*Originale e riproduzione della prima pagina del manoscritto del Poema Regius |
Poema Regius (ca. 1390)
Il più antico documento massonico (in fondo a l testo una breve postfazione e il testo in inglese antico)
Qui cominciano le costituzioni dell’arte Della geometria secondo Euclide.
Chiunque saprà bene leggere e vedere
Potrà trovarle scritte nell’antico libro
Di grandi signori ed anche di signore
Che ebbero molti figli insieme, con certezza.
E non avevano rendite per mantenerli.
Né in città, né in campagna, né in boschi recinti;
Essi presero insieme una decisione
Di stabilire per la salvezza di questi fanciulli
Come essi potessero meglio sopportare la vita
Senza grandi malattie, affanni e lotte
E, principalmente, per la moltitudine dei figli
Essi li mandarono presso grandi maestri
Che insegnassero loro a bene operare.
E preghiamo loro, per amor di nostro Signore
Che sia dato ai nostri figli qualche lavoro
Che permetta loro di vivere
Bene e onestamente, in piena sicurezza.
In quel tempo, mediante buona geometria
Questa onesta arte di buona muratoria
Fu stabilita e fatta in questo modo:
Coll’imitare questi maestri, insieme
Alle preghiere di questi signori essi dimostrarono la
geometria.
E dettero il nome di massoneria
All’arte più onesta di tutte.
Questi figli di signori si misero d’impegno
Per imparare da lui [Euclide, n.d.r.] l’arte della
geometria
Che egli praticava con zelo.
Per le preghiere dei padri e delle madri
Egli li ammise a questa onesta arte.
Egli era il più grande erudito ed era onesto
E superava lo zelo dei suoi compagni
Poiché in quell’arte egli oltrepassava gli altri
E avrebbe conseguito più prestigio.
Il nome di questo grande saggio fu Euclide,
Il suo nome spande piena e ampia meraviglia.
Inoltre, questo grande maestro ordinava
A chi era più in alto in questa scala
Che insegnasse a chi era meno dotato
A essere perfetto in quella onesta arte.
E così ciascuno insegnava all’altro
E si amavano l’un l’altro come fratello e sorella.
Inoltre egli ordinò che
Lo si chiamasse Maestro,
In modo che chi fosse il più degno
Fosse chiamato così.
Ma i muratori non si dovevano chiamare l’un l’altro,
Nell’arte e fra di loro,
Né soggetto, né servo, ma caro fratello.
Anche se uno non era perfetto come l’altro
Doveva ciascuno chiamare l’altro compagno
Perché essi erano di buona nascita.
In questo modo, mediante la buona conoscenza della
geometria
Ebbe origine l’arte della massoneria.
Il maestro Euclide in questo modo fondò
Quest’arte di geometria in terra d’Egitto.
In Egitto egli ampiamente insegnò,
E in diverse terre da ogni parte,
Molti anni dopo ho saputo,
Prima che l’arte venisse in questo paese.
Quest’arte venne in Inghilterra, come vi dico,
Al tempo del buon re Atelstano.
Egli fece sia sale che loggiati
E alti templi di grande prestigio
Per compiacersi sia di giorno che di notte
E onorare il suo Dio con tutte le sue forze.
Questo buon signore amò grandemente quest’arte
E si propose di consolidarla da ogni lato
Perché aveva trovato vari difetti in essa.
Egli mandò a dire in tutto il paese,
A tutti i Massoni dell’arte,
Di andare da lui immediatamente
Per correggere tutti questi errori
Col buon consiglio, se poteva essere dato.
Fece fare allora una assemblea
Di vari signori, secondo il loro stato:
Duchi, conti e anche baroni,
Cavalieri, gentiluomini e molti altri
E i maggiori cittadini di quella città;
Essi erano tutti là secondo il loro grado.
Quelli erano là secondo i propri mezzi
Per stabilire la condizione di questi Massoni.
Là essi cercavano col loro intelletto
Come poterli governare.
Quindici articoli essi cercarono
E quindici punti essi elaborarono.
Qui comincia
il primo articolo
Il primo articolo di tale geometria:
Il maestro massone deve essere pienamente sicuro
Risoluto, fidato e sincero.
Di questo egli non si pentirà mai.
E paghi i suoi compagni secondo il costo
Del mantenimento, voi lo sapete bene,
E paghi loro il giusto secondo coscienza,
Ciò che possono meritare.
E non assuma più uomini
Di quanti possa adoperare
E non si lasci corrompere, né per amore né per paura
Da qualsiasi altra parte,
Da signore o da compagno, chiunque sia:
Da costoro non accettare alcun compenso.
E, come un giudice, sta’ agli impegni
E allora farai il giusto per entrambi.
Fa questo sinceramente dovunque tu vada
E il tuo merito, il tuo profitto sarà migliore.
Secondo
articolo
Il secondo articolo di buona massoneria
Deve udirsi specialmente qui:
Che ogni maestro, che sia un massone,
Deve essere alla corporazione generale,
Naturalmente, se è stato informato
Dove sarà tenuta questa assemblea.
A tale assemblea deve andare
Salvo che non abbia una ragionevole giustificazione.
Altrimenti egli vuole offendere la corporazione
0 vuole comportarsi con falsità,
Oppure è gravemente ammalato
Da non poter andare in mezzo a loro.
Questa è una giustificazione valida
Per quella assemblea, senza frottole.
Terzo articolo
Il terzo articolo dice in verità
Che il maestro non assume apprendista
Senza aver l’assicurazione che si fermi
Sette anni con lui, così vi dico,
Per insegnargli la sua arte, quello che serve.
In minor tempo quegli non potrà imparare
A beneficio del suo signore né suo proprio,
Come potete sapere a buona ragione.
Quarto
articolo
Il quarto articolo deve essere quello
Che il maestro deve tenere per sé.
Che egli non deve tener schiavo l’apprendista
Né trattarlo con avarizia
Poiché il signore al quale è legato
Può cercare l’apprendista dovunque egli vada.
Se è stato preso nella loggia,
Egli può farvi molto danno
E in tal caso può accadere
Che faccia danno a qualcuno o a tutti.
Perciò tutti i Massoni che sono là
Stiano insieme in piena fratellanza.
Se una tale persona fosse nell’arte
Possono capitare vari inconvenienti;
Per miglior agio quindi, onestamente,
Assumi un apprendista di condizione elevata.
Dai tempi antichi si trova scritto
Che l’apprendista deve essere di nobile stato;
E così talvolta il sangue di grandi signori
Apprese tale geometria, il che è molto bene.
Quinto
articolo
Il quinto articolo è molto giusto.
Posto che l’apprendista sia di nascita legittima,
Il maestro non accoglierà a nessun prezzo
Un apprendista che sia deforme:
Ciò significa, come puoi udire,
Che avrà le sue membra tutte intere;
Per l’arte sarebbe grande scorno
Prendere uno zoppo e uno storpio.
Perciò un uomo imperfetto, di tale razza,
Porterebbe poco di buono all’arte.
Così ciascuno di voi deve sapere
Che l’arte vuole avere un uomo forte;
Un uomo mutilato non ha forza,
Dovete saperlo fin d’ora.
Sesto articolo
Il sesto articolo non va tralasciato:
Che il maestro non rechi pregiudizio al signore,
Nel prendere da questi, per il suo apprendista,
Anche quanto è in ogni caso dovuto ai compagni.
A quelli che sono nell’arte già perfetti
Questo non deve essere, anche se parrebbe di sì.
