Ibn 'Arabî
Consigli all’aspirante
Sappi, o murîd[1], dove sta la salute della tua anima. La cosa che ti è
necessaria prima di ogni altra è la ricerca di un maestro (ustâdh)[2]
che ti faccia vedere i difetti della tua anima e ti
sottragga all’obbedienza verso essa, dovessi andare a cercarlo alle estremità
del mondo.
Qui io ti darò – se piace a Dio – dei consigli riguardo a ciò che devi fare durante la ricerca del maestro (shaykh) e fino a quando lo troverai.
Quando l’avrai trovato, aggrappati a lui e mettiti sinceramente al
suo servizio, perché «il presente vede meglio dell’assente»; sii allora tra le
sue mani «come il morto nelle mani del suo lavatore».
Che non ti venga in mente nessuna idea di resistenza, anche se lo vedi mancare
alla legge su qualche punto, perché l’uomo non è infallibile. Tu non gli
nasconderai niente di ciò che arriva alla tua anima, che si tratti di cosa
lodevole o biasimevole, e a proposito di chicchessia.Qui io ti darò – se piace a Dio – dei consigli riguardo a ciò che devi fare durante la ricerca del maestro (shaykh) e fino a quando lo troverai.
Non ti metterai nel posto dove sosta d’abitudine, né vestirai i suoi abiti, né
ti siederai davanti a lui senza essere pronto ad alzarti, come un servitore
davanti al suo signore: quando ti darà l’ordine di fare una cosa, resterai al
tuo posto finché tu non abbia compreso ciò che ti ordina, senza affrettarti ad
andare prima di sapere quale è il suo ordine.
Quando gli descrivi
uno stato, per esempio un sogno o un’altra cosa, non domandargli che ti faccia
un commento. Quando gli poni una domanda non gli domandare una risposta, re
riferirgli ciò che un altro ha detto su tale soggetto.
Quando conosci uno dei
suoi nemici, fuggilo in Allâh, non ti sedere con lui e non restare in relazione
con lui; ma quando vedi qualcuno che lo ama e che lo loda, amalo
e rendigli servizio.
Se il tuo maestro
ripudia una donna, non sposarla.[3]
Tu presterai attenzione di non entrare nella camera di ritiro (khalwah) dello shaykh. Non passerai la notte nella sua camera o là dove riposa; tu
ti coricherai in prossimità, m senza che tu possa vederlo, e tuttavia tanto
vicino da poter udire se ti chiama.
Non cercare di
interessarlo a una cosa che tu fai, perché tu contrasti così un principio
fondamentale; questo principio sul quale è fondata la
tua condizione è che tu non devi volere, se non ciò che ha voluto lo shaykh.[4]
Quando una cosa (differente) ti viene alla mente, rigettala fuori da te e torna
a ciò che ti ha prescritto, attenendoti fermamente. Vi sono dei maestri che,
quando li consulti su una cosa che ti riguarda, ti rispondono: «falla!» benché non la gradiscano. Se un tale shaykh ti dicesse
allora di «non farla» questa sarà per tuo profitto ma a suo detrimento; ora ma
priorità sta naturalmente (in una tale circostanza) a ciò che conviene alla sua
anima. Tu non eviterai tali danni se non astenendoti dal richiamare il suo
interesse su delle cose che hai intenzione di intraprendere; devi anche
allontanare tali pensieri senza metterli in atto, perché il tuo tempo sarà già
pieno di ciò che ti impone il tuo shaykh.
I pensieri imprevisti
e arbitrari (al-khawâtir) non vengono
che al cattivo discepolo, dedicato alla pigrizia, indolente esteriormente e
interiormente.
Non ti opporre al
maestro riguardo ad uno dei suoi atti. Non gli
domandare: “perché fai questo?”. Sarai così allievo e
servitore di colui che lo shaykh avrà stabilito come tuo capo.
Non ti sedere mai in
un luogo, ovunque sia, senza assicurarti che lo shaykh ti veda; osserva sempre le regole di convenienza (al-adab). Sulla strada
non camminare mai davanti a lui se non di notte. Non prolungare il tuo
sguardo su di lui: che il tuo soggiorno sia normalmente nella camera del ritiro
(khalwah), o dietro la porta della
camera dello shaykh in modo che ti
possa trovare quando lo desidera.
