Introduzione generale allo studio delle dottrine indù
IV. Le interpretazioni occidentali
4. Il teosofismo
Se, pur deplorando la cecità degli orientalisti ufficiali, si deve almeno rispettarne la buona fede, le cose cambiano quando si considerano gli autori e i propagatori di certe teorie di cui dobbiamo ora occuparci, e che possono solo gettare il discredito sugli studi orientali e allontanarne le intelligenze serie, seppure male informate, presentando loro, come espressione autentica delle dottrine dell’India, una serqua di farneticazioni e assurdità sicuramente indegne di attenzione.
D’altronde la diffusione di queste fantasticherie non ha solo l’inconveniente, per quanto grave, che abbiamo appena detto; essa è inoltre, come quella di molte altre cose analoghe, eminentemente atta a squilibrare le menti più deboli e gli intelletti meno solidi che le prendono sul serio, e costituisce perciò un vero e proprio pericolo per la mentalità generale, pericolo la cui realtà è comprovata da fin troppi esempi deplorevoli.
D’altronde la diffusione di queste fantasticherie non ha solo l’inconveniente, per quanto grave, che abbiamo appena detto; essa è inoltre, come quella di molte altre cose analoghe, eminentemente atta a squilibrare le menti più deboli e gli intelletti meno solidi che le prendono sul serio, e costituisce perciò un vero e proprio pericolo per la mentalità generale, pericolo la cui realtà è comprovata da fin troppi esempi deplorevoli.
Queste iniziative sono tanto meno inoffensive in quanto gli occidentali attuali hanno una tendenza spiccatissima a lasciarsi catturare da tutto quel che abbia apparenze straordinarie e prodigiose; lo sviluppo della loro civiltà in un senso esclusivamente pratico, privandoli di ogni effettiva direzione intellettuale, apre le porte a tutte le stravaganze pseudo-scientifiche e pseudo-metafisiche, per poco che sembrino adatte a soddisfare quel sentimentalismo che, per l’assenza stessa dell’intellettualità vera, ha per loro una così grande funzione. Inoltre, l’abitudine di privilegiare la sperimentazione in campo scientifico, di attenersi quasi esclusivamente ai fatti attribuendo loro più valore che alle idee, viene ancora a rafforzare la posizione di tutti coloro che, per costruire le teorie più inverosimili, hanno la pretesa di fondarsi su fenomeni di ogni genere, veri o supposti, spesso mal controllati e in ogni caso mal interpretati, e che proprio per questo hanno molte più probabilità di riuscire presso il grosso pubblico di quanti, volendo insegnare soltanto dottrine serie e certe, si rivolgeranno unicamente alla pura intelligenza. Così si spiega del tutto naturalmente la concordanza, a prima vista sconcertante, che esiste in Inghilterra e specialmente in America tra lo sviluppo esagerato dello spirito pratico e lo spiegamento pressoché indefinito di ogni sorta di follie similreligiose, dove lo sperimentalismo e lo pseudo-misticismo dei popoli anglosassoni trovano entrambi soddisfazione; ciò prova che, nonostante le apparenze, la mentalità più pratica non è la meglio equilibrata.