Anche se vi fossero buone ragioni
Che percepisse il salario come i suoi compagni,
Questo stesso articolo, in tal caso,
Giudica che l’apprendista
Prenda meno dei compagni che sono perfetti.
In vari casi può occorrere
Che il maestro possa istruire l’apprendista
Onde il suo salario possa aumentare presto
E, prima che il termine giunga a compiersi,
Il suo salario possa venire migliorato.
Settimo
articolo
Il settimo articolo che è qui ora
Dirà chiaramente a voi tutti
Che nessun maestro, per favore o per timore,
Può rubare ad alcuno abito o cibo.
Né dare rifugio ad alcun ladro
Né a chi abbia ucciso un uomo,
Né a chi abbia cattiva fama,
Per timore di esporre l’arte al biasimo.
Ottavo
articolo
Vi mostra così l’ottavo articolo
Che il maestro può far bene così:
Se ha qualche operaio
Che non sia perfetto come bisogna,
Egli può cambiarlo sollecitamente
E prendere al suo posto un uomo migliore.
Un tale uomo, per negligenza,
Potrebbe nuocere alla riputazione dell’arte.
Nono articolo
Il nono articolo mostra appieno
Che il maestro dev’essere saggio e forte.
Che non può intraprendere alcun lavoro
Se non è in grado di farlo e condurlo a termine.
E che esso sia anche utile ai signori
E alla sua arte, dovunque vada,
E che le fondamenta siano ben preparate
Perché non si fenda e non crolli.
Decimo
articolo
Bisogna conoscere il decimo articolo,
Nell’arte, in alto e in basso.
Che non ci sia maestro che soppianti l’altro
Ma stiano insieme come fratello e sorella.
In questa zelante arte, tutti e ciascuno,
Chi vuole essere un maestro massone
Non soppianti nessun altro.
Che avendogli sottratto un lavoro,
Il suo dolore è così forte
Che non pesa meno di dieci libbre,
Se non è trovato colpevole
Di aver con mano per primo toccato il lavoro.
Per nessuno in massoneria
Si soppianterà, di certo, un altro.
Ma se il lavoro è fatto in modo
Che possa a sua volta rovinare,
Allora un massone può chiedere tale lavoro
Ai signori, per tutelare il loro interesse.
A meno che non capiti un tale caso,
Nessun Massone vi si deve immischiare.
Veramente colui che comincia le fondamenta,
Se è un massone buono e integro,
Ha di certo nella sua mente
Come portare a buon fine il lavoro.
Undicesimo
articolo
L’articolo undicesimo, io ti dico
Che è insieme leale e franco
Poiché insegna, con la sua forza,
Che nessun massone deve lavorare di notte
Se non sia a conoscenza
Che ciò sia a vantaggio del lavoro.
Dodicesimo articolo
Il dodicesimo articolo è di alta probità:
Ogni massone, dovunque sia,
Non deve corrompere i suoi compagni di lavoro.
Se vuol salvare la propria onestà
Li comanderà con parole oneste,
Con l’ingegno che Dio gli ha dato.
Invece devi migliorarlo come puoi
Fra voi insieme senza contesa.
Tredicesimo
articolo
Il tredicesimo articolo, così Dio mi salvi,
È che se il maestro ha un apprendista
Cui egli ha insegnato tutto
E gli ha spiegato gradualmente i vari punti
Così che questo sia capace di conoscere l’arte,
Dovunque possa andare sotto il sole.
Quattordicesimo
articolo
Il quattordicesimo articolo, a buona ragione
Mostra al maestro quel che deve fare:
Egli non deve accogliere un apprendista
Se non prendendo varie cautele
Che quegli possa, nel suo termine,
Apprendere da lui le diverse parti.
Quindicesimo
articolo
Il quindicesimo articolo pone un termine
Ed è un amico per il maestro
Per insegnargli che con nessuno
Egli si può condurre scorrettamente,
Né mantenere i suoi compagni nel loro peccato,
Per alcun interesse che gli potesse venire.
Non accetterà di fare falso giuramento
Per tema della salvezza della sua anima.
Se no, esporrebbe l’arte alla vergogna
E se stesso al biasimo.
Altre
Costituzioni
A questa assemblea furono stabiliti dei punti,
Dai grandi signori ed anche dai maestri,
Che chiunque volesse apprendere quest’arte e
appartenervi
Doveva amare Dio e la santa chiesa
Ed anche il maestro col quale sta,
Dovunque egli vada, in campagna o nel bosco.
E devi amare anche i tuoi compagni
Poiché questo la tua arte desidera da te.
Punto secondo
Il secondo punto è, come vi dico,
Che il massone lavori durante la sua giornata
Veramente, per quanto sa e può
In modo da meritare il suo riposo per la festa
Ed operi seriamente nel suo lavoro
Onde meriti la sua mercede.
Punto terzo
Il terzo punto deve essere ben conosciuto
Fra gli apprendisti rispettivamente:
Che il consiglio del maestro deve accettare e tenere,
E quello dei compagni, con buon proposito.
Non dirà a nessuno i segreti della camera,
Né qualsiasi cosa essi facciano nella loggia.
Qualunque cosa tu ascolti o veda fare
Non devi dirla a nessuno, dovunque andrai.
Il consiglio del vestibolo e quello del loggiato
Vi renderà, per questo, grande onore.
Il contrario vi porterebbe al biasimo
Ed arrecherebbe grande vergogna all’arte.
Punto quarto
Il quarto punto ci insegna anche
Che nessuno deve essere falso verso la sua arte.
Non deve perseverare nell’errore
Contro l’arte, ma evitarlo.
Non farà egli pregiudizio
Al suo maestro né ai suoi compagni.
E sebbene l’apprendista sia posto al di sotto
Anch’egli deve ave e a stessa legge.
Punto quinto
Il quinto punto, innegabilmente è
Che quando il massone prende la paga
Stabilita dal suo maestro,
Egli deve prenderla docilmente.
Tuttavia il maestro può, per fondata ragione,
Avvertirlo formalmente prima di mezzogiorno
Se non intende occuparlo più oltre
Come ha fatto fin qui.
Contro tale ordine non può contendere
Se (il maestro) pensa di avere migliore successo.
Punto sesto
Il sesto punto deve essere fatto conoscere
Sia in alto che in basso.
Nel caso dovessero accadere
Fra i massoni, alcuni o tutti,
Per invidia od odio implacabile,
Che nascano spesso grandi contese,
Allora il massone è obbligato, se possibile,
A, destinare un certo giorno per la composizione.
Ma essi non procederanno a tale rito
Finché la giornata lavorativa non sarà trascorsa.
Durante un giorno festivo potrete facilmente
Trovare il tempo per la composizione.
Se fosse fatto durante la giornata di lavoro
Il lavoro sarebbe dilazionato per tale questione.
Assegna loro, quindi, un tale termine
Cosicché vivano bene nella legge di Dio,
Punto settimo
Il settimo punto può bene significare
Che Dio ci ricompenserà per una vita buona.
A questo scopo descrive chiaramente
Che non dovrai giacere con la moglie del tuo maestro
Né con quella del tuo compagno, in nessun modo,
Altrimenti l’arte ti disprezzerà;
Né con la concubina del tuo compagno,
Come tu non vorresti che egli facesse con la tua.
La pena per questo sia severa:
Che rimanga apprendista per sette anni interi,
Se incorre in un caso di questi.
Quegli allora deve essere punito;
Molti guai potrebbero avere principio
Da un tal peccato mortale.
Punto ottavo
Il punto ottavo, si può essere certi,
Se hai preso ogni cura
Di essere sincero verso il tuo maestro
Per questo punto non sarai dispiaciuto.