Non ti occupare degli
affari di un altro, fosse anche tuo padre, se non dopo aver domandato consiglio
al tuo shaykh. Non
entrare da lui senza baciargli la mano e restare in seguito in silenzio e con
gli occhi bassi.
Renditi gradevole a
lui conformandoti agli ordini che ti da e alle
osservazioni che ti fa.
Sii guardiano fedele
della sua buona reputazione.
Quando gli porti da
mangiare mettilo davanti a lui con tutto ciò di cui ha bisogno e torna ad
aspettare dietro la porta; se ti chiama rispondigli,
altrimenti lascialo fin quando non avrà finito il pasto; quando l’avrà finito
leva la tavola o la tovaglia quando te lo ordinerà. Se resta qualcosa del suo
pasto, e ti ordina di mangiarlo, mangialo
e non dividere con nessuno la tua parte. Guardati da fare in te stesso delle
riflessioni come questa: “Lo shaykh
mangia da solo” o di stupirti del pasto che mangia, ugualmente se mangia molto
perché questo potrebbe portarlo a fermarsi o, al contrario, se continua, a
procurargli del male a causa della tradizione conosciuta che rimprovera colui che si isola per mangiare solo.
Sforzati nel non
mostrarti nelle cose che non lo deliziano da parte tua e non essere invidioso
nei suoi confronti.
Diffida dell’inganno
dei maestri, perché a volte fanno dei trabocchetti a colui
che domanda. Sorveglia i tuoi respiri quando sei con loro. Se ti ricordi
di aver mancato di convenienza verso il tuo shaykh, e sai che egli ne è a conoscenza ma che l’ha tollerato
senza punirti, sappi che ti ha teso una trappola perché sapeva che tu non
avresti fatto nulla; è per questa ragione che egli ha taciuto. Per contro,
quando ti punisce senza ritardo e nel momento stesso e ti tratta con severità,
prendi di buon grado tale rimprovero entrando nelle sue grazie e nella sua
soddisfazione. Che la sua soddisfazione non ti rassicuri troppo per quanto ti
riguarda; piuttosto quando lo credi ben disposto, in cuor tuo deve aumentare il
timore e la considerazione, così la venerazione e il rispetto.
Quando mostra buona disposizione e accondiscendenza,Tu devi avere ancor più timore e considerazione
Se lo shaykh parte in viaggio e ti lascia sul
posto, sii assiduo a frequentare il luogo in cui restava abitualmente salutandolo
ciascun giorno alle ore in cui andavi da lui, proprio come fosse sempre lì, e
osserva scrupolosamente il rispetto nei suoi riguardi durante la sua assenza
nella stessa maniera di quando è presente.
Quando vedi che vuol
uscire per andare altrove non domandargli “dove vai?”
né farti delle idee di cosa va a fare. Se ti consulta
lasciagli la scelta perché se ti coinvolge con una domanda non è perché ha
bisogno del tuo parere ma per manifestare il suo affetto per te e per educarti.
Se lo vedi frequentare
assiduamente un certo luogo, non dirgli che lo hai visto né dire
a te stesso che è una «abitudine» e quando lascia un luogo dove si recava
regolarmente non rimarcarglielo.
Non fare
interpretazioni riguardo a ciò che ti ha ordinato e a ciò di cui ti ha parlato ma resta all’accezione letterale di ciò che hai
ascoltato e dedicati a quello che ti ha domandato; anche se sei convinto che
sia un errore tu devi eseguire l’ordine senza autorizzarti a interpretarlo (la’wîl). Perché se tu interpreti
quest’ordine e arrivi a «veder giusto», è comunque un difetto, allorché se tu non fai alcuna interpretazione e di dedichi a
ciò che ti ha ordinato, anche quando l’ordine in questione sarà un errore, tu
avrai «visto giusto». La buona direzione nella via consiste, secondo noi, in
questo: che il murîd è con lo shaykh e che lo shaykh è con Allâh; essa
non consiste nel riuscire a interpretare l’ordine secondo una scienza sicura,
ma nella conformità esatta all’ordine ricevuto al di fuori di ogni
speculazione. La ragione segreta di questa legge è chiaramente manifesta per
noi nel piano divino.
