Guido De Giorgio
La Tradizione Primordiale
La verità di Dio non può essere che una come il tutto è uno, come il principio del ritmo è il silenzio, della voce l'ineffabile, delle forme l'informale, ma le vie per giungere a Dio sono varie perché tutto è in Lui ed ogni punto della circonferenza è equidistante dal centro, cioè purché sia nell'asse centripeto che chiameremo asse tradizionale.
La Tradizione Primordiale
La verità di Dio non può essere che una come il tutto è uno, come il principio del ritmo è il silenzio, della voce l'ineffabile, delle forme l'informale, ma le vie per giungere a Dio sono varie perché tutto è in Lui ed ogni punto della circonferenza è equidistante dal centro, cioè purché sia nell'asse centripeto che chiameremo asse tradizionale.
La tradizione quindi è la confluenza di tutte
le vie in Dio e la determinazione integrativa delle vie che conducono a Dio
affinché Dio sia veramente il termine che si vuol raggiungere e l'uomo il punto di partenza di questo ritorno al ciclo divino.
Se in un senso tutte le vie conducono a Dio nessuna di
esse è sicura se non è stata percorsa, conosciuta come verace, accentrata
diremo così, rettificata secondo l'asse tradizionale che costituisce la
circolarità centripeta, la dipendenza dell'uomo da Dio, il convalidamento di
questa dipendenza e la certezza del ritorno realizzatore.
Il termine "ritorno" non deve far
pensare ad una cosa che - si stacchi da un'altra e vi
si riconduca, poiché in Dio nulla si stacca da Dio e Dio è tutta la realtà: ma
siccome l'ignoranza che è la caduta, il peccato, ha velato il centro
frapponendo illusoriamente un distanziamento fra uomo e Dio, fine e scopo della
tradizione è l'eliminazione di questa illusoria distanza, il superamento di
questa fallace dualità, la fissazione di uno schema risolutivo che reintegra la
verità di Dio con un processo realizzatore. La tradizione è quindi sacra perché
considera tutto secondo Dio, riconduce tutto a Dio, viene da Dio verso l'uomo
per ritornare a Dio, all'unità del Principio Supremo nella perfezione della Sua
assolutezza. Essa è divina e non umana perché, ricongiungendo l'uomo a Dio,
proviene necessariamente dal centro divino da cui si stacca solo in apparenza
per ricondurvi l'uomo che se ne è allontanato vittima
della sua ignoranza e della sua colpa.
Diremo che la tradizione è divina - non che è
essa stessa Iddio perché nulla può essere dato, tramandato, trasmesso da Dio
che non sia Dio stesso - ma diremo anche che la tradizione cessa quando si è effettuato il ritorno a Dio, quando cioè non vi è più che
Dio e nulla può e deve ricondurvi, Egli solo essendo. Il carattere umano delle
cose è illusorio, fallace, poiché ne l'uomo, ne le
cose esistono se non per ritornare a Dio da cui sono apparentemente
allontanate: quindi niente di più puerile che credere all'umanità delle cose
umane perché si rivelano all'uomo per l'uomo come se l'uomo veramente esistesse
e con lui le cose in funzione propria ed in autonomia reale e non fossero
invece ambedue fuori di Dio unicamente in virtù dell'ignoranza che le
concretizza, cioè le uccide e le rapprende. La tradizione implica la caduta, il
peccato, l'ignoranza, l'uomo, il mondo, e determina una separazione netta,
anche se provvisoria perché necessaria, tra l'umano ed
il divino, la terra ed il cielo, il profano ed il sacro, l'errore e la verità,
l'ortodossia e l'eterodossia, tra ciò che in Dio ritorna a Dio e ciò che, non
essendo di Dio, non può ritornare a Lui.
Chi nega il carattere sacro della tradizione
nega Iddio, e, negando Iddio, nega sé stesso e cade
nell'assurdo più mostruoso, l'affermazione di una negazione, la limitazione di
un nulla, la soppressione di una luce per cui ed in cui luce ciò che luce,
condannandosi a non vedere mai ciò che vede e a vedere sempre ciò che non vede,
ponendo la saggezza nella propria ignoranza e facendo di questo velo, di questa
nube fluttuante, il termine fisso di un insabbiamento perpetuo. Negando Dio
egli nega l'uomo, afferma ciò che non è, il nulla e terrificando il cielo, fa
della terra il suo sepolcro, della morte vivendo e,
morto, credendo di vivere. I negatori di Dio sono meno che peccatori, essi sono
i vessilliferi della propria imbecillità, vittime di un assurdo che si compiace
al sorriso d'una demenza puerile e riottosa poiché essi non negano in realtà se
non ciò che negando affermano,
fingendo d'ignorare persino il gioco della propria ignoranza. Tombe essi sono,
cadaveri aspiranti ad una vita che non possono
raggiungere perché incapaci di spezzare le pareti del proprio confinamento,
chiusi nel circolo di una volontaria inadeguatezza. Costoro sono i repudiatori
di se, gli eunuchi del mondo, i menomati, i minorati, gli imbelli e sono negatori
di Dio tutti coloro che ripudiano il carattere sacro
della tradizione, che ammettono altra sapienza che non la sapienza santa, altra
scienza che non la scienza santa, altra conoscenza che non quella di Dio, altro
fine nell'uomo che non il ritorno a Dio, altro deposito che non quello divino
altra vita che non in Dio, altro essere che non Iddio, altra causa dell'errore
e della colpa che non l'ignoranza di Dio: altro superumano che non quel che
realmente è divino cioè al di là dell'uomo e non nell'uomo, ma nell'uomo per
Dio, nelle cose e nel mondo per Dio, in Dio solo infine e per Dio con Dio.
