontà suprema, come prima della dualità non vi è che l’unità, o prima della bâ non vi è che l’alif. Ora, l’alif è la lettera «polare» (qutbâniyyah),[4] la cui forma stessa è quella dell’«asse» secondo il quale si compie l’«ordine» divino; e la punta superiore dell’alif, che è il «segreto dei segreti» (sirr el-asrâr), si riflette nel punto diacritico della bâ, in quanto tale punto è il centro della «circonferenza prima» (ed-dâirah el-awwaliyyah) che delimita e avvolge l’ambito dell’Esistenza universale, circonferenza che d’altronde, considerata simultaneamente in tutte le direzioni possibili, è in realtà una sfera, la forma primordiale e totale dalla quale nasceranno per differenziazione tutte le forme particolari.
Se si considera la forma verticale dell’alif e la forma orizzontale della bâ, si vede che il loro rapporto è quello fra un principio attivo e un principio passivo; e ciò è conforme ai dati della scienza dei numeri sull’unità e la dualità, non solo nell’insegnamento pitagorico, che al riguardo è il più generalmente noto, ma anche in quello di tutte le altre tradizioni. Questo carattere di passività è effettivamente inerente al doppio ruolo di «strumento» e di «luogo» universale di cui abbiamo parlato sopra; così, in arabo er-Rûh è una parola femminile; ma occorre fare ben attenzione poiché, secondo la legge dell’analogia, ciò che è passivo o negativo rispetto alla Verità divina (el-Haqq) diviene attivo o positivo rispetto alla creazione (el-khalq).[5] È qui essenziale considerare queste due facce opposte, poiché ciò di cui si tratta è precisamente, se così ci si può esprimere, il «limite» stesso posto fra el-Haqq e el-khalq, «limite» attraverso cui la creazione è separata dal suo Principio divino e al tempo stesso gli è unita, a seconda del punto di vista dal quale la si considera; si tratta dunque, in altri termini, del barzakh per eccellenza;[6] e, come Allâh è «il Primo e l’Ultimo» (el-Awwal wa’l-Âkhir) in senso assoluto, così er-Rûh è «il primo e l’ultimo» relativamente alla creazione.
È dunque la bâ a trovarsi propriamente all’origine della creazione, e questa si compie in essa e per essa, vale a dire che la bâ ne è a un tempo il «luogo» e il «mezzo», secondo i due sensi che questa lettera ha nella preposizione bi.[2] La bâ, in questo ruolo primordiale, rappresenta er-Rûh, lo «Spirito», da intendere come lo Spirito totale dell’Esistenza universale e che si identifica essenzialmente con la «Luce» (en-Nûr); questo è prodotto direttamente dal «comando divino» (min amr Allâh) e, una volta prodotto, è in certo modo lo strumento per mezzo del quale tale «comando» opererà tutte le cose, che saranno così tutte «ordinate» in rapporto ad esso;[3] prima non vi è dunque che el-amr, affermazione dell’Essere puro e formulazione prima della Volontà suprema, come prima della dualità non vi è che l’unità, o prima della bâ non vi è che l’alif. Ora, l’alif è la lettera «polare» (qutbâniyyah),[4] la cui forma stessa è quella dell’«asse» secondo il quale si compie l’«ordine» divino; e la punta superiore dell’alif, che è il «segreto dei segreti» (sirr el-asrâr), si riflette nel punto diacritico della bâ, in quanto tale punto è il centro della «circonferenza prima» (ed-dâirah el-awwaliyyah) che delimita e avvolge l’ambito dell’Esistenza universale, circonferenza che d’altronde, considerata simultaneamente in tutte le direzioni possibili, è in realtà una sfera, la forma primordiale e totale dalla quale nasceranno per differenziazione tutte le forme particolari.