Quando proponi allo shaykh delle accezioni
particolari riguardo a ciò che ti ha ordinato o quando gli dici “Mi sono
immaginato che voi vogliate tale cosa”, sappi che vai in una direzione sbagliata
perché ti appoggi alla tua anima individuale.
I guai che ricadono
sulla maggior parte dei discepoli non si spiegano che per l’uso
dell’interpretazione, perché le speculazioni in questo
ordine di cose sono soggette alle tendenze dell’anima, allor quando la ragione
cerca ciò che è rigoroso dal punto di vista formale (zhâhiri) non ciò che è certo quanto al fatto (yaqînî). Non speculare dunque riguardo all’ordine dello shaykh, perché un ordine
nella sua totalità è obbligatorio: vi si reca quando si è convocati.
Non fare la preghiera
in un luogo in cui devi dare la schiena al tuo shaykh se presente: cumula le due convenienze[5]. Non gli esporre un qualsiasi argomento se non per suo
ordine. Non restare con lui quando mangia, né quando dorme, né in un altro caso
della sua vita abituale, e l’osservanza di queste astensioni sarà per te un
bene, salvo quando te lo domanderà egli stesso. Per quanto riguarda la
circostanza nella quale ti ha invitato, non bisogna, per esempio, che tu ti
mostri con un cucchiaio, come se dicessi “O sîdî
m’inviti a mangiare con te?”, o ancora (in un’altra circostanza): “Mi ordini di
coricarmi nella stessa stanza con te o piuttosto che me ne vada?”, perché in
questi casi, vi è da temere che ti dica “Fallo!” o “Mangia con me!”, o «Dormi
al mio fianco!” e questa è l più grande disgrazia che
noi, per il fatto che si arriva a
una famigliarità e alla perdita di rispetto e del timore reverenziale. Fin
tanto che non si terrà conto di queste regole il
discepolo non avrà prosperità, e questo senza alcun dubbio. Colui
che dice il contrario di ciò che diciamo qui non conosce la propria
anima.
Tale deve essere il
tuo comportamento, o discepolo, con lo shaykh
quando tu l’avrai trovato!
Ora io ti darò – se piace ad Allâh – dei consigli per il periodo durante il quale tu sarai
alla ricerca dello shaykh.
La prima cosa in
quest’ordine è il pentimento (al-tawbah)
che implica di dare soddisfazione dovuta al tuo avversario, di riparare le
ingiustizie commesse, se questo è ancora possibile, di piangere per rammarico
per i momenti persi nella trasgressione della Legge, e di essere nella piena
coscienza che sei certo dei tuoi peccati ma non sei
sicuro del tutto dell’accettazione della tua penitenza.
Non ti sedere che in
stato di purità rituale perfetta; quando perdi questo stato per
un’eliminazione, rifai la tua abluzione, e quando hai fatto l’abluzione fai una preghiera di due rak’at.[6]
Altri
punti prescritti: l’osservanza delle cinque preghiere quotidiane e il
compimento delle preghiere surerogatorie (queste) nella tua camera.[7]
Sul compimento della preghiera (as-Salah)
Quando devi fare
l’abluzione, sforzati di farla in modo da restare «fuori dal terreno della
divergenza delle opinioni giuridiche» (al-khurûju-mina-l-khiiaf)[8]
e compiere la migliore e la più perfetta abluzione
qualcuno in vista della preghiera.
All’inizio di ogni
movimento pronuncia il nome Allâh con
il proposito di lasciare questo basso mondo.
Pulisciti la bocca con
il desiderio di prepararti al dhikr e
alla salmodia del Corano. Aspira l’acqua dal naso con l’idea di prepararti
all’inspirazione dei profumi divini, e soffiala con la risoluzione della
sottomissione e della rinuncia all’orgoglio. Lava il tuo viso con la coscienza
del pudore, poi le tue braccia fino ai gomiti con la volontà di rimetterti a Dio
in tutto ciò che farai. Ricopri anche il tuo capo di umiltà, d’impoverimento e
il riconoscimento dei tuoi difetti. Lava i tuoi piedi con il proposito di poter
viaggiare fino al Kathîb, che è il
paradiso della Visone Contemplativa.