L 'uomo non può
giungere a Dio senza Dio, e la tradizione è il veicolo necessario per
l'abolizione del peccato e dell'illusione, per la dissipazione di quell'ignoranza
che nasconde il suo vero destino, la sua vera paternità, la sua pura origine,
riconducendolo al compimento della sua umanità che, pienamente realizzata, si
rivela essenzialmente di ordine divino. La verità della tradizione consiste
dunque nel suo carattere sacro per cui, separando il profano dal sacro, afferma
che il profano stesso è sacro e nulla esiste che non sia sacro purché si
diventi accessibili alla verità dell'asse tradizionale
ove tutto confluisce in Dio. Ma l'ignoranza che ha determinato la caduta e
l'illusione di un ordine che sia altro da quello divino, implica una dualità,
la separazione stessa di questi due ordini che la tradizione afferma e da cui
trae la legittimità della sua esistenza per tendere ad abolire il divieto dopo
di averlo formulato; poiché nella formula stessa del divieto, nella separazione
del divino dall'umano, risiede il segreto e il luogo della loro unificazione
che avviene semplicemente non per giustapposizione, ma per dileguamento
dell'errore che scorge il due nell'uno, la dualità in ciò che è al di là di essa.
Se la tradizione partisse dall'unità, non
sarebbe più quello che è, cioè la via che vi riconduce, ma rimarrebbe in Dio
anzi non sarebbe che Dio, ciò che precedentemente si è
negato: essa dunque parte da Dio ed è destinata agli uomini che devono
ritornarvi. Vi sarà finche esisterà 1'uomo essendo l'unico anello di
congiunzione tra lui e Dio: scomparsa la tradizione, scompare il mondo: è bene
fissare questa verità tanto più temibile quanto più gli uomini, vittime dell'ignoranza,
non solo si allontanano dalla tradizione e vi si oppongono, ma impediscono
persino a coloro che vi tendono di mantenerla come un
deposito sacro che garantisce 1'esistenza e la conservazione del mondo.
Riaffermarla dovrebbe essere lo sforzo che può ancora impedire la rovina
dell'uomo e del mondo col ristabi1ire la via tra l'uomo e Dio dando al primo il
solo punto di appoggio per il compimento della sua esistenza terrestre secondo
l'ordine divino che ne giustifica lo sviluppo. La caduta
infatti, cioè l'ignoranza, ha spalancato un cBsma, una voragine, una
serie di stati che intercedono tra la morte e la vita per coloro che non sono
morti prima di morire e che continueranno a morire dopo la morte. Insomma ciò
che gli uomini devono temere non è ciò che può capitare loro in vita, ma ciò che capiterà loro dopo la morte, se invece di
approfittare dell'esistenza terrestre per prepararsi alla traversata della
voragine determinata dalla caduta, rimanendo uomini, cioè negando Dio,
l'amplificano e vi cadono turbinando nella vera morte che è quella eterna.
L'ignoranza, cioè l'illusione, ha determinato
questa realtà terribile degli stati post-mortem, del ciclo tenebroso che è
destinato a coloro che hanno rifiutato la luce in
terra negandosela cosi in eterno. Soltanto la tradizione permette il colmarsi
di questa voragine su cui essa lancia solidissimi ponti, anche se esili ed invisibili, stabilendo cosi una nuova separazione, quella
degli eletti e dei reietti che sono poi gli accettatori ed i rifiutatori della
parola di Dio. L'occhio di Dio si posa solo su coloro i cui
occhi si volgono a Lui e si allontana soltanto da coloro i cui occhi rifuggono
da Lui: Iddio chiama a Sé quelli che lo chiamano ed è muto per quelli che lo
negano: questa reciprocità non è sempre apparente, perché vi è nell'uomo ciò
che dorme e ciò che veglia, ciò che dormendo veglia e vegliando dorme. L 'accenno è più che sufficiente per coloro che sanno e
vogliono capire ciò che è veramente il mistero della predestinazione e della
grazia in quest'ambito. Da tutto ciò segue questa semplice verità: l'esistenza
terrestre è per l'uomo un periodo di prova in cui è saggiata la sua virtù cioè
la sua idoneità a ritornare a Dio dopo aver dissipato l'illusione che lo separa
da Lui, dopo aver distrutto la voragine spalancata dalla caduta, dopo aver
dileguato il fantasma di ciò che non è Dio, quando, Dio essendo tutto, solo
Iddio è. Ma questo è il termine della via poiché questa giunge solo all'Eden,
alla perfezione supraterrestre da cui l'ascesa verso Dio procede per stadi informali solo simbolicamente intelligibili. Per la
massa degli uomini che vivono nell'illusione dell'ignoranza, il distacco da Dio
è enorme, perché - si fissi ciò - esso è tanto più
grande quanto più lontani essi sono dal conoscere sé stessi cioè dal realizzare
la loro vera natura. Più si sprofonda in sé più ci si avvicina a Dio; poiché,
discendendo in noi, saliamo in Dio ed il parallelismo
è cosi essenziale da abolirsi in un unico asse che è appunto quello
tradizionale.