Se si considera la forma verticale dell’alif e la forma orizzontale della bâ, si vede che il loro rapporto è quello fra un principio attivo e un principio passivo; e ciò è conforme ai dati della scienza dei numeri sull’unità e la dualità, non solo nell’insegnamento pitagorico, che al riguardo è il più generalmente noto, ma anche in quello di tutte le altre tradizioni. Questo carattere di passività è effettivamente inerente al doppio ruolo di «strumento» e di «luogo» universale di cui abbiamo parlato sopra; così, in arabo er-Rûh è una parola femminile; ma occorre fare ben attenzione poiché, secondo la legge dell’analogia, ciò che è passivo o negativo rispetto alla Verità divina (el-Haqq) diviene attivo o positivo rispetto alla creazione (el-khalq).[5] È qui essenziale considerare queste due facce opposte, poiché ciò di cui si tratta è precisamente, se così ci si può esprimere, il «limite» stesso posto fra el-Haqq e el-khalq, «limite» attraverso cui la creazione è separata dal suo Principio divino e al tempo stesso gli è unita, a seconda del punto di vista dal quale la si considera; si tratta dunque, in altri termini, del barzakh per eccellenza;[6] e, come Allâh è «il Primo e l’Ultimo» (el-Awwal wa’l-Âkhir) in senso assoluto, così er-Rûh è «il primo e l’ultimo» relativamente alla creazione.
Ciò non impedisce, beninteso, che il termine er-Rûh sia preso talvolta in accezioni
più particolari, come la parola «spirito» o i suoi equivalenti più o meno
precisi in altre lingue; così, specialmente in certi commenti coranici, si è
potuto pensare che si trattasse o di una designazione di Seyyidnâ Jabrail (Gabriele), o di un altro angelo cui questa
denominazione di er-Rûh si
riferirebbe più particolarmente; e tutto ciò può senza dubbio essere vero a
seconda dei casi o degli usi che ne vengono fatti, giacché tutto ciò che è
partecipazione o specificazione dello Spirito universale, o che ne svolge il
ruolo sotto certi aspetti e a livelli diversi, è anch’esso rûh in senso relativo, ivi compreso lo spirito in quanto dimorante
nell’essere umano o in ogni altro essere particolare. Tuttavia vi è un punto
cui molti tra i commentatori essoterici sembrano non prestare attenzione
sufficiente: quando er-Rûh è
menzionato espressamente e separatamente a fianco degli angeli (el-malâikah),[7] come
si può supporre che in realtà si tratti semplicemente di uno di loro? Secondo
l’interpretazione esoterica la parola si riferisce allora a Seyyidnâ Mîtatrûn (il Metatron della Cabala ebraica); ciò del
resto consente di spiegare l’equivoco che si verifica a questo proposito, visto
che Metatron è anche rappresentato
come un angelo, benché, essendo al di là dell’ambito delle esistenze
«separate», esso sia in realtà altro e più che un angelo; e questo, d’altronde,
ben corrisponde al doppio aspetto del barzakh.[8]
Un’altra considerazione che concorda interamente con questa lettura è la
seguente: nella rappresentazione del «Trono» (el-Arsh), er-Rûh è posto
al centro, e questa posizione è in effetti quella di Metatron; il «Trono» è il luogo della «Presenza divina», cioè della
Shekinah, la quale, nella tradizione
ebraica, è la «paredra» o l’aspetto complementare di Metatron. Del resto si può anche dire che er-Rûh si identifica in certo modo con il «Trono» stesso, dato che
quest’ultimo, circondando e avvolgendo tutti i mondi (da cui l’epiteto el-Muhît), viene a coincidere con la
«circonferenza prima» di cui abbiamo parlato sopra.[9]
Troviamo qui nuovamente le due facce del barzakh:
dal lato di el-Haqq si tratta di er-Rahmân che riposa sul «Trono»;[10] ma
dal lato di el-khalq esso in un certo
senso appare soltanto per rifrazione attraverso er-Rûh, il che è direttamente collegato al senso di questo hadîth: «Colui che mi vede, vede la
Verità» (man raanî fa-qad raâ el-Haqq).