Alla fine loda Allâh per tutto ciò che è degno di Lui e
domanda delle grazie sul Suo Inviato che ti ha esplicato
le regole della Direzione per eccellenza.[9]
Dopo questo portati nel luogo in cui devi compiere la preghiera
con l’idea che tu sei davanti al tuo Signore, e senza che questo comporti
alcuna concezione limitativa o figurativa. Rivolgi verso Lui il tuo cuore così
come dirigi il tuo viso verso la Ka’aba,
e realizza che non vi è nell’esistenza che Lui e te.
Sii sincero e proclama la Sua Grandezza (Allâhu
Akbar!) con l’idea di magnificazione accompagnata dalla coscienza della tua
servitù.
Quando u reciti, ti
porrai nella disposizione relativa al versetto
recitato: se si tratta di una lode ad Allâh,
tu ti comporterai come recitatore di parole che Egli ti detta del Suo Libro per
insegnarti la lode che bisogna rendergli; se si tratta di un versetto che
contiene un ordine o una proibizione, ecc. osserverai
quali sono i imiti enunciati e ti sforzerai di renderti conto in quale misura
il tuo Signore si rivolge a te con le regole prescritte. Allora tu ne prenderai
atto nel tuo cuore alfine di compierle o rispettarle.
In seguito, osserva il
tuo ciuffo nella Sua Mano quando sei in «inclinazione» (ruku’) nel «raddrizzamento» (raf’)
e nella «prosternazione» (sujûd), così come in tutti i tuoi movimenti: ogni pretesa cadrà da
te quando tu ti vedrai tale; e che sia così fino al saluto finale. Quando compi
questo saluto, resta fermo nel proposito che non vi
sei che tu e il tuo Signore (Gloria a Lui!). Con la parola di saluto, tu
saluterai allora colui che ti ha ordinato di salutare,
perché il tuo saluto è (in realtà) su te stesso (conformemente al versetto):
“Quando entrate in una casa, fate il saluto sulle vostre anime con dei voti che
vengono da Allâh, benedetti e piacevoli…”[10].
Quando entri nella tua
casa, vivificala compiendo una preghiera di due rak’at e fai lo stesso in ogni casa dove
andrai.
Sull’acquisizione dei mezzi per vivere e
la remissione ad Allâh
Tu lavorerai per
guadagnare la tua vita se manchi di certezza (yaqîn)[11].
Non mostrerai remissione a Dio (tawakkul)
fin tanto che ignorerai questa virtù; non immaginare che la tua impotenza risulti dalla forza della certezza e dalla qualità del tuo
abbandono, perché questo non è dato se non dall’imperfezione della tua
aspirazione (himmah), dalla bassezza
del tuo livello e della tua poca conoscenza.
Lavora quindi e fai
tutti gli sforzi per questo. Se la tua anima ti domanda di fermarti e di
rimetterti alla volontà divina, non la combattere, accordagli l sua pretesa e parti con essa verso un luogo dove non sei
conosciuto, verso le grandi città, là dove lo straniero non è notato in mezzo
alla gente del paese. Non restare in un solo posto, ma cambia da un luogo
all’altro. Non ti legare con nessuno, non ti far conoscere da
qualcuno.
Quando tu «vedi» un
uomo e ti accorgi che ti porta qualcosa, o quando «ascolti» il suo movimento
senza vederlo, e che la tua anima dice “questa è un’«apertura della grazia» (fat’h) dalla parte di Allâh”, e che l’uomo ti porta qualcosa
per mezzo di questa «apertura»[12], non l’accettare, ma restituiscigliela, perché egli non te
l’ha portata che come effetto di un’attesa avida in ragione dell’attaccamento
della tua anima ai beni (rizq) al
punto che costui ne ha avuto percezione. Allora dove è Allâh e dov’è la tua anima? Non prendere questo anche se sei sul
punto di morire. Ma quando una cosa ti arriva senza attenderla e la trovi
davanti a te, osserva subito ciò che senti nella tua anima al momento del primo
pensiero che ti viene al momento di questa «apertura»: se provi uno stringimento
del cuore, rifiuta la cosa offerta e lascia ciò che ti provoca un dubbio per
ciò che non ti fa dubitare; se tu non provi questo stringimento
ma rilassamento e se questo rilassamento è accompagnato da avidità, rifiuta
ugualmente la cosa e non l’accettare. Se questo rilassamento non è accompagnata da avidità, accetta l’offerta e prendi ciò di
cui hai bisogno per il momento e restituisci il resto; dopo non rimanere più in
questo luogo, lascialo se la città è grande, per un altro luogo. Non cercare i
luoghi dove arrivano abitualmente delle «aperture»,
come per esempio nei ribat o le
moschee, ecc. … che sia così fino a quando avrai acquisito una sufficiente
forza della certezza. Se non procederai così, tu tradirai la tua anima.
Non far intervenire
qui la parola del sufi che, parlando del proprio grado di realizzazione dice
“Io non vedo nient’altro che il mio Signore” (e di conseguenza, in qualunque
maniera arrivi qualche cosa, essa viene sempre da Allâh) perché costui non giunto a poter parlare così senza aver
sopportato ciò che ti ho indicato, e è per questo che
può pralare così; ed l’autorizzarsi nel dirlo è un’impostura, fin tanto che si
è debuttanti nella via.
Sulla compagnia (as-Suhbah)
La compagnia è la cosa
peggiore per il murîd, perché la Via
è costruita sulla rottura delle frequentazioni e sulla rinuncia alla
compiacenza. Noi sconsigliamo la compagnia, perché essa porta con sé dei legami
e delle famigliarità, così come dei mutamenti di stato; pe esempio, dalla
separazione dagli amici ne consegue dispiacere. È per questo d’altronde che i
maestri dicono “Colui che prova intimità quando è in khalwah (ritiro) e dal disagio nella
società, la sua intimità è in realtà con la khalwah,
e non con Allâh!”.
Di conseguenza, ciò
che compete prima di tutto al murîd è
di scostarsi dalla compagnia. La sua unica aspirazione deve essere la ricerca
del maestro. Quando lo troverà che non guardi verso
nessun altro. Egli non deve stare in compagnia dei suoi fratelli tra i
discepoli dello shaykh, né sedersi
con essi salvo quando glielo ordina lo shaykh.
Egli deve essere con le creature – quelle del suo genere o le altre
– come un essere selvaggio che le rifugge: cercherà così l’intimità di Allâh facendo molto dhikr e con passione.
Il murîd non deve passare la notte con un
altro, né sedersi con lui. Se è costretto a essere in compagnia con qualcuno,
sorvegli la propria anima nei suoi riguardi e se constata
che sente dispiacere quando il suo compagno è assente, che lasci questa
compagnia; se questo lo segue e lo cerca, fugga dal paese.
Questa condotta sarà
osservata similmente per ciò che concerne i vestiti e l’abitazione; quando egli
sentirà che ama il proprio abito, che lo venda e ne acquisti un altro; o se non
ha bisogno di un altro abito in cambio, che ne faccia regalo a qualcuno; quando
amerà la propria abitazione, che la lasci per un’altra. In maniera generale,
egli non deve restare con una cosa che gli prende una parte del cuore, e dovrà
diventare un «solitario» (fardânî)
nell’esistenza, perché Allâh –
che sia glorificato al di sopra di tutto – non
si rivela a un cuore che è in intimità con altri che Lui, che sia tra gli
esseri obbedienti o tra gli altri.
Se non fosse necessario avere uno shaykh
come medico, e se non fosse affetto dalla «malattia»
che lo deperisce, non gli sarebbe permesso essere a fianco dello shaykh stesso: non deve d’altronde
sedersi con lui in modo familiare, ma per ricevere l’insegnamento che gli
conviene. Perché quando l’allievo diventa familiare con lo shaykh la diventa più lunga per
lui, il «trattamento» sarà più difficile per lo shaykh e gli diventerà in più penosa; anche la guarigione sarà più
lenta a venire; tutto questo a causa della familiarità del discepolo con il
maestro.
Ciò che il discepolo
desidera dal murîd, è trovarlo
costantemente occupato con il dhikr
nel suo cuore, al punto che quando una cosa l’obbligherà
ad essere con qualcun altro, fintanto che se ne occupa, lo vedrà soffrire. È
così che lo shaykh sa che il murîd ha avuto un’«apertura
di grazie».