La tradizione fa che l'uomo ritrovandosi Lo
ritrovi, ma esige che l'uomo muoia ritrovandosi poiché egli deve rifare il
percorso della voragine originata dalla caduta, deve uccidere l'ignoranza,
abolirla, risolverla in saggezza, far si che la sua
morte sia la sua vera vita e che la conoscenza del suo profondo sia la
conoscenza di Dio col riassorbire tutti i gradi intermediari, col ripristinare
lo stato edenico, integrando in sé tutta l'umanità e la cosmicità, tutte le
possibilità umane del vizio e della virtù, del male e del bene, finche i due
termini scompaiano, il vizio e il male siano sciolti dalle acque del Letè, e
rimanga solo ciò che sempre fu, l'immortalità e l'eternità, la purezza della
verità nell'amore cognitivo di Dio.
La tradizione fa si che il mondo stesso e l'uomo
siano il luogo del ripristinamento edenico e che dalla concrezione ultima delle
Forme parta il seme di quel fuoco che dalle Forme, ai Ritmi, al Silenzio arderà
tutti i detriti dell'ignoranza in una progressione essa stessa generatrice
degli stati raggiunti. Questa azione sacra deve
compiersi in un combaciamento perfetto senza che vi sia costrizione o rivolta,
in sopportazione o spasimo, con la fede che, sicura del miracolo, crea il
miracolo, poiché l'uomo è ciò che pensa, ciò che crede, se il pensare sacro è credere
e credere conoscere ed amare, essere. Ponendoci ad un
punto di vista integrale, facciamo confluire tutte le vene in una sola senza
soffermarci sulle differenze che le distinguono nell'analisi dei processi
realizzatori, ma, considerando la grande sfera teocentrica, tutti i punti,
tradizionalmente parlando, sono equidistanti non come intensità realizzatrici,
ma come ortodossia di livello e sicurezza di ambito. Se in principio, come
abbiamo detto, ogni via conduce a Dio purché si voglia giungere al solo Iddio
che è il Dio vero, non ogni via è sicura di giungervi senza il sostegno
tradizionale che traccia il percorso, ne vigila le insidie sorvegliando lo
sforzo individuale e il ritmo particolare ad ogni uomo
poiché ogni uomo è una falsa unità con caratteri specificatamente proprii che
s'integra, andando a Dio, nell'unità vera. Dunque tante vie quanti gli uomini -
potremo dire quanti gli esseri - ma tutte
necessariamente comprese nell'ambito tradizionale che ne assicura la
rettitudine di modo che tutte tendano al vero, Iddio, ognuna mantenendo la sua
caratteristica specificatamente conforme alle possibilità dell'individuo. Ne risulta tutto un mondo che riplasma questo terrestre
restituendogli la sua legittimità, facendolo sacro, epurandolo da ciò che non è
conforme al suo destino, suggellandone ogni aspetto, rendendo ad ogni cosa la
sua corrispondenza analogica ed il suo segreto simbolico, per cui ciò che prima
non ha alcun senso ne acquista uno, ed anche le cose tenui s'ispessiscono di
contenuto simbolico, mentre le cose apparentemente gravi si denudano di ogni
orpello rettorico, e tutto si dispone gerarchicamente senza che la vita si
mutili o si menomi anzi arricchendosi, intensificandosi in pulsazioni piene, in
prospettive infinitamente complesse mentre l'elementarità restituita, snoda
tutta la dovizia delle sue forme nell'ampiezza feconda del grembo tradizionale.
Si tratta di un denudamento e di una investizione: il mondo e l'uomo prima denudati sono
sottoposti ad una investizione sacra: denudati cioè, purificati, investiti cioè
atti a divenire il luogo del ritorno a Dio in conformità alla loro destinazione
perché altro non è la parvenza del mondo e dell'uomo se non il segno di Dio e
soltanto coloro che li riconoscono come tali sono sicuri di ritornare a Dio e
di sciogliere integralmente le nebbie dell'ignoranza e dell'errore dinanzi alla
luce della conoscenza realizzatrice.