Devi essere un sincero mediatore
Fra il tuo maestro e i tuoi compagni liberi;
Fa lealmente tutto ciò che puoi
Ad ambo le parti e ciò è molto bene.
Punto nono
Il nono punto ci chiama
Ad essere attendenti del nostro alloggio.
Se vi trovate in camera insieme,
Ciascuno deve servire l’altro con cortesia.
Rende i compagni cortesi, come voi dovete sapere
Fare tutti l’attendente [‘steward’] a turno,
Settimana dopo settimana. Senza dubbio,
L’attendente conviene farlo a turno;
Amabilmente servirsi l’un l’altro
Come si pensa per fratello e sorella.
Nessuno dovrà lasciare l’onere a un altro
Per rendersi libero senza corrispettivo
Ma ognuno sarà ugualmente libero.
Di tale corrispettivo, così deve essere,
Fai attenzione di pagare sempre bene ogni uomo
Dal quale tu abbia comprato dei viveri:
Che nessuna accusa sia possibile fare a te
Né ai tuoi compagni di ogni grado
Ogni uomo o donna, chiunque sia,
Pagalo bene e giusto, per quello che offre.
Di questo ricevi per il tuo compagno valida ricevuta
Per il pagamento che gli hai fatto,
Per timore che ciò provochi rimprovero dei compagni,
E a te stesso parti di grande biasimo.
Quanto a lui, deve fare buoni rendiconti,
Delle merci che egli ha preso.
Di quello dei tuoi compagni che hai consumato
Dove, come e a qual fine.
Tali conti devi venirli a fare
Ogni volta che i tuoi compagni lo richiedano.
Punto decimo
Il decimo punto presenta la buona vita
Il vivere senza affanno e contesa.
Perciò se il massone vive in modo ingiusto
Ed è falso nel lavoro, certamente
Per tali false abitudini
Può diffamare ingiustamente i propri compagni.
Mediante frequenti false accuse
Può far sì che l’arte ne abbia biasimo.
Se egli farà tale villania all’arte
Certamente non gioverà poi a se stesso
Né lo si manterrà nella sua vita malvagia
Temendo che si metta a diffamare e contrastare.
Pertanto, non dovete ritardare,
Ma dovete costringerlo
A presentarsi dove crederete.
Dove tu desideri, forte o piano.
Lo richiamerai alla prossima assemblea
A presentarsi davanti ai suoi compagni
E se non vorrà comparire davanti a loro
Deve giurare di rinunziare all’arte,
Poi sarà punito secondo la legge
Che fu fondata in giorni lontani.
Punto
undicesimo
L’undicesimo punto è della buona discrezione
Come potete sapere con buona ragione.
Un massone che conosce bene quest’arte
E veda il suo compagno alzare una pietra
E posarla in pericolo di rovinare
Dovrà correggerlo, se Può,
E poi insegnargli a fissarla
In modo che l’opera commissionata non rovini.
Devi però insegnargli gentilmente a perfezionarsi,
Con parole buone, che Dio ci ha dato;
Per il suo amore che sta in alto
Il tuo amore lo nutra con dolci parole.
Punto
dodicesimo
Il dodicesimo punto è di grande sovranità:
Laddove sarà tenuta l’assemblea,
Là si troveranno i maestri ed anche i compagni
E molti altri grandi signori.
Vi sarà lo sceriffo di quel paese
Ed anche il sindaco del posto;
Ci saranno cavalieri e gentiluomini
Ed altri notabili, come potrai vedere.
I decreti che essi faranno
Li manterranno tutti insieme
Verso ciascun uomo, chiunque egli sia,
Che appartenga all’arte buona e libera.
Se egli entrerà in contrasto con essa
Sarà preso in loro custodia.
Punto
tredicesimo
Il tredicesimo punto ci è molto caro.
Egli farà giuramento di non essere ladro
Né di aiutare alcuno nelle sue male arti.
Per qualsiasi cosa che egli abbia rubata
E tu ne abbia notizia o colpa,
Né per la sua roba né per la sua famiglia.
Punto
quattordicesimo
Il quattordicesimo punto contiene una buona legge
Per chi sia in soggezione.
Egli deve prestare un sincero giuramento
Al suo maestro e ai suoi compagni che sono lì.
Egli deve essere risoluto ed anche sincero
A tutte queste ordinanze, dovunque egli vada;
E al suo sovrano signore il re,
Di essere sincero verso di lui soprattutto.
E a tutti questi punti detti prima
È obbligato a prestare giuramento.
E tutti devono pronunciare lo stesso obbligo
Dei massoni, piaccia loro o meno,
A tutti questi punti detti prima
Che sono stati ordinati da un buon maestro.
Ed essi indagheranno, ciascuno
Dalla propria parte, meglio che potranno.
Se qualcuno può essere trovato colpevole
In qualche punto particolare.
E, se lo è, sia cercato
E sia portato davanti all’assemblea.
Punto
quindicesimo
Il quindicesimo punto è di ottima istruzione
Per coloro che là hanno giurato.
Tale decreto fu posto all’assemblea
Dai citati grandi signori e maestri,
Per quelli che sono disobbedienti, con certezza,
Contro il decreto esistente
Di questi articoli che furono fatti là
Dai grandi signori e massoni insieme.
E se sarà pubblicamente provato
Davanti all’assemblea, all’istante,
E non faranno ammenda della loro colpa,
Allora dovranno abbandonare l’arte
E così la corporazione dei massoni li rifiuterà
E promette solennemente di non assumerli più.
A meno che essi non facciano ammenda,
Non potranno più essere ammessi all’arte.
E se non faranno così
Lo sceriffo verrà da loro
E porterà i loro corpi in buie prigioni,
Per le violazioni che essi hanno compiuto.
E porrà i loro beni e la loro vita
Nelle mani del re, dovunque,
E li lasceranno stare là
Fin che piaccia al sovrano nostro re di liberarli.
Altro decreto
dell’arte della geometria
Essi ordinarono che si tenesse un’assemblea
Ogni anno, laddove essi volevano,
Per correggere i difetti che capitasse di scoprire
Nella corporazione del paese.
Veniva tenuta ogni uno o tre anni
Sempre nel punto che preferivano;
Tempo e luogo doveva essere indicato
Perché avesse luogo il raduno.
Tutti gli uomini dell’arte dovevano trovarsi là
Con altri grandi signori, come dovete vedere,
Per correggere gli errori di cui si doveva parlare,
Se qualcuno di loro era stato scorretto.
Là, tutti dovevano prestare giuramento,
Tutti gli appartenenti a quest’arte,
Di accettare ciascuno questi statuti
Che furono ordinati dal re Atelstano.
Questi statuti che ho qui fondato
Voglio che siano mantenuti in tutto il mio paese
In nome della mia regalità
Che ho per mia dignità.
Comando anche che ad ogni assemblea che terrete
Veniate al vostro coraggioso, sovrano re,
Supplicandolo della sua alta grazia
Di stare con voi in ogni luogo
Per confermare gli statuti di re Atelstano
Che ha ordinato quest’arte per buona ragione.
Arte dei
Quattro Coronati
Preghiamo ora l’altissimo Iddio
E sua madre, la lucente Maria
Affinché possiamo apprendere bene questi articoli
E questi punti, tutti insieme
Come fecero questi quattro santi martiri
Che dettero grande onore a quest’arte,
Che furono così buoni massoni come non ce ne saranno
sulla terra.
Essi furono anche incisori e scultori di immagini
Perché erano artigiani dei migliori.
L’imperatore aveva grande predilezione per loro;
Egli desiderò che gli facessero una effigie
Che fosse venerata per amor suo.