I rapporti del murîd con gli altri devono essere
impregnate di sottigliezze, di qualità virili e di generosità; egli non farà
velere i suoi diritti su di essi; egli li considererà superiori a se stesso e
non si attribuirà alcun diritto su di essi, ancor meno una qualche superiorità.
È per questa ragione che abbiamo ordinato al murîd di sottrarsi alla compagnia, perché questa ha dei doveri cui
egli deve soddisfare ciò che costituisce una preoccupazione a detrimento dei
diritti di Allâh nel suo cuore.
L’isolamento e la fuga
sono dunque di un’importanza primordiale. La compagnia non può essere che una
prerogativa delle persone ben salde tra i più grandi santi. Tu starai con
questi dominando la tua anima: se essi ti biasimano, accetta il loro biasimo;
se ti lodano dì te stesso che queste sono le loro qualità che li fanno parlare
così e che Allâh non gli fa vedere
qual è il tuo vero stato perché Egli li ha velati, e non vedrà quindi questa
cosa se non come una vergogna. Non ti rallegrare quindi dei
loro elogi e delle loro lodi.
Sulla sollecitazione verso le moschee (as-sa’i ilâ-masâjid)
Il murîd non deve moltiplicare le sue
azioni perché queste sono causa di dispersione. Per qusto gli sconsigliamo di
fare viaggi, potendo essere il suo stato turbato, salvo quando andrà a cercare
uno shaykh per dirigersi sulla via
spirituale; Similòente quando uscirà per andare alla moschea o adun impegno
indispensabile, non deve girarsi a destra e a sinistra: nel suo cammino porrà
il suo sguardo là dove deve mettere i piedi, questo per timore del precedente
che costituisce sempre il «primo sguardo».[13]
Quindi egli si occuperà con il dhikr,
renderà il saluto a colui che lo saluta, senza
fermersi con uno o l’altro e senza domandargli “Come va?”. Che si astenga da
questo perché per noi è un punto che non manca di gravità. Deve allontanarsi
sulla sua via da tutto ciò che è nocivo[14]: pietra, spine o escremento, e se trova un pezzo (di pane,
di stoffa o di carta), che la raccolga e la ponga su qualche finestra per non
lasciarla calpestare dai piedi. Mostrerà la buona direzione a colui che avrà perso la strada, e aiuterà il debole,
spartirà il carico di chi è sovraccarico. Tutto questo è un obbligo per lui.
Quando egli saluta egli invierà il suo saluto ad ogni
pio servitore di Allâh sulla terra e
nel cielo ed è da questo stesso maqâm
che il saluto gli sarà reso.
Osserva la regola di
non affrettare la tua marcia, ma cammina lentamente
esenza atteggiamenti, perché è meglio per il tuo scopo.[15]
Se trasporti un peso e
vuoi riposarti collocati a do della strada per non disturbare il passaggio
della gente.
Non frequentare le
sedute dei canti spirituali. Se il tuo shaykh
ti dice di andare, vai, ma non parteciparvi e occupati con il dhikr perché ascoltare l’incantazione
del proprio dhikr
è una cosa migliore che ascolatre i poemi cantati, soprattutto quando il
cantore mostra poco amore e dsiderio, e che l’anima si mette a fremere con la
pretesa agli stati spirituali. Se il cantore parla della morte e di ciò che
ricorda il timore, il contrimento, la tristezza e le lacrime, nominando ad
esempio la Gehenna e il carattere
passeggero della vita di questo mondo, o il trapasso e i suoi timori, la resa
dei conti e le pene del talione, o ancora frasi della resurrezione, allora presta attenzione e rifletti a quello che propone. Se un hâl (stato spirituale) si impadronisce di te e ti fa perdere coscienza o se ti alzi
senza rendertene conto ma mosso solo da ciò che ti arriva all’improvviso ed in
seguito riprendi coscienza, rimettiti a sedere e riprendi un’attitudine
equilibrata, perché le emozioni prodotte dall’audizione spirituale sono uno
rottura dello stato di equilibrio e variano in funzione della direzione che
assumono: se tu entri in tali stati e ne hai coscienza, sappi che il tuo
movimento è discendente come qualcuno che viene dall’alto verso il basso fino a
stabilirsi nella Prigione infernale (as-Sijjin)
– che Allâh ci preservi –
Se essendo preso da questo moto tu sei assolutamente assente dalla tua coscienza interiore e della
sensibilità, allora o si tratta di un’estinzione in Allâh in ragione del dominio esercitato dlla Sua Grandezza sul tuo
cuore, oppure di un’estinzione nei Paradisi o nel Fuoco, il tuo moto è
ascendente fino a quando ti stabilizzerai nel Soggiorno dei Sublimi (al-Illiûn); nel caso in cui per contro
si tratta di un’estinzione in un oggetto d’amore concupiscente, per esempio una
donna o un efebo, il tuo moto ti condurrà nella Gehenna e la Prigione infernale, e pur tuttavia sei annientato da
un hâl vero, solo che questo hâl porta alla perdizione allorché gli
spettatori s’immaginano che tu sei svanito in Allâh. Allontanati dunque dalle sedute dei canti spirituali.