Per coloro che sono
incapaci di un solo pensiero profondo e di una sola visione reale, il mondo
tradizionale è una limitazione ed una prigione: questo concetto, quest'errore
sono l'origine dell'abbiezione umana attuale e si fecero strada negli uomini
proprio quando l 'Europa perdeva la sua tradizione medioevale per farsi
permeare, contaminare, profanare dalla laicità superficiale, impudente,
dall'ottusità della ragione e del senso, perdendo ogni dignità di pensiero ed
ogni giustificazione di vita. Ma il mondo tradizionale per essere volto
nell'asse della verità dà alla stessa vita un'intensità assolutamente ignota
all'Occidente moderno perché ne scopre le scaturigini più celate, ne fa balzare torrenzialmente le posse più feconde, denuda
l'uomo ed il mondo da un lato per capirne le vibrazioni più elementari, lo
veste dall'altro di una rete di corrispondenze ove i rapporti sono percepiti nella
loro determinazione più sottile, dal tempio fino alla casa improntando ogni
cosa d'un senso sacro, profondo, ove tutto serve alla realizzazione della
verità di Dio. La vita nel mondo tradizionale, è veramente pericolosa nel
duplice senso che ha il termine latino periculum; essa è
un'"esperienza" e un "rischio" o, per meglio dire una
"rischiosa esperienza", ove l'uomo, mai distratto, è posto di fronte alla sua nudità, in un ambiente ove tutte le
realtà di bene e di male, di santificazione e di dannazione sono rese possibili
perché tutte le forze sono scatenate per vagliarne l'intensità realizzatrice,
empito pulsante, pluritonale, interno, profondo, reale, umano, di cui l'asse
tradizionale è come la diga di macigni contro cui s'infrangono le tempeste.
L 'umanità attuale non
ha neppure l'idea più vaga di tutta la ricchezza, di tutta la varietà, di tutta
la complessità di un periodo veramente tradizionale, della libertà che vi
regna, delle possibilità infinite che esso offre, del suo tono intenso di vita,
ove l'arte, nel senso profano, non esiste perché la vita stessa è arte, mentre
l'arte vera è simbologia, cioè determinazione dei complessi plastici capaci di
permettere la realizzazione del divino. La commozione stessa che suscita nei
moderni la contemplazione dell'arte tradizionale nelle sue forme più semplici -
cosa, oggetto, mobile, porta - è indice dell'intensità della vita d'allora
tutta vibrante di ritmi assolutamente ignoti ai moderni perché, aborrendo da
ogni artificio limitativo, essa coglieva nell'uomo e nel mondo i complessi più
fecondi e, coll'apparente monotonia degli schemi,
immetteva forze di ogni genere produttrici di esperienze veramente decisive di
cui i cerchi massimi erano la santificazione e la dannazione, il santo ed il
reprobo tra i quali si snodavano volute di ogni grado completando il dominio
delle possibilità contenute nell'asse tradizionale.
In un mondo simile tutto è a posto: male bene,
verità errore, virtù vizio, saggezza ignoranza: anzi gli opposti si manifestano
in tutta la loro nettezza per provare la forza del carattere e porre la
coscienza dinnanzi all'alternativa radicale che,
ricondotta ai due ordini tipici, è poi quella del divino e dell'umano. Si
osservi che questi due termini non sono mai stati tanto confusi, tanto profanati
quanto nell'epoca attuale, anzi diremo di più: il termine "umano"
designa quasi sempre ciò che è nettamente bestiale,
mentre è riputato divino soltanto ciò che è appena umano. In un mondo
tradizionale invece una confusione così diabolicamente feconda di tanti errori
è impossibile, perché il dominio del sacro e del profano è nettamente
determinato, anzi più che determinare il profano, viene
fissato ciò che è sacro, per cui è facile per esclusione, conoscere ciò che non
lo è. Se si dovesse esprimere in termini ancor più chiari la differenza tra un
mondo tradizionale ed una società che non più
aderisce, o almeno liminarmente, alle verità di ordine divino, dovremmo dire
che nel primo è Iddio che parla per bocca di coloro che ne guidano i destini,
mentre presso la seconda sono gli uomini che parlano in nome di Dio facendo del
loro prestigio un uso puramente diabolico e volgendo la loro potenza al
discredito di quelle verità senza le quali ne il mondo ne l'uomo possono
esistere normalmente.