Anche in Francia il pericolo che segnaliamo, pur essendo meno visibile, non è affatto trascurabile; anzi, lo è tanto meno in quanto lo spirito di imitazione dell’estero, l’influenza della moda e la stupidità mondana si alleano per favorire l’espansione di simili teorie in certi ambienti, dove far loro trovare i mezzi materiali di una diffusione sempre maggiore, grazie a una propaganda che per raggiungere le persone più diverse assume astutamente le forme più svariate. La natura di questo pericolo e la sua gravità non consentono di avere il minimo riguardo verso coloro che ne sono la causa; qui siamo nel campo della ciarlataneria e della fantasmagoria, e se sono da compiangere sinceramente gli ingenui che formano la maggioranza di quanti vi si compiacciono, quelli che consapevolmente conducono tale clientela di illusi, mettendola al servizio dei propri interessi, in qualunque campo, devono solo ispirare disprezzo. D’altra parte vi è in questo genere di cose più di un modo di farsi illudere, e l’adesione alle teorie suddette è solo uno dei tanti; tra coloro stessi che le combattono per ragioni diverse, la maggior parte non è abbastanza agguerrita, e commette l’errore involontario, ma tuttavia capitale, di scambiare per idee genuinamente orientali ciò che è solo il prodotto di una aberrazione squisitamente occidentale; i loro attacchi, sovente portati con le più lodevoli intenzioni, perdono con ciò quasi tutta l’efficacia reale. D’altronde certi orientalisti ufficiali prendono addirittura sul serio queste teorie; non che le considerino in se stesse vere, giacché, dato il punto di vista specifico da cui essi si pongono, non si interrogano neppure sulla loro verità o falsità; tuttavia le ritengono a torto rappresentative di una certa parte o aspetto della mentalità orientale, ma qui si ingannano, non conoscendo questa mentalità, e tanto più facilmente perché non vedono in esse una concorrenza per loro minacciosa. Talvolta, anzi, si assiste ai più singolari connubi, in particolare sul terreno della «scienza delle religioni», dove Burnouf ne diede l’esempio; forse il fatto si spiega nel modo più semplice con la tendenza antireligiosa e antitradizionale di tale pretesa scienza, tendenza che la mette naturalmente in rapporti di simpatia e anche di affinità con tutti gli elementi disgregatori che con altri mezzi perseguono un’opera parallela e concorde. Per chi non voglia fermarsi alle apparenze vi sarebbero da fare osservazioni molto interessanti e istruttive, qui come in altri campi, sui vantaggi che è talvolta possibile trarre dal disordine e dall’incoerenza, o da ciò che sembra tale, in vista dell’attuazione di un disegno ben definito e all’insaputa di tutti coloro che ne sono solo gli strumenti più o meno inconsapevoli; si tratta in qualche modo di mezzi politici, ma di una politica un po’ particolare, e d’altronde, contrariamente a quanto alcuni potrebbero credere, la politica, anche nel senso più stretto in cui è abitualmente intesa, non è mai del tutto estranea alle cose che stiamo ora esaminando.
Tra le pseudo-dottrine che esercitano un influsso nefasto su settori più o meno estesi della mentalità occidentale, e che, di origine recentissima, possono per la maggior parte essere raggruppate sotto la comune denominazione di «neo-spiritualismo», ve ne sono alcune che tralasceremo, come per esempio l’occultismo e lo spiritismo, perché non hanno punti di contatto con gli studi orientali; quella che tratteremo ora più in particolare, e che del resto non ha di orientale se non la forma esteriore sotto cui si presenta, la definiamo il «teosofismo». L’uso di questo termine, nonostante ciò che ha di inusitato, si giustifica con l’intento di evitare confusioni; non è infatti possibile servirsi in questo caso della parola «teosofia», che da molto tempo esiste per designare, tra le speculazioni occidentali, qualcosa di completamente diverso e di molto più degno, la cui origine deve essere fatta risalire al Medioevo; qui si tratta soltanto di concezioni appartenenti all’organizzazione contemporanea che ha preso il nome di «Società Teosofica», i membri della quale sono «teosofisti»,, espressione che del resto è di uso corrente in inglese, e nient’affatto «teosofi». Non possiamo né vogliamo fare qui, fosse pur sommariamente, la cronistoria, sotto certi riguardi perfino interessante, della «Società Teosofica», la cui fondatrice, grazie al singolare ascendente che esercitava sulla sua cerchia, seppe mettere in pratica le conoscenze abbastanza varie che possedeva, e che invece mancano totalmente ai suoi successori; la sua presunta dottrina, formata di elementi tratti dalle più svariate fonti, spesso di dubbio valore, e riuniti in un sincretismo confuso e poco coerente, si presentò agli inizi nella forma di un «buddhismo esoterico» che, come abbiamo già indicato, è puramente immaginario; essa approdò poi a un sedicente «cristianesimo esoterico» che non è meno fantasioso. Nata in America, questa organizzazione, pur presentandosi come internazionale, è diventata, nella sua direzione, esclusivamente inglese, escluso qualche ramo dissidente di una importanza piuttosto ridotta; ad onta di tutti i suoi sforzi, sostenuti da protezioni che le assicurano considerazioni politiche che non preciseremo, non è mai riuscita a reclutare se non un numero estremamente esiguo di indù rinnegati, che ispirano il più profondo disprezzo nei loro compatrioti, ma i cui nomi possono fare un certo effetto sull’ignoranza europea; del resto in India si crede abbastanza generalmente che sia una setta protestante di un tipo un po’ speciale, assimilazione che sembrano giustificare sia i suoi aderenti, sia i metodi di propaganda, sia le tendenze «moralistiche», per non dire dell’ostilità, ora mascherata ora violenta, contro tutte le istituzioni tradizionali. Quanto alle produzioni intellettuali, si è vista comparire principalmente, dopo le indigeste compilazioni dei primi tempi, una quantità di racconti fantastici, frutto della particolare «chiaroveggenza» che si ottiene, a quanto pare, con lo «sviluppo dei poteri latenti dell’organismo umano»; ci sono state anche traduzioni piuttosto ridicole di testi sanscriti, corredate di commenti e interpretazioni più ridicoli ancora, e che non osano esporre troppo pubblicamente in India, dove si preferiscono divulgare i lavori che distorcono la dottrina cristiana col pretesto di esporne il supposto senso nascosto: un segreto del genere, se veramente esistesse nel cristianesimo, non si spiegherebbe molto né avrebbe alcuna ragion d’essere valida, giacché è ovvio che cercare misteri profondi in tutte queste elucubrazioni «teosofiste» significa perdere il proprio tempo.
Quel che a prima vista caratterizza il «teosofismo» è l’uso di una terminologia sanscrita piuttosto complicata, le cui parole sono spesso assunte in un senso diversissimo da quello che hanno in realtà, ciò che non stupisce affatto quando si pensi che servono soltanto a mascherare concezioni tipicamente occidentali e quanto mai lontane dalle idee indù. Per fare un esempio, il termine karma, il quale come abbiamo già ricordato significa «azione», è costantemente usato nel senso di «causalità», il che è più di un’inesattezza; ma, fatto ancor più grave, la causalità è intesa in modo del tutto particolare e, per una falsa interpretazione della teoria dell’apûrva da noi esposta trattando della Mîmânsâ, si arriva a camuffarla da sanzione morale. Ci siamo spiegati abbastanza su questo argomento perché ci si renda conto della gran confusione di punti di vista che tale deformazione presuppone, quand’anche, riducendola all’essenziale, tralasciassimo tutte le assurdità accessorie che le fanno da contorno; comunque sia, essa dimostra come il «teosofismo» sia compenetrato della sentimentalità tipica degli occidentali, e d’altronde per vedere fino a qual punto spinga il «moralismo» e lo pseudo-misticismo basta aprire uno qualunque dei libri in cui sono esposte le sue concezioni; e anzi, esaminando le opere via via più recenti, si constata come queste tendenze vadano ancor più accentuandosi, forse perché i capi dell’organizzazione hanno una mentalità sempre più mediocre, ma forse anche perché tale orientamento è effettivamente il più adatto al fine che si propongono. L’unica ragione d’essere della terminologia sanscrita, nel «teosofismo», è di dare a ciò che tiene luogo di dottrina (perché è per noi inammissibile chiamare tutto questo dottrina), un’apparenza tale da gettar fumo negli occhi degli occidentali e da sedurne alcuni, i quali, se prediligono l’esotismo nella forma, sono poi ben contenti di ritrovare nella sostanza concezioni e aspirazioni conformi alle loro, e sarebbero del tutto incapaci di afferrare una qualunque cosa delle dottrine autenticamente orientali; questo modo di pensare. frequente fra la cosiddetta «gente di mondo», è notevolmente vicino a quello dei filosofi che sentono il bisogno di usare parole fuori del comune e pretenziose per esprimere idee che, tutto sommato, non sono molto differenti dalle idee dell’uomo comune.
Il «teosofismo» attribuisce un’importanza considerevole all’idea di «evoluzione», che è molto occidentale e moderna; e, in ciò simile a quasi tutte le derivazioni dello spiritismo, a cui è in parte legato per le sue origini, associa tale idea a quella di «reincarnazione». Sembra che quest’ultima concezione abbia avuto origine da alcuni sognatori socialisti della prima metà del secolo XIX, secondo i quali essa era destinata a spiegare l’ineguaglianza delle condizioni sociali, sommamente offensiva ai loro occhi, benché invece sia del tutto naturale in fondo e nient’affatto problematica per chi comprenda il principio dell’istituzione delle caste, istituzione che si fonda sulla differenza delle nature individuali; del resto le teorie del genere, quelle dell’«evoluzionismo», non spiegano niente, anzi, pur spostando indietro la difficoltà, anche indefinitamente se si vuole, alla fine la lasciano intatta, sempre che difficoltà ci sia; e, se non c’è, esse sono perfettamente inutili. Quanto alla pretesa di far risalire l’idea «reincarnazionista» all’antichità, essa non si fonda su niente, se non sul fatto che si sono travisate alcune espressioni simboliche, da cui è nata una grossolana interpretazione della «metempsicosi» pitagorica nel senso di una specie di «trasformismo» psichico; allo stesso modo è stato inteso come vite terrestri successive quel che, non soltanto nelle dottrine indù, ma pure nel buddhismo, è una serie indefinita di mutamenti di stati di un essere: ogni stato, che ha condizioni caratteristiche proprie, differenti da quelle degli altri, costituisce per l’essere un ciclo di esistenza che egli può percorrere una sola volta, e l’esistenza terrestre, o anche corporea in senso più generale, rappresenta solo uno stato particolare tra un’indefinità di altri. La vera teoria degli stati molteplici dell’essere ha la massima importanza dal punto di vista metafisico; non ci è possibile svilupparla qui, ma per forza di cose dovevamo accennarvi, in particolare a proposito dell’apûrva e delle «azioni e reazioni concordanti». Quanto al «reincarnazionismo», che di tale teoria è un’insulsa caricatura, tutti gli orientali, salvo forse qualche ignorante più o meno occidentalizzato la cui opinione ha un valore nullo, lo avversano in modo unanime; d’altronde la sua assurdità metafisica è facilmente dimostrabile, poiché ammettere che un essere possa passare più volte attraverso il medesimo stato equivale a supporre una limitazione della Possibilità universale, ovvero a negare l’Infinito, e una simile negazione è in se stessa supremamente contraddittoria. Bisogna dedicare ogni sforzo a combattere l’idea di «reincarnazione», prima di tutto perché è assolutamente contraria alla verità, come risulta dal poco che ne abbiamo detto, e in secondo luogo per una ragione di carattere più contingente, cioè che tale idea, resa soprattutto popolare dallo spiritismo, la più inintelligente di tutte le scuole «neo-spiritualistiche» e al contempo la più diffusa, è di quelle che più efficacemente contribuiscono allo squilibrio mentale che segnalavamo all’inizio del capitolo, e le cui vittime sono purtroppo assai più numerose di quanto possano pensare coloro che non conoscono queste cose. Non ci è evidentemente possibile dilungarci in merito; ma d’altro canto bisogna aggiungere che mentre gli spiritisti si sforzano di dimostrare la presunta «reincarnazione», come pure l’immortalità dell’anima, «scientificamente», vale a dire per via sperimentale, la quale è assolutamente incapace di dare il minimo risultato al riguardo, la maggior parte dei «teosofisti» sembra vedere in essa una sorta di dogma o di articolo di fede, che bisogna ammettere per motivi di carattere sentimentale, ma che non occorre dimostrare con una prova razionale o sensibile. Ciò mostra in modo lampante come ci si prefigga in realtà di dar vita a una pseudo-religione, in concorrenza con le vere religioni dell’Occidente e principalmente con il cattolicesimo, perché invece il protestantesimo, per parte sua, si adatta benissimo alla molteplicità delle sette, che anzi genera spontaneamente in conseguenza della sua mancanza di principi dottrinali; questa pseudo-religione «teosofista» ha tentato di darsi una forma definita assumendo come punto centrale l’annuncio dell’imminente venuta di un «grande istruttore», presentato dai suoi profeti come il futuro Messia e una «reincarnazione» del Cristo: fra tutte le trasformazioni del «teosofismo», questa, che getta una luce particolarmente rivelatrice sulla sua concezione del «cristianesimo esoterico», è l’ultima in ordine di tempo, almeno fino ad ora, ma non certo la meno significativa.
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