Se hai bisogno di
compagnia, e questa s’impone, sia nella compagnia degli adoratori e degli
zelanti tra le genti della pratica spirituale, fino a quando troverai il
Maestro. Se non li trovi nelle città, cercali sui bordi del mare o nelle
moschee cadute in rovina perché essi vi passano la notte e sulle montagne o
nelle profondità delle valli. Se pretendi essere di questi, stai attento che il tempo dela preghiera non arrivi senza che ti trovi in
moschea. È disgraziato l’aspirante che arriva giusto al momento in cui la
preghiera comincia; in questo caso sei al culmine della disgrazia e non devi
essere contato tra questi. Questo stato di disgrazia non deve essere confuso
con il caso ordinario i cui tu manchi il takbîrah
iniziale della preghiera, o una rak’at con l’Imâm;
non ciò di cui si parla qui, perché questo riguarda il caso della gente
ordinaria, e tra questa, coloro la cui fede è debole. Ma
nel tuo caso, ritorna penitente ad Allâh
e riprendi lo sforzo di nuovo.[16]
Guardati di
frequentare una sola moschea o di posizionarti
regolarmente allo stesso rango o di occupare sempre lo stesso luogo nella
moschea.
Riguardo ai pensieri (al-khawâtir)
Sappi che se tu sei
nella scompagnia dei foqarâ[17]
e ti metti a loro servizio non devi mai respingere un
pensiero che ti viene in merito di ciiò che può essere utile a loro, perché
questi sono i pensieri stessi dei foqarâ
che arrivano a te come dei messaggi dal parte loro. Fai dunque tutto ciò che ti
sovviene in quest’ordine: pulitura dei vestiti, preparazione del cibo e di ogni
altra utilità. I foqarâ sinceri hanno
tali pensieri ma il loro lavoro spirituale gli impedisce di parlarne, a cui si può aggiungere eventualmente lo scrupolo di non
cedere alle esigenze dell’anima concupiscente. Allâh vuole assicurargli i due vantaggi in ragione della loro
sincerità; allora Egli ti ispira di fare delle cose
che essi hanno pensato. Tu devi dunque alzarti ed eseguire il lavoro dopo di
che ti metterai a loro disposizione. Così essi otterranno il merito del lavoro
spirituale (che non hanno interrotto) e l’ottenimento della cosa necessaria. Da
parte tua, tu cominci a sapere quando bisogna accordare fede alle idee che
sorgono nella tua coscienza oltre alla ricompensa che ti vale per il lavoro
fatto per loro. Non considerare spregevole nessuna cosa del bene, perché questa
via è una via di guadagno e negli affari con Allâh nulla esce in perdita,
salvo il dannato.
Vi sono quattro cose
che, ben stabilite, attirano tutti i vantaggi su colui che
li pratica:
- Il servizio dei foqarâ,
- La buona disposizione d’animo,
- La preghiera per il bene dei musulmani, fatta in loro assenza e a loro insaputa,
- La dominazione della tua anima nei rapporti con loro.
È raro che un murîd scappi, all’inizio del suo stato,
ai cattivi pensieriche gli vengono a proposito di tutto, a proposito
di Allâh così come delle creature.
Di conseguenza, ciò
che si impone al murîd
è di sforzarsi a preservare la gente dalle cattive opinioni che ha nei loro
confronti.
Così se tu sei sincero
e sicuro nelle tue idee e nelle tue intenzioni in maniera continuativa
e verificata quando ti viene una cattiva idea riguardo qualcuno – anche
quando la cosa è esattamente come la pensi – sappi che questa idea ti
viene da una proiezione di Satana. Rigirati da lui verso Allâh, implora il perdono di Allâh
e domandaGli che Egli ti riempia il tuo interiore di Lui e non delle
preoccupazioni del mondo, soprattutto che tu sia preoccupato di ciò che il
mondo ha di malvagio; Satana non vuole che precipitarti: allora ti conferma per
renderti bugiardo e ti onora per renderti spregevole.
Ma questo cessa con la pratica del dhikr,
così come i pensieri errati riguardo ad Allâh
cessano con la scienza.
[1] Il
termine murîd, letteralmente
«volente», designa allo stesso tempo l’«aspirante» a una direzione spirituale e
il «discepolo» che segue una via sotto tale direzione.
[2]
Questo termine, di origine persiana, è praticamente
equivalente a quello di shaykh, che
sarà impiegato come sinonimo nel testo stesso.
[3] La
regola più completa su questo punto è che il discepolo non può sposare la
vedova del proprio shaykh.
[4] A
questo proposito, è interessante segnalare che altrove lo shaykh al-akbar dice anche che il titolo di murîd, con il suo significato di «volente»,
non conviene in realtà al discepolo, perché questo non deve avere volontà
propria.
[5] Una
di queste convenienze è quella di essere orientato
regolarmente verso la qiblah
prescritta dalla legge, l’altra di non porgere la schiena allo shaykh che, da parte sua, gioca il ruolo
di qiblah in un senso disciplinario.
[6] La «rak’at» è l’unità
costitutiva di base del rito della preghiera (salat) comportante recitazioni, gesti e posizioni.
[7] È
raccomandato fare le preghiere in comune, di preferenza nelle moschee, e le preghiere
surerogatorie in privato, queste, salvo certe eccezioni precise,
individualmente.
[8] Vi sono delle divergenze tra le scuole di diritto religioso per
quanto concerne la definizione esatta di certi elementi obbligatori del rito
dell’abluzione, come in altri riti o punti del diritto: il modo per non
prendere parte è di fare il massimo domandato da una qualunque delle scuole
divergenti su ciascuno dei punti dibattuti.
[9] Le
idee enunciate a proposito di ciascun elemento del rito dell’abluzione sono di fatto tradotte da alcune formule istituite che si
possono pronunciare durante il compimento dei gesti.
[10] Corano, XXIV,61.
[11]
Vedere Etudes Traditionnelles di
marzo-aprile 1962.
[12]
Questa terminologia speciale si esplica nel fatto che
gli avvenimenti in questione sono considerati nelle loro modalità sottili, ed
hanno un carattere di fenomeno prodigioso.
[13]
Secondo l’hadith “Il primo sguardo è
scusato”, ma tuttavia costituisce il precedente che
potrà portare un secondo che non godrà più tolleranza.
[14]
Questa è l’applicazione della “più piccola delle obbligazioni del musulmano:
l’eliminazione delle cose nocive sulla via” (imâtalu-l-adhâ ai-l-tariq), che è il riflesso più
esteriore della dottrina della disciplina del Tawhid. Si noterà che tutto ciò che l’autore dice a riguardo può
essere trasposto sul piano della Tarîqah
che 6 la Via per eccellenza.
[15] Cfr.
l’hadith: “la
moderazione viene da Ar-Rahmân e la
fretta viene da Shaytân”.
[16] Si
tratta di porre la differenza con il fatto di arrivare con un piccolo ritardo
per la preghiera all’ora esatta in una qualsiasi moschea,
perché se in questo caso si recupera, al meno, una rak’at con l’imâm e che si completa
individualmente il resto, ci si assicura il merito della preghiera in comune.
In realtà nel caso speciale considerato dallo shaykh al-Akbar, la regola è di trovarsi alla moschea della gente
spirituale di cui si tratta, ben prima che il tempo
della preghiera sia arrivato, e questo alfine di essere ben preparato al
compimento del rito.
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