Finora si è parlato della Tradizione in genere
il cui compito è stato precisato nelle sue linee generali senza alludere ad
alcuna delle tradizioni esistite o esistenti: ciascuna di queste determina un
complesso normativo secondo la verità che propone e la disposizione divina da
cui emana: anzi la loro diversità dipende da quest'ultimo fattore che è il più
importante ed il più nettamente determinativo. È
evidente che per abbracciare la totalità tradizionale bisogna porsi da un punto
di vista integrativo che comprende tutte le forme tradizionali senza
confonderle, anzi mantenendo rigorosamente le differenze la cui ragione
d'esistere è d'un ordine duplice: dapprima quella che imperfettamente si potrebbe chiamare l'attualizzarsi dell'espressione divina e
in seguito la necessità del tempo e dei popoli presso cui esse sono apparse. Al
disopra quindi di tutte le forme tradizionali vi è la Tradizione Primordiale,
come al di sopra di ogni manifestazione divina vi è
Iddio in cui si attualizza in sede universale ciò che nelle tradizioni particolari
è presentato come destinato a popoli e razze determinate in un complesso fisso
che contiene, oltre una visione definita del divino, i vari mezzi per
realizzarla efficientemente. La Tradizione Primordiale oltrepassa i confini di
una forma tradizionale determinata e quindi non è possibile precisarne i limiti
e definirne l'ambito, né è questo il luogo di accennare, ciò che è stato già
fatto, ma che per noi non ha un grande interesse, alla sua localizzazione nello
spazio ed alla sua fissazione nel tempo. Ponendoci ad un punto di vista nettamente integrativo, diremo che la
Tradizione Primordiale deve distinguersi dalle successive forme tradizionali
per i seguenti caratteri: essa è diretta, risolutiva ed immediata. Diretta perché è stata la prima e conserva il tipo originario
dell'aderenza completa al Principio Divino da cui emana: risolutiva per la sua
estrema semplicità, essendo più un lampeggiamento rivelatorio che un veicolo
determinato: immediata perché permette la realizzazione integrativa senza residui
e senza transizioni intermediarie. Si pensi un
mondo elementare, ed una umanità elementare la cui vita è tutta sacra, in cui
non vi è nessun margine che si sottragga allo sguardo di Dio che immediatamente
scende sull'uomo e lo guida. Si pensi alla consacrazione di ogni atto, di ogni
gesto, di ogni pensiero, alla denudazione dell'uomo privo di qualsiasi idea che
non sia quella di Dio; alla permeazione radicale attraverso il mondo delle
Forme scioglientesi nei Ritmi e risolventesi nel Silenzio. Si pensi all'assenza
di ogni culto che non sia il culto stesso del mondo in Dio, all'assenza di ogni
tempio che non sia l'universo intero, alla realizzazione integrale dell'unità
divina nella trascendenza di tutte le Forme rese trasparenti in modo da
rivelare attraverso la tenuità della trama la presenza
di Dio. Si pensi ogni uomo sacerdote, il mondo tempio, tutta la vita un rito, la confluenza di tutte le voci nel silenzio,
ogni pensiero una realizzazione, ogni gesto un atto di luce, l'incedere tra le
forme permeabili di questi Figli di Dio nella grande pace, fruenti del segreto
della creazione in una polarità indefettibile, col cuore epurato dal vincolo
della servitù corporale, in una radiazione uguale e costante univertendosi,
come il simbolo cruciale, nella verticalità e nella orizzontalità assoluta
mentre l'alone circolare si svolge secondo il centro della Croce, rotando e
permanendo nella ritmicità del ciclo divino.
Si pensi alla vita come ad
una santificazione, all'unico e vero tempio, il Cuore, dell'unico vero Iddio,
il cui nome è il soffio, il cui ritmo è il respiro cosmico, la cui creazione è
di ogni istante, che si manifesta in un lunghissimo giorno e si occulta in una
lunghissima notte come il sole che appare lungamente e lungamente dispare nella
solitudine polare.
Si pensi a un mondo in cui le stagioni siano
due, una lunga notte ed un lungo giorno ed ove degli
uomini contemplano Iddio in un mondo ancor tiepido del soffio divino, unificato
dalla centralità permanente, prima che la divisione dell'anno fosse quel che
ora è, senza la ricorrenza quotidiana della notte e del giorno, nella pura
intellettualità permeante tutti gli stati umani, nell'attualizzazione
permanente del pensiero che si realizza nelle Forme con una transfigurazione
costante ed una risoluzione infinita.
Si pensi alla vita tutta contemplazione senza
alcuna intermissione di sensibilità sognatrice o di sensualità depauperante.
Si pensi ad una libertà
assoluta nella radiazione cognitiva che ama ignorando di amare e s'unisce
ignorando di unirsi.
Si pensi all'elementarità radicale che ha per
legge il soffio di Dio e per ambito la vita di Dio. Sapienza di Dio nel tempio
di Dio, uomini di Dio nel mondo di Dio, questa è la Tradizione Primordiale
diretta, risolutiva ed immediata nella fulgurazione della
manifestazione e nella lunga notte polare dell'Immanifesto, alveo di tenebra
divina ove si chiude anche il nome Suo in un abisso senz'orme e senza fondo,
sonno di Dio in Dio.
Tutto è sacro dove non vi è profano, dove tutti
gli uomini sono partecipi della saggezza divina, dove la vita stessa è
realizzazione perché vissuta in Dio e contemplata in Dio, ove ogni espressione
è espressione di Dio, ove tutto viene da Dio e ritorna a Dio permanendo in Dio,
ove tutti sono sacerdoti perché compiono il rito della vita che è veramente la
Vita, ove il vero Iddio risiede nel cuore dell'uomo epurato da ogni umana
scoria, ove tutto, interno ed esterno, superiore ed
inferiore, confluisce nell'asse divino che è lo stesso asse tradizionale, ove
la realizzazione assume la sua forma più alta, conoscenza diretta di Dio, ove
non vi è sentimento perturbatore, ove l'intellettualità pura costituisce il
raggio solare che da Dio discende all'uomo, dall'uomo risale a Dio e da Dio
sprofonda nella notte di Dio, nel dominio segreto dell'Ineffabile.
Il mondo stesso converge nella radiazione
unipeta, ridotto alla sua elementarità che meglio riflette lo schema divino,
giorno di Dio e notte di Dio, ritmo del soffio che emette e riprende da sé a sé
nel Sé, svelandosi e valendosi come l'occhio che si apre e chiude lungamente
sulle Forme e nel Silenzio emergono le Forme e i Ritmi snodantisi crucialmente
nell'universalità formale per riassorbirsi nell'universalità
informale con un equilibrio assoluto di vita divina.
Il mondo è il cuore dell'uomo, intelletto
centrale che nel duplice ritmo di diastole e sistole, si manifesta e si immanifesta, lanciando la vita e riprendendola, giorno e
notte, ma giorno che è giorno e notte che è notte, integralmente volgendosi nel
duplice aspetto del fuori e del dentro, del basso e dell'alto, mondo e Dio, Dio
e mondo, né mondo né Dio perché tutto tutto Iddio.
Questa è la Tradizione Primordiale e questi sono
gli uomini della prima età del primo mondo, esseri di pura conoscenza, esseri
di pura contemplazione aventi in sé il proprio tempio, nel combaciamento di due
alvei, il cuore ed il mondo, cuore di Dio e mondo di
Dio in una concordia che era veramente l'unificazione dei cuori
nell'intellettualità del Cuore sede dello Spirito Divino che si dilata nelle
Forme e nei Ritmi e si concentra nel Silenzio amandosi in conoscenza e
conoscendosi in amore. Da questa sorgente originaria derivano i grandi fiumi
tradizionali, le varie forme tradizionali, tutte ricollegate alla Tradizione
Primordiale a cui devono la giustificazione della loro
vita, l'efficacia dei loro metodi e l'ortodossia dei loro principi. Come i
fiumi discendono, irrigano e fecondano, e come l'esigua sorgente alpina li
alimenta indefettibilmente, così le varie forme tradizionali emanano dalla
Tradizione Primordiale per ricongiungere gli uomini al Principio Divino e
ricondurli, attraverso la molteplicità delle vene acquee, alla sorgente che
incessantemente le vivifica. Esse sono opera di Dio e ritornano a Lui: raggi
fluviali che scaturiti dalla sorgente nascosta ed
invisibile perché lontana e remota, tracciano il loro percorso tra luoghi
impervii, li fecondano, danno loro vita, sfociano nell'oceano circolare che
circonda la terra da ogni parte e ne assicura l'equilibrio. Si
fissi il simbolo e si realizzerà la circolarità delle acque marine di cui i
fiumi sono altrettanti raggi confluenti nel centro unico che è la sorgente,
cioè la Tradizione Primordiale: questa è realmente il centro, il cuore della
terra mentre i fiumi, cioè le varie forme tradizionali, sono le vene della
terra che distribuisce l'"acqua di vita", la linfa divina, dolce
all'inizio, intorbidata da tutte le scorie e da tutti i detriti, fino a
diventare amara e salata quando forma la massa oceanica che circonda la terra.
Mentre l'acqua dei fiumi è dolce e bevibile, non lo è quella del mare che si
deve attraversare per oltrepassare la terrestrialità ed
assurgere di nuovo agli stati superiori del vero mondo i cui anelli siderei
simboleggiano le approssimazioni divine.
La Tradizione Primordiale rappresenta adunque la
purezza dell'insegnamento divino nella Sua espressione più genuina, più
semplice, più difficile, assolutamente intellettuale, destinata agli uomini
remoti di un mondo remoto ove l'aderenza al divino era
più completa e sicura: si può dire quindi che essa non ha neppure una forma
determinata, racchiudendo sic et simpliciter la Verità direttamente
realizzabile da coloro che possono, vivendo, integrarla, perché, come abbiamo
detto, tutto è sacro all'inizio nella corrispondenza dell'interno e dell'esterno
che non permette alcuna immissione. Le varie forme tradizionali invece si
presentano determinativamente limitate ad
un'espressione fissa che non può essere che quello che è per adattarsi al
momento in cui si sono manifestate e agli uomini già lontani dalla primitiva
perfezione. Ma se gli uomini sono imperfetti non si
deve concludere all'imperfezione delle forme tradizionali che, tutte di origine
divina, offrono integralmente la verità anche mantenendo un punto di vista che
è affermato come esclusivo di ogni altro per garantire la sicurezza dei
risultati a cui si giunge conformandovisi.
Tutto è disposto secondo il piano provvidenziale
e questa è la ragione delle forme tradizionali varie la cui successione ed il cui sviluppo si riferiscono ad un attributo del
Signore, la Clemenza, per cui tutti gli uomini hanno un veicolo adatto al
ritorno verso il principio da cui si sono allontanati e senza del quale la loro
stessa esistenza sarebbe priva di valore o significato. Ma vi è di più: la
varietà delle forme tradizionali risponde ad un'altra
più profonda, esigenza, un'unità nella molteplicità, la centralità divina
attraverso le divergenze dei punti di partenza, senza che le vie si confondano,
poiché ogni forma tradizionale è inconfondibile come il raggio che da un punto
della circonferenza va al centro ne si deflette o si unisce con gli altri raggi
che provengono da altri punti. Ogni vera forma tradizionale è quindi
strettamente ortodossa e la sua norma è inassociabile a quella di altre
tradizioni perché in tal caso si giungerebbe ad un
assurdo, la confusione dei punti di partenza, l'immistione delle vie
realizzatrici, l'impossibilità di seguire un processo definitivo e risolutivo:
ogni tentativo di tal genere è condannato alla sterilità perché proviene da
un'unione mostruosa. Quindi si condanna da se ogni
forma di sincretismo - e non mancano in quest'epoca di completa decadenza
spirituale - ogni confusione di vie che proviene dall'ignoranza delle
virtualità contenute in ciascuna di esse. È consigliabile perciò ed è prudente
che gli uomini, per il destino delle loro anime, aderiscano alla tradizione a cui appartengono senza condannare - ciò che sarebbe
assurdo - e senza occuparsi delle altre forme tradizionali per interpretarle
erroneamente e cercare di confonderle con la propria. Ciò è più sicuro per essi
perché la delimitazione della via garantisce la possibilità del successo, e ciò
che è in gioco, il destino della propria anima, è veramente troppo importante per essere così scioccamente compromesso. Troppi sono gli
elementi positivi che assicurano all'uomo il suo destino nell'ambito della sua
stessa tradizione, elementi di ogni sorta, che lo sostengono, lo incitano, lo
preservano dagli errori; egli è sicuro di seguire una via di cui conosce gli
sviluppi, che tutti percorrono intorno a lui, a cui in
fondo è destinato per essere egli nato in quel determinato ambito tradizionale.
Le così dette conversioni perciò hanno quasi sempre un
carattere dubbio perché sono innaturali e perfino in contrasto aperto col piano
provvidenziale divino, che ha destinato a ciascuno la sua vita. S'intende che
parliamo di passaggio da una forma tradizionale ortodossa a un'altra ugualmente
ortodossa /... /
Quindi risulta da ciò
che ogni forma tradizionale è bene conservi il suo ambito ed il proselitismo ed
il persecuzionismo sono assolutamente dannosi, e, più che tali, contrari alla
Provvidenza divina che ha voluto e disposto le varie forme tradizionali. Ma come abbiamo detto, tutte queste forme confluiscono in
uno stesso punto che è la ragione della loro centralità.
Qui s'impone un'osservazione: l'espressione
"medesimo punto" "medesimo centro" non deve far pensare a
qualcosa di materialmente identico, insomma ad una
pseudounità formale: il centro è Iddio e l'unità Sua è unità divina, Identità
Suprema, indesignabile, ineffabile, ma assolutamente inconfondibile con ciò che
l'uomo designa come tale nell'ambito delle cose sensibili, immaginabili o
concepibili. Questo "punto", questo "centro" è precisamente
l'origine delle forme tradizionali, la giustificazione della loro ortodossia e
del loro carattere sacro perché esse sono superumane, d'ordine assolutamente
rivelatorio. Ma se schematicamente .tutte le
tradizioni tracciano una linea che dall'uomo giunge fino a Dio, essa è seminata
di tappe, di punti; ognuno degli uomini giunge fin dove è destinato che giunga
e non oltre. Diciamo questo per sfatare l'errore così frequente dei pseudomistici moderni i quali, considerando nel modo più
ingenuamente semplicistico il rapporto uomo-Dio, ignorano la complessità del
processo risolutivo della creatura nel Creatore, la difficoltà del compito che
la tradizione facilita ma non elimina, lasciando a ciascuno la responsabilità
dello sforzo, i rischi delle cadute e l'autonomia nella scelta del proprio
sentiero.
"Ars una, species
mille"! Se è vero che "chi s'aiuta Iddio
l'aiuta" non è meno vero che bisogna cominciare ad aiutarsi per
sollecitare l'aiuto divino: si potrebbe dire che Dio sia vicino a coloro che
salgono a Lui facendo della loro morte il principio della vera vita di modo che
vi è un doppio processo dall'umano a divino e dal divino all'umano - absit
iniuria verbis! - fino al limite d'intersezione tra l'umano e il divino, punto
cruciale, risolutivo, nel quale l'umano si dilegua e rimane il
divino onde si inizia solo di qui l'ascensione vera e propria nel modo
soprannaturale.
Questi accenni alla complessità della
realizzazione fanno comprendere l'ampiezza di ogni forma tradizionale che tende
a fare della vita un rito per avvicinarsi alla purezza della Tradizione
Primordiale e lancia un'infinità di ponti, semina una infinità
di "sostegni", distingue un'infinità di "sentieri" per
permettere a tutti gli uomini che seguono la via di Dio di realizzare una
perfezione connaturata alle loro possibilità. Ogni passo in questa via, ogni
progresso, per piccolo che sia, è enorme in rapporto alla semplice condizione
dell'uomo a-tradizionale o anti-tradizionale il quale vive profanamente, fuori
del tempio di Dio, ed aumenta il cumulo dei residui
umani che costituiscono una specie di sentina eterna, serbatoio di detriti
cosmici, precipitazione infera permanente. Mentre affermiamo la necessità che
le varie forme tradizionali rimangano inconfondibili e nettamente autonome per
la diversità e la varietà del punto di partenza che determina la direzione del
raggio centripeto e l'impossibilità di sovrapporre, assimilare, sincretizzare
la norma di sviluppi tradizionali differenti, dobbiamo però risolutamente
affermare che è possibile - a pochissimi soltanto - porsi ad
un punto di confluenza tradizionale ove il processo unipeto appare in tutta la
sua evidenza e le varie forme tradizionali sfociano nella Tradizione
Primordiale che le comprende perché è la più alta, la più pura, la più diretta
e risolutiva. Questo punto deve necessariamente essere lontano dal termine
iniziale del processo, cioè dalla circonferenza da cui parte il raggio o asse
tradizionale, perché, come abbiamo detto, la visione unificatrice è qui
impossibile senza confondere o imbastardire la direzione tradizionale. Questo
punto sarà lontanissimo dal punto di partenza, anzi
sarà il più lontano di tutti i punti del raggio che dalla circonferenza va fino
al centro: questo punto è il centro stesso ove tutte le Forme Tradizionali
confluiscono. Solo nel centro si opera l'unificazione nell'asse unico della
Tradizione Primordiale e tutte le prospettive, pur rimanendo differenti e
distinte, rivelano l'essenza della Verità divina una e indivisibile.
Nell'impossibilità di dare un'immagine adeguata
a ciò che per sua natura è inesprimibile, si pensi ad
una sorgente unica di luce che si riflette e riflettendosi si sfaccetta,
s'irida, si divide e da ciascuna di queste nuove luci s'irradia, s'estende, e
circolarmente ritorna alla sorgente da cui è nata. Coloro che si pongono al
centro risolvono la varietà prismatica nell'unità tradizionale e seguono nei
vari raggi e nei punti disseminati lungo questi raggi, cioè nelle varie forme
tradizionali, corrispondenze certe, sicure, hanno di tutte queste forme una
visione integrale, completa, radicale e ne comprendono esattamente la natura,
ne scorgono le strutture più intime, i segreti più riposti.
Indubbiamente una visione integrativa simile
costituisce l'apice della realizzazione tradizionale e implica la conoscenza
dei simboli di cui ogni forma tradizionale fa uso per l'impossibilità di
esprimere certe verità e di farne sentire il valore ed
il senso profondo se non simbolicamente. Questa visione è riservata a
pochissimi e questi pochissimi sono i Maestri: attualmente
ne conosciamo uno solo.
Riponendosi nell'asse assoluto della Tradizione
Primordiale da cui tutte le forme tradizionali si fanno permeabili,
trasparenti, si giunge alla multivisione riservata alla centralità consapevole
e realizzatrice ove ogni processo, ogni simbolo, ogni
stato, è ricondotto alla sua natura vera in una comprensione unipeta che
attraversa strato su strato, parificando e per così dire assificando tutto il
complesso tradizionale. Più che una visione, questa è un'integrazione
realizzatrice che coglie tutte le voci del coro tradizionale e le unifica, le
modula, in una teodia immensa ed unitonale. Questa
realizzazione è veramente il segreto dell'unità tradizionale, la riduzione
delle divergenze nell'equilibrio assiale ove la Tradizione di tutte le
Tradizioni è l'espressione diretta della faccia di Dio contemplata
immediatamente, risolutivamente dinanzi al trono della maestà divina fin dove
può giungere lo sguardo epurato da ogni nebbia umana. Un progresso
ulteriore è necessariamente meta-tradizionale perché si compie senza compiersi,
senza passaggio, senza ascesa, senza gradi, spontaneamente, in uno sbocciare di
luce in luce prima, in uno sprofondare di tenebra in tenebra poi, fino alla
soglia dell'Identità Suprema.
Su questa soglia la tradizione si dilegua perché
nulla vi è più da insegnare, nessuno più da guidare, né maestro, né discepolo,
né adorante, né adorato, né meta, né fine, né amante, né amato, né via che
meni, né centro a cui si tenda, ma vi si consuma la
transfigurazione di Colui che creando distrugge e distruggendo crea, di Colui
che immillandosi permane uno, uno dell'uno nell'uno, Dio di Dio in Dio, Santo,
Santo, Santo.
Questo è veramente il termine della conoscenza
integrale, della scienza sacra che, dalla Tradizione Primordiale alle varie
forme tradizionali che l'esprimono, fu di età in età
trasmessa per opera dei sacerdoti dello spirito agli uomini perché l'umanità e
il mondo non siano un vincolo né una prigione né una caduta, ma il luogo stesso
ove, vinta la morte, s'opera la resurrezione della carne nel nome, nel segno e
nella legge di Dio.
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