Si tratta, in effetti, del mistero della manifestazione «profetica»;[11] e si
sa che, anche secondo la tradizione ebraica, Metatron è l’origine delle «teofanie» e il principio stesso della
profezia,[12] e ciò, espresso in
linguaggio islamico, equivale a dire che egli non è altro che er-Rûh el-mohammediyyah, nel quale tutti
i profeti e tutti gli inviati divini sono una cosa sola, e che nel «mondo di
quaggiù» ha la sua espressione ultima in colui il quale è il loro «sigillo» (khâtam el-anbiyâ wa’l-mursalîn), cioè in
colui il quale li riassume in una sintesi finale che è il riflesso della loro
unità principiale nel «mondo superno» (dove egli è awwal khalq Allâh, l’ultimo nell’ordine manifestato essendo
analogicamente il primo nell’ordine principiale), ed è in tal modo il «signore
dei primi e degli ultimi» (seyyid
el-awwalîn wa’l-âkhirîn). Così, e solo così, possono realmente essere
compresi, nel loro significato profondo, tutti i nomi e i titoli del Profeta,
che sono in definitiva gli stessi dell’«Uomo universale» (el-Insân el-Kâmil), il quale totalizza finalmente in se stesso
tutti i gradi dell’esistenza, così come già dall’origine li conteneva tutti in
se stesso: alayhi salât Rabb el-Arsh
dawman, «che su di lui la preghiera del Signore del Trono sia
perpetuamente»!
[1] «Études Traditionnelles», VIII-IX, 1938, pp. 287-91.
[2] Per lo stesso motivo la bâ o il suo equivalente è la lettera iniziale dei libri sacri: la Torah comincia con Bereshîth, il Corano con Bismi’Llâh e, sebbene non ci sia pervenuto un testo evangelico in lingua sacra, si può nondimeno osservare che la prima parola del Vangelo secondo Giovanni, in ebraico sarebbe anch’essa Bereshîth.
[3] È dalla radice amr che deriva in ebraico la forma verbale yomer, usata nel Genesi per esprimere l’azione creatrice rappresentata come «parola» divina.
[4] Come abbiamo già segnalato altrove, alif = qutb = 111 (Un hiéroglyphe du Pôle, in «Études Traditionnelles», maggio 1937 [trad. it. in Simboli della Scienza sacra, Adelphi, Milano, 1975, pp.. 104-106]); aggiungiamo che anche Âlâ, l’«Altissimo», ha lo stesso valore numerico.
[5] In un certo senso, tale doppio aspetto corrisponde nella Cabala ebraica a quello della Shekinah, femminile, e di Metatron, maschile, come risulterà più chiaro nel seguito.
[6] Si veda T. Burckhardt, Du «barzakh», in «Études Traditionnelles», dicembre 1937.
[7] Per esempio nella sura el-Qadr (XCVII, 4): Tanazzal el-malâikah wa’r-rûh fîhâ... [«In essa discendono gli angeli e lo spirito...». N.d.T.].
[8] In certe formule esoteriche, il nome er-Rûh è associato a quelli di quattro angeli, rispetto ai quali esso è, nell’ordine celeste, ciò che nell’ordine terrestre è il Profeta rispetto ai primi quattro Kholafâ; tutto ciò ben si confà a Mîtatrûn, che del resto così si identifica chiaramente con er-Rûh el-mohammediyyah.
[9] Sul tema del «Trono» e del Metatron, considerato dal punto di vista della Cabala e dell’angelologia ebraica, si vedano Basilide, Notes sur le monde céleste, in «Études Traditionnelles», luglio 1934, pp. 274-75, e Les anges, in «Études Traditionnelles», febbraio 1935, pp. 88-90.
[10] Secondo questo versetto della sura Tâhâ (XX, 5): Er-Rahmân alâ’l-arsh estawâ [«Il Misericordioso si è assiso sul Trono». N.d.T.].
[11] Si può osservare che per questa via la concezione islamica del Profeta si avvicina in qualche maniera a quella vedica dell’avatâra, benché esse procedano in senso inverso una all’altra, dato che la seconda prende le mosse dalla considerazione del Principio che si manifesta, mentre la prima da quella del «supporto» di tale manifestazione (e il «Trono» è anche il «supporto» della Divinità).
[12] Si veda Le Roi du Monde, Gallimard, Paris, 1927, pp. 30-33 [trad. it. Il Re del Mondo, Adelphi, Milano, 1977, pp. 32-36].
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