Tali idoli dovevano in quel tempo
Distogliere il popolo dalla legge di Cristo.
Ma essi furono fermi nella legge di Cristo
E a quest’arte, senza dubbio.
Amavano Dio e tutti i suoi precetti
E volevano sempre più servirlo.
Uomini veri erano in quel tempo
E vivevano felici nella legge di Dio,
Essi non potevano concepire di fare degli idoli,
Per qualsiasi ricompensa potessero ricevere,
0 credere negli idoli invece che in Dio.
Non avrebbero fatto questo, anche se egli si
infuriava
Perché non avrebbero abbandonato la vera fede
E creduto alla sua falsa legge.
Allora l’imperatore li fece prendere
E mettere in una profonda prigione.
La cosa più triste fu l’essere puniti in quel posto
La cosa più gioiosa fu l’essere in grazia di Cristo.
Allorché non vide altra via
Li condannò a morte.
Dal libro si può conoscere
Nella leggenda dei santi
Il nome dei quattro coronati.
La loro festa, senza dubbio, sarà
L’ottavo giorno dopo Ognissanti.
Potete udire così come io ho letto
Che molti anni dopo, per un grande dubbio
Quando il diluvio di Noè fu completamente cessato
Ebbe inizio la torre di Babilonia,
Secondo un piano di lavoro di calce e pietra,
Come ognuno poteva vederla allora
Cosi lunga e larga era stata cominciata:
Per sette miglia di altezza oscurava il sole.
L’aveva fatta il re Nabucodonosor,
Di grande solidità per amore degli uomini.
In modo che se ancora fosse venuto un altro diluvio
Non avrebbe sommerso l’opera;
Per un così forte orgoglio, per tale vanteria,
Tutta quell’opera fu cosi perduta.
Un angelo colpì con la diversità delle favelle,
Cosi l’uno non comprendeva ciò che diceva l’altro.
Molti anni dopo, il grande dotto Euclide
Insegnò l’arte della geometria, molto profondo e
chiaro.
Fece altrettanto con altri (soggetti) nello stesso
tempo
Di molte altre diverse arti.
Per la suprema grazia di Cristo in cielo
Cominciò con le sette scienze:
La Grammatica è indubbiamente la prima scienza.
La Dialettica la seconda, mi piace dirlo.
La Retorica la terza, non si può negarlo.
La Musica è la quarta, come vi dico.
L’Astronomia è la quinta, a mio fiuto,
L’Aritmetica la sesta, senza alcun dubbio.
La Geometria, la settima, chiude l’elenco.
Per la sua umiltà e cortesia
La Grammatica in verità è la radice
Per cui chiunque potrà apprendere dai libri.
Ma l’arte la supera di grado
Come sempre il frutto proviene dalla radice
dell’albero.
La Retorica misura con espressione ornata il ritmo
E la Musica è un dolce canto,
L’Astronomia enumera, mio caro fratello,
L’Aritmetica fa vedere che una cosa è un’altra.
La Geometria è la settima scienza
Che può separare con certezza il falso dal vero.
Queste sono le sette scienze.
Chiunque le adoperi bene può avere il cielo.
Ora, cari figli, con la vostra conoscenza
Lasciate da parte la superbia e la cupidigia
E curate la buona discrezione
E la buona educazione, dovunque andiate.
Ora, vi prego di badare bene
A quanto sembrate abbisognare di più
Ma dovreste conoscere molto di più
Di quello che trovate scritto qui.
Se la vostra conoscenza è insufficiente,
Pregate Dio di farvela avere
Poiché Cristo stesso ci insegna
Che la Santa Chiesa è la casa di Dio
Che non è fatta per nessun altro scopo
Se non per pregarvi, come dice il Libro.
Là dentro la gente si riunirà
Per pregare e piangere i propri peccati.
Bada di non venire tardi in chiesa
A causa di scherzi lungo la via.
Quando poi vai in chiesa
Abbi in mente sempre di più
Di onorare di e notte il signore Dio tuo,
Con tutto il tuo intelletto e anche col tuo cuore.
Quando vieni alla porta della Chiesa
Prendi dell’acqua santa.
Per ogni goccia che tu prenderai
Estinguerai un peccato veniale, siine certo.
Ma prima devi tirar giù il tuo cappuccio
Per l’amore di Lui che è morto in croce.
Quando entri in chiesa
Offri il tuo cuore, subito, a Cristo.
Quindi guarda la croce lassù.
Poi piegati del tutto sulle ginocchia
Quindi pregalo di poter operare
Secondo la legge della santa chiesa,
Per seguire i dieci comandamenti
Che Dio ha dato a tutti gli uomini.
E pregalo sottovoce
Di tenerti lontano dai sette peccati
Per cui tu possa, durante la vita,
Preservarti dalle angosce e dalle lotte.
Inoltre, Egli ti assicuri la grazia
Di avere un posto nella beatitudine celeste.
Nella santa chiesa non usare parole sciocche
Proprie degli ignoranti, e parole sconce,
E respingi ogni vanità
Ma recita il pater noster e l’ave Maria.
Guarda anche di non fare alcun rumore
Ma rimani sempre in preghiera;
Se non vuoi pregare,
In nessun modo non impedirlo agli altri.
Non sederti né stai in piedi in quel posto
Ma inginocchiati per terra
E, quando si leggerà il Vangelo,
Alzati completamente lontano dalla parete
E benedici tu stesso se lo sai fare,
Quando comincerà il gloria tibi.
E quando il Vangelo è compiuto
Tu potrai inginocchiarti ancora,
Giù su entrambi i ginocchi,
Per il suo amore che ci fa tutti inchinare.
E quando senti suonare le campane
A quel santo sacramento
Tu devi inginocchiarti, giovane o vecchio che tu sia
E alza completamente entrambe le mani
E quindi parla in questo modo
Piamente e sommessamente, senza rumore:
«Signore Gesù, sii tu benvenuto
Come io ti vedo, in forma di pane.
Ora, Gesù, nel tuo santo nome
Difendimi dal peccato e dalla vergogna
Concedimi l’assoluzione e la santa eucaristia
Prima che esca di qui,
E tanto pentimento dei miei peccati
Che mai più, signore, io vi ricada.
E, come tu sei nato dalla Vergine,
Non permettere che io mi perda più
Ma, quando andrò via di qui,
Concedimi la infinita beatitudine.
Amen! Amen! Così sia!
Ora, dolce signora, prega per me».
Simili parole potrai dire, od altre cose,
Quando ti inginocchi al sacramento
Desiderando il bene. Non risparmiare niente
Per onorare colui che tutto ha operato.
Un uomo può essere felice per il giorno
Che almeno una volta può vedere Lui.
È di così grande valore, senza dubbio,
Che nessuno potrà dire la virtù di ciò.
Ma quella vista dà tali frutti,
Come dice giustamente S. Agostino,
Che il giorno che vedrai il corpo di Dio
Due o tre volte, senza dubbio
Dovrai prestare obbedienza a quel signore.
Fallo col tuo ginocchio destro
In tal modo porterai rispetto a te stesso
Così, togliti berretto o cappuccio
Finché ti si dica di rimetterlo.
Tutte le volte che parli con lui
Amabilmente e con rispetto tieni alto il mento.
Cosi, secondo il senso del libro,
Potrai guardarlo bene in viso.
Tieni tranquilli i piedi e le mani:
Trattienti dal grattarti e dallo strascicare.
Guardati pure dallo sputare e dal pulirti il naso.
Per queste occorrenze personali
Sii saggio e discreto.
Devi aver gran cura di dominare le emozioni.
Quando entri nel vestibolo
In mezzo alla distinzione, la benevolenza e le
cortesie,
Non presumerti troppo in alto per alcun motivo,
Né per la tua nascita, né per la tua abilità.
Non sederti né appoggiarti.
Questo è il modo saggio e pulito di condurti.
E se non si allenterà il tuo sostegno
Veramente la buona educazione preserverà la tua
dignità,
Se il padre e la madre si condurranno bene
Il figlio non potrà che crescere bene.
Nel vestibolo, in camera, dovunque si vada
Le buone maniere fanno l’uomo.
Guarda attentamente il prossimo grado
Per trattare con riguardo ciascuno singolarmente.
Non salutarli quando sono in gruppo,
A meno che tu non li conosca.
Quando ti siedi a mangiare,
Fallo in modo piacevole e simpatico:
Prima guarda che le tue mani siano pulite
E che il tuo coltello sia affilato e aguzzo
E taglia il tuo pane e il tuo cibo
Nel modo conveniente in quel posto.
Se siedi vicino a un uomo
Più importante di te,
Lascialo prendere la carne
Prima di prenderla tu.
Non prendere il boccone migliore
Anche se lo vorresti;
Tieni le mani composte ed evita
Di pulirle insudiciando la tovaglia.
Non pulirti il naso con quella
Né stuzzicare i denti a tavola.
Non chinar troppo il viso nella coppa
Quando desideri di bere.
Se gli occhi fossero troppo vicini all’acqua
Questo non sarebbe cortese.
Bada di non avere cibi in bocca,
Quando stai per bere o per parlare.
Quando vedi che qualcuno sta bevendo,
Fai attenzione al discorso:
Smetti subito di parlare
Se egli beve vino o birra.
Guarda pure di non disprezzare nessuno
In qualsiasi grado lo veda salire.
Non devi disprezzare nessuno
Se vuoi rispettata la tua dignità:
Per tali parole può risultare
Di essere triste nel sentirti colpevole:
Stringi la tua mano a pugno
E fa di non dover dire «l’avessi saputo!».
In sala, fra signore brillanti,
Frena la lingua e impiega lo sguardo.
Non ridere a crepapelle,
Non scherzare con licenziosità,
Non giocare se non con i tuoi pari,
Non dire tutto ciò che ascolti,
Non parlare dei fatti tuoi,
Né per gusto né per interesse.
Parlando bene puoi ottenere quello che vuoi,
Come puoi distruggerti.
Quando incontri un uomo rispettabile
Togliti il cappello o il cappuccio,
In chiesa, al mercato o in strada.
Onoralo secondo il suo stato.
Se cammini con uno più importante
Di quanto lo sii tu,
Tienti un po’ dietro di lui,
Per non mancargli di riguardo.
Quando egli parla, taci,
Quando avrà finito parlerai tu.
Sii efficace nei tuoi discorsi
E considera bene ciò che dici.
Ma non togliergli la parola
Né al vino né alla birra.
Allora Cristo nella sua grazia
Ti darà spirito e spazio
Per conoscere e leggere questo buon libro
Onde guadagnarvi il cielo.
Amen! Amen! Così sia!
Versione originale
Hic
incipiunt constituciones artis
gemetriae secundum Eucyldem.
Whose wol bothe wel rede and loke,
He may fynde wryte yn olde boke
Of grete lordys and eke ladyysse,
That had mony chyldryn y-fere, y-wisse;
And hade no rentys to fynde hem wyth,
Nowther yn towne, ny felde, ny fryth:
A cownsel togeder they cowthe hem take;
To ordeyne for these chyldryn sake,
How they myzth best lede here lyfe
Withoute fret desese, care and stryge;
And most for the multytude that was comynge
Of here chyldryn after here zyndynge.
(They) sende thenne after grete clerkys,
To techyn hem thenne gode werkys;
And pray we hem, for our Lordys sake,
To
oure chyldryn sum werke to make,
That
they myzth gete here lyvnge therby,
Bothe
wel and onestlyche, ful sycurly.
Yn
that tyme, throzgh good gemetry,
Thys
onest craft of good masonry
Wes
ordeynt and made yn thys manere,
Y-cownterfetyd
of thys clerkys y-fere;
At
these lordys prayers they cownter-
fetyd
gemetry,
And
zaf hyt the name of masonry,
For
the moste oneste craft of alle.
These
lordys chyldryn therto dede falle,
To
lurne of hym the craft of gemetry,
The
wheche he made ful curysly;
Throzgh
fadrys prayers and modrys also,
Thys
onest craft he putte hem to.
He
that lerned best, and were of oneste,
And
passud hys felows yn curyste;
Zef
yn that craft he dede hym passe,
He
schulde have more worschepe then the lasse.
Thys
frete clerkys name was clept Euclyde,
Hys
name hyt spradde ful wondur wyde.
Zet
thys grete clerke more ordeynt he
To
hym that was herre yn thys degre,
That
he schulde teche the synplyst of (wytte)
Yn
that onest craft to be parfytte;
And
so uchon schulle techyn othur,
And
love togeder as syster and brothur.
Forthermore
zet that ordeynt he,
Mayster
y-called so schulde he be;
So
that he were most y-worschepede,
Thenne
sculde he be so y-clepede:
But
mason schulde never won other calle,
Withynne
the craft amongus hem alle,
Ny
soget, ny servant, my dere brother,
Thazht
he be not so perfyt as ys another;
Uchon
sculle calle other felows by cuthe,
For
cause they come of ladyes burthe.
On
thys maner, throz good wytte of gemetry,
Bygan
furst the craft of masonry:
The
clerk Euclyde on thys wyse hyt fonde,
Thys
craft of gemetry yn Egypte londe.
Yn
Egypte he tawzhte hyt ful wyde,
Yn
dyvers londe on every syde;
Mony
erys afterwarde, y understonde,
Zer
that the craft com ynto thys londe,
Thys
craft com ynto Englond, as y zow say,
Yn
tyme of good kynge Adelstonus day;
He
made tho bothe halle and eke bowre,
And
hye templus of gret honowre,
To
sportyn hym yn bothe day and nyzth,
Thys
goode lorde loved thys craft ful wel,
And
purposud to strenthyn hyt every del,
For
dyvers defawtys that yn the craft he fonde;
He
sende about ynto the londe
After
alle the masonus of the crafte,
To
come to hym ful evene strazfte,
For
to amende these defautys alle
By
good consel, zef hyt mytzth falle.
A
semble thenne he cowthe let make
Of
dyvers lordis, yn here state,
Dukys,
erlys, and barnes also,
Kynzthys,
sqwyers, and mony mo,
And
the grete burges of that syte,
They
were ther alle yn here degre;
These
were ther uchon algate,
To
ordeyne for these masonus astate.
Ther
they sowzton by here wytte,
How
they myzthyn governe hytte:
Fyftene
artyculus they ther sowzton
And
fyftene poyntys they wrozton.
Hic
incipit articulus primus.
The
furste artycul of thys gemetry:--
The
mayster mason moste be ful securly
bothe
stedefast, trusty, and trwe,
Hyt
schal hum never thenne arewe:
And
pay thy felows after the coste,
As
vytaylys goth thenne, wel thou woste;
And
pay them trwly, apon thy fay,
What
that they mowe serve fore;
And
spare, nowther for love ny drede,
Of
nowther partys to take no mede;
Of
lord ny felow, whether he be,
Of
hem thou take no maner of fe;
And
as a jugge stonde upryzth,
And
thenne thou dost to bothe good ryzth;
And
trwly do thys whersever thou gost,
Thy
worschep, thy profyt, hyt shcal be most.
Articulus
secundus.
The
secunde artycul of good masonry,
As
ze mowe hyt here hyr specyaly,
That
every mayster, that ys a mason,
Most
ben at the generale congregacyon,
So
that he hyt resonably z-tolde
Where
that the semble schal be holde;
And
to that semble he most nede gon,
But
he have a resenabul skwsacyon,
Or
but he be unbuxom to that craft,
Or
with falssehed ys over-raft,
Or
ellus sekenes hath hym so stronge,
That
he may not com hem amonge;
That
ys a skwsacyon, good and abulle,
To
that semble withoute fabulle.
Articulus
tercius.
The
thrydde artycul for sothe hyt uysse,
That
the mayster take to no prentysse,
but
he have good seuerans to dwelle
Seven
zer with hym, as y zow telle,
Hys
craft to lurne, that ys profytable;
Withynne
lasse he may not be able
To
lordys profyt, ny to his owne,
As
ze mowe knowe by good resowne.
Articulus
quartus.
The
fowrhe artycul thys moste be
That
the mayster hym wel be-se,
That
he no bondemon prentys make,
Ny
for no covetyse do hym take;
For
the lord that he ys bonde to,
May
fache the prentes whersever he go.
Zef
yn the logge he were y-take,
Muche
desese hyt myzth ther make,
And
suche case hyt myzth befalle,
That
hyt myzth greve summe or alle.
For
alle the masonus tht ben there
Wol
stonde togedur hol y-fere
Zef
suche won yn that craft schulde swelle,
Of
dyvers desesys ze myzth telle:
For
more zese thenne, and of honeste,
Take
a prentes of herre degre.
By
olde tyme wryten y fynde
That
the prenes schulde be of gentyl kynde;
And
so symtyme grete lordys blod
Toke
thys gemetry, that ys ful good.
Articulus
quintus.
The
fyfthe artycul ys swythe good,
So
that the prentes be of lawful blod;
The
mayster schal not, for no vantage,
Make
no prentes that ys outrage;
Hyt
ys to mene, as ze mowe here,
That
he have hys lymes hole alle y-fere;
To
the craft hyt were gret schame,
To
make an halt mon and a lame,
For
an unperfyt mon of suche blod
Schulde
do the craft but lytul good.
Thus
ze mowe knowe everychon,
The
craft wolde have a myzhty mon;
A
maymed mon he hath no myzht,
Ze
mowe hyt knowe long zer nyzht.
Articulus
sextus.
The
syzte artycul ze mowe not mysse,
That
the mayster do the lord no pregedysse,
To
take of the lord, for hyse prentyse,
Also
muche as hys felows don, yn alle vyse.
For
yn that craft they ben ful perfyt,
So
ys not he, ze mowe sen hyt.
Also
hyt were azeynus good reson,
To
take hys, hure as hys felows don.
Thys
same artycul, yn thys casse,
Juggythe
the prentes to take lasse
Thenne
hys felows, that ben ful perfyt.
Yn
dyvers maters, conne qwyte hyt,
The
mayster may his prentes so enforme,
That
hys hure may crese ful zurne,
And,
zer hys terme come to an ende,
Hys
hure may ful wel amende.
Articulus
septimus.
The
seventhe artycul that ys now here,
Ful
wel wol telle zow, alle y-fere,
That
no mayster, for favour ny drede,
Schal
no thef nowther clothe ny fede.
Theves
he schal herberon never won,
Ny
hym that hath y-quellude a mon,
Wy
thylike that hath a febul name,
Lest
hyt wolde turne the craft to schame.
Articulus
octavus.
The
eghte artycul schewt zow so,
That
the mayster may hyt wel do,
Zef
that he have any mon of crafte,
And
be not also perfyt as he auzte,
He
may hym change sone anon,
And
take for hym a perfytur mon.
Suche
a mon, throze rechelaschepe,
Myzth
do the craft schert worschepe.
Articulus
nonus.
The
nynthe artycul schewet ful welle,
That
the mayster be both wyse and felle;
That
no werke he undurtake,
But
he conne bothe hyt ende and make;
And
that hyt be to the lordes profyt also,
And
to hys craft, whersever he go;
And
that the grond be wel y-take,
That
hyt nowther fle ny grake.
Articulus
decimus.
The
then the artycul ys for to knowe,
Amonge
the craft, to hye and lowe,
There
schal no mayster supplante other,
But
be togeder as systur and brother,
Yn
thys curyus craft, alle and som,
That
longuth to a maystur mason.
Ny
thys curyus craft, alle and som,
That
longuth to a maystur mason.
Ny
he schal not supplante non other mon,
That
hath y-take a werke hym uppon,
Yn
peyne therof that ys so stronge,
That
peyseth no lasse thenne ten ponge,
But
zef that he be gulty y-fonde,
That
toke furst the werke on honde;
For
no mon yn masonry
Schal
no supplante othur securly,
But
zef that hyt be so y-wrozth,
That
hyt turne the werke to nozth;
Thenne
may a mason that werk crave,
To
the lordes profzt hyt for to save;
Yn
suche a case but hyt do falle,
Ther
schal no mason medul withalle.
Forsothe
he that begynnth the gronde,
And
he be a mason goode and sonde,
For
hath hyt sycurly yn hys mynde
To
brynge the werke to ful good ende.
Articulus
undecimus.
The
eleventhe artycul y telle the,
That
he ys bothe fayr and fre;
For
he techyt, by hys myzth,
That
no mason schulde worche be nyzth,
But
zef hyt be yn practesynge of wytte,
Zef
that y cowthe amende hytte.
Articulus
duodecimus.
The
twelfthe artycul ys of hye honeste
To
zevery mason, whersever he be;
He
schal not hys felows werk deprave,
Zef
that he wol hys honeste save;
With
honest wordes he hyt comende,
By
the wytte that God the dede sende;
Buy
hyt amende by al that thou may,
Bytwynne
zow bothe withoute nay.
Articulus
xiijus.
The
threttene artycul, so God me save,
Ys,
zef that the mayster a prentes have,
Enterlyche
thenne that he hym teche,
And
meserable poyntes that he hym reche,
That
he the craft abelyche may conne,
Whersever
he go undur the sonne.
Articulus
xiiijus.
The
fowrtene artycul, by food reson,
Schewete
the mayster how he schal don;
He
schal no prentes to hym take,
Byt
dyvers crys he have to make,
That
he may, withynne hys terme,
Of
hym dyvers poyntes may lurne.
Articulus
quindecimus.
The
fyftene artcul maketh an ende,
For
to the maysterhe ys a frende;
To
lere hym so, that for no mon,
No
fals mantenans he take hym apon,
Ny
maynteine hys felows yn here synne,
For
no good that he myzth wynne;
Ny
no fals sware sofre hem to make,
For
drede of here sowles sake;
Lest
hyt wolde turne the craft to schame,
And
hymself to mechul blame.
Plures
Constituciones.
At
thys semble were poyntes y-ordeynt mo,
Of
grete lordys and maystrys also,
That
whose wol conne thys craft and com to
astate,
He
most love wel God, and holy churche algate,
And
hys mayster also, that he ys wythe,
Whersever
he go, yn fylde or frythe;
And
thy felows thou love also,
For
that they craft wol that thou do.
Secundus
punctus.
The
secunde poynt, as y zow say,
That
the mason worche apon the werk day,
Also
trwly, as he con or may,
To
deserve hys huyre for the halyday,
And
trwly to labrun on hys dede,
Wel
deserve to have hys mede.
Tercius
punctus.
The
thrydde poynt most be severele,
With
the prentes knowe hyt wele,
Hys
mayster conwsel he kepe and close,
And
hys felows by hys goode purpose;
The
prevetyse of the chamber telle he no man,
Ny
yn the logge whatsever they done;
Whatsever
thou heryst, or syste hem do,
Tells
hyt no mon, whersever thou go;
The
conwesel of halls, and zeke of bowre,
Kepe
hyt wel to gret honowre,
Lest
hyt wolde torne thyself to blame,
And
brynge the craft ynto gret schame.
Quartus
punctus.
The
fowrthe poynt techyth us alse,
That
no mon to hys craft be false;
Errour
he schal maynteine none
Azeynus
the craft, but let hyt gone;
Ny
no pregedysse he schal not do
To
hys mayster, ny hys felows also;
And
thatzth the prentes be under awe,
Zet
he wolde have the same lawe.
Quintus
punctus.
The
fyfthe poynte ys, withoute nay,
That
whenne the mason taketh hys pay
Of
the mayster, y-ordent to hym,
Ful
mekely y-take so most hyt byn;
Zet
most the mayster, by good resone,
Warne
hem lawfully byfore none,
Zef
he nulle okepye hem no more,
As
he hath y-done ther byfore;
Azeynus
thys ordyr he may not stryve,
Zef
he thenke wel for to thryve.
Sextus
punctus.
The
syxte poynt ys ful zef to knowe,
Bothe
to hye and eke to lowe,
For
such case hyt myzth befalle,
Am
nge the masonus, summe or alle,
Throwghe
envye, or dedly hate,
Ofte
aryseth ful gret debate.
Thenne
owyth the mason, zef that he may,
Putte
hem bothe under a day;
But
loveday zet schul they make none;
Tyl
that the werke day be clene a-gone;
Apon
the holyday ze mowe wel take
Leyser
y-nowzgth loveday to make,
Lest
that hyt wolde the werke day
Latte
here werke for suche afray;
To
suche ende thenne that hem drawe,
That
they stonde wel yn Goddes lawe.
Septimus
punctus.
The
seventhe poynt he may wel mene,
Of
wel longe lyf that God us lene,
As
hyt dyscryeth wel opunly,
Thou
schal not by thy maysters wyf ly,
Ny
by the felows, yn no maner wyse,
Lest
the craft wolde the despyse;
Ny
by the felows concubyne,
No
more thou woldest he dede by thyne.
The
peyne thereof let hyt be ser,
That
he prentes ful seven zer,
Zef
he forfete yn eny of hem,
So
y-chasted thenne most he ben;
Ful
mekele care myzth ther begynne,
For
suche a fowle dedely synne.
Octavus
punctus.
The
eghte poynt, he may be sure,
Zef
thou hast y-taken any cure,
Under
thy mayster thou be trwe,
For
that pynt thou schalt never arewe;
Atrwe
medyater thou most nede be
To
thy mayster, and thy felows fre;
Do
trwly al....that thou myzth,
To
both partyes, and that ys good ryzth.
Nonus
punctus.
The
nynthe poynt we schul hym calle,
That
he be stwarde of oure halle,
Zef
that ze ben yn chambur y-fere,
Uchon
serve other, with mylde chere;
Jentul
felows, ze moste hyt knowe,
For
to be stwardus alle o rowe,
Weke
after weke withoute dowte,
Stwardus
to ben so alle abowte,
Lovelyche
to serven uchon othur,
As
thawgh they were syster and brother;
Ther
schal never won on other costage
Fre
hymself to no vantage,
But
every mon schal be lyche fre
Yn
that costage, so moste hyt be;
Loke
that thou pay wele every mon algate,
That
thou hsat y-bowzht any vytayles ate,
That
no cravynge be y-mad to the,
Ny
to thy felows, yn no degre,
To
mon or to wommon, whether he be,
Pay hem
wel and trwly, for that wol we;
Therof
on thy felow trwe record thou take,
For
that good pay as thou dost make,
Lest
hyt wolde thy felowe schame,
Any
brynge thyself ynto gret blame.
Zet
good acowntes he most make
Of
suche godes as he hath y-take,
Of
thy felows goodes that thou hast spende,
Wher,
and how, and to what ende;
Suche
acowntes thou most come to,
Whenne
thy felows wollen that thou do.
Decimus
punctus.
The
tenthe poynt presentyeth wel god lyf,
To
lyven withoute care and stryf;
For
and the mason lyve amysse,
And
yn hys werk be false, y-wysse,
And
thorwz suche a false skewysasyon
May
sclawndren hys felows oute reson,
Throwz
false sclawnder of suche fame
May
make the craft kachone blame.
Zef
he do the craft suche vylany,
Do
hym no favour thenne securly.
Ny
maynteine not hym yn wyked lyf,
Lest
hyt wolde turne to care and stryf;
But
zet hym ze schul not delayme,
But
that ze schullen hym constrayne,
For
to apere whersevor ze wylle,
Whar
that ze wolen, lowde, or stylle;
To
the nexte semble ze schul hym calle,
To
apere byfore hys felows alle,
And
but zef he wyl byfore hem pere,
The
crafte he moste nede forswere;
He
schal thenne be chasted after the lawe
That
was y-fownded by olde dawe.
Punctus
undecimus.
The
eleventhe poynt ys of good dyscrecyoun,
As
ze mowe knowe by good resoun;
A
mason, and he thys craft wel con,
That
syzth hys felow hewen on a ston,
Amende
hyt sone, zef that thou con,
And
teche hym thenne hyt to amende,
That
the lordys werke be not y-schende,
And
teche hym esely hyt to amende,
With
fayre wordes, that God the hath lende;
For
hys sake that sytte above,
With
swete wordes noresche hym love.
Punctus
duodecimus.
The
twelthe poynt of gret ryolte,
Ther
as the semble y-hole schal be,
Ther
schul be maystrys and felows also,
And
other grete lordes mony mo;
There
schal be the scheref of that contre,
And
also the meyr of that syte,
Knyztes
and ther schul be,
And
other aldermen, as ze schul se;
Suche
ordynance as they maken there,
They
schul maynte hyt hol y-fere
Azeynus
that mon, whatsever he be,
That
longuth to the craft bothe fayr and free.
Zef
he any stryf azeynus hem make,
Ynto
here warde he schal be take.
Xiijus
punctus.
The
threnteth poynt ys to us ful luf.
He
schal swere never to be no thef,
Ny
soker hym yn hys fals craft,
For
no good that he hath byraft,
And
thou mowe hyt knowe or syn,
Nowther
for hys good, ny for hys kyn.
Xiijus
punctus.
The
fowrtethe poynt ys ful good lawe
To
hym that wold ben under awe;
A
good trwe othe he most ther swere
To
hys mayster and hys felows that ben there;
He
most be stedefast and trwe also
To
alle thys ordynance, whersever he go,
And
to hys lyge lord the kynge,
To
be trwe to hym, over alle thynge.
And
alle these poyntes hyr before
To
hem thou most nede by y-swore,
And
alle schul swere the same ogth
Of
the masonus, be they luf, ben they loght,
To
alle these poyntes hyr byfore,
That
hath ben ordeynt by ful good lore.
And
they schul enquere every mon
On
his party, as wyl as he con,
Zef
any mon mowe be y-fownde gulty
Yn
any of these poyntes spesyaly;
And
whad he be, let hym be sowzht,
And
to the semble let hym be browzht.
Quindecimus
punctus.
The
fifethe poynt ys of ful good lore,
For
hem that schul ben ther y-swore,
Suche
ordyance at the semble wes layd
Of
grete lordes and maystres byforesayd;
For
thelke that be unbuxom, y-wysse,
Azeynus
the ordynance that ther ysse
Of
these artyculus, that were y-meved there,
Of
grete lordes and masonus al y-fere.
And
zef they ben y-preved opunly
Byfore
that semble, by an by,
And
for here gultes no mendys wol make,
Thenne
most they nede the craft they schul refuse,
And
swere hyt never more for to use.
But
zef that they wol mendys make,
Azayn
to the craft they schul never take;
And
zef that they nul not do so,
The
scheref schal come hem sone to,
And
putte here dodyes yn duppe prison,
For
the trespasse that they hav y-don,
And
take here goodes and here cattelle
Ynto
the kynges hond, everyt delle,
And
lete hem dwelle ther full stylle,
Tyl
hyt be oure lege kynges wylle.
Alia
ordinacio artis gematriae.
They
ordent ther a semble to be y-holde
Every
zer, whersever they wolde,
To
amende the defautes, zef any where fonde
Amonge
the craft withynne the londe;
Uche
zer or thrydde zer hyt schuld be holde,
Yn
every place whersever they wolde;
Tyme
and place most be ordeynt also,
Yn
what place they schul semble to.
Alle
the men of craft thr they most ben,
And
other grete lordes, as ze mowe sen,
To
mende the fautes that buth ther y-spoke,
Zef
that eny of hem ben thenne y-broke.
Ther
they schullen ben alle y-swore,
That
longuth to thys craftes lore,
To
kepe these statutes everychon,
That
ben y-ordeynt by kynge Aldelston;
These
statutes that y have hyr y-fonde
Y
chulle they ben holde throzh my londe,
For
the worsche of my rygolte,
That
y have by my dygnyte.
Also
at every semble that ze holde,
That
ze come to zowre lyge kyng bolde,
Bysechynge
hym of hys hye grace,
To
stone with zow yn every place,
To
conferme the statutes of kynge Adelston,
That
he ordeydnt to thys craft by good reson,
Ars
quatuor coronatorum.
Pray
we now to God almyzht,
And
to hys moder Mary bryzht,
That
we mowe keepe these artyculus here,
And
these poynts wel al y-fere,
As
dede these holy martyres fowre,
That
yn thys craft were of gret honoure;
They
were as gode masonus as on erthe schul go,
Gravers
and ymage-makers they were also.
For
they were werkemen of the beste,
The
emperour hade to hem gret luste;
He
wylned of hem a ymage to make,
That
mowzh be worscheped for his sake;
Susch
mawmetys he hade yn hys dawe,
To
turne the pepul from Crystus lawe.
But
they were stedefast yn Crystes lay,
And
to here craft, withouten nay;
They
loved wel God and alle hys lore,
And
weren yn hys serves ever more.
Trwe
men they were yn that dawe,
And
lyved wel y Goddus lawe;
They
thozght no mawmetys for to make,
For
no good that they myzth take,
To
levyn on that mawmetys for here God,
They
nolde do so thawz he were wod;
For
they nolde not forsake here trw fay,
An
beyleve on hys falsse lay.
The
emperour let take hem sone anone,
And
putte hem ynto a dep presone;
The
sarre he penest hem yn that plase,
The
more yoye wes to hem of Cristus grace.
Thenne
when he sye no nother won,
To
dethe he lette hem thenne gon;
By
the bok he may kyt schowe,
In
the legent of scanctorum,
The
name of quatour coronatorum.
Here
fest wol be, withoute nay,
After
Alle Halwen the eyght day.
Ze
mow here as y do rede,
That
mony zeres after, for gret drede
That
Noees flod wes alle y-ronne,
The
tower of Babyloyne was begonne,
Also
playne werke of lyme and ston,
As
any mon schulde loke uppon;
So
long and brod hyt was begonne,
Seven
myle the hezghte schadweth the sonne.
King
Nabogodonosor let hyt make,
To
gret strenthe for monus sake,
Thazgh
suche a flod azayne schulde come,
Over
the werke hyt schulde not nome;
For
they hadde so hy pride, with stronge
bost,
Alle
that werke therfore was y-lost;
An
angele smot hem so with dyveres speche,
That
never won wyste what other schuld
reche.
Mony
eres after, the goode clerk Euclyde
Tazghte
the craft of gemetre wonder wyde,
So
he ded that tyme other also,
Of
dyvers craftes mony mo.
Throzgh
hye grace of Crist yn heven,
He
commensed yn the syens seven;
Gramatica
ys the furste syens y-wysse,
Dialetica
the secunde, so have y blysse,
Rethorica
the thrydde, withoute nay,
Musica
ys the fowrth, as y zow say,
Astromia
ys the V, by my snowte,
Arsmetica
the Vi, withoute dowte
Gemetria
the seventhe maketh an ende,
For
he ys bothe make and hende,
Gramer
forsothe ys the rote,
Whose
wyl lurne on the boke;
But
art passeth yn hys degre,
As
the fryte doth the rote of the tre;
Rethoryk
metryth with orne speche amonge,
And
musyke hyt ys a swete song;
Astronomy
nombreth, my dere brother,
Arsmetyk
scheweth won thyng that ys another,
Gemetre
the seventh syens hyt ysse,
That
con deperte falshed from trewthe y-wys.
These
bene the syens seven,
Whose
useth hem wel, he may han heven.
Now
dere chyldren, by zowre wytte,
Pride
and covetyse that ze leven, hytte,
And
taketh hede to goode dyscrecyon,
And
to good norter, whersever ze com.
Now
y pray zow take good hede,
For
thys ze most kenne nede,
But
much more ze moste wyten,
Thenne
ze fynden hyr y-wryten.
Zef
the fayle therto wytte,
Pray
to God to send the hytte;
For
Crist hymself, he techet ous
That
holy churche ys Goddes hous,
That
ys y-mad for nothynge ellus
but
for to pray yn, as the bok tellus;
Ther
the pepul schal gedur ynne,
To
pray and wepe for here synne.
Loke
thou come not to churche late,
For
to speke harlotrey by the gate;
Thenne
to churche when thou dost fare,
Have
yn thy mynde ever mare
To
worschepe thy lord God bothe day and nyzth,
With
all thy wyttes, and eke thy myzth.
To
the churche dore when tou dost come,
Of
that holy water ther sum thow nome,
For
every drope thou felust ther
Qwenchet
a venyal synne, be thou ser.
But
furst thou most do down thy hode,
For
hyse love that dyed on the rode.
Into
the churche when thou dost gon,
Pulle
uppe thy herte to Crist, anon;
Uppon
the rode thou loke uppe then,
And
knele down fayre on bothe thy knen;
Then
pray to hym so hyr to worche,
After
the lawe of holy churche,
For
to kepe the comandementes ten,
That
God zaf to alle men;
And
pray to hym with mylde steven
To
kepe the from the synnes seven,
That
thou hyr mowe, yn thy lyve,
Kepe
the wel from care and stryve,
Forthermore
he grante the grace,
In
heven blysse to hav a place.
In
holy churche lef nyse wordes
Of
lewed speche, and fowle bordes,
And
putte away alle vanyte,
And
say thy pater noster and thyn ave;
Loke
also thou make no bere,
But
ay to be yn thy prayere;
Zef
thou wolt not thyselve pray,
Latte
non other mon by no way.
In
that place nowther sytte ny stonde,
But
knele fayre down on the gronde,
And,
when the Gospel me rede schal,
Fayre
thou stonde up fro the wal,
And
blesse the fayre, zef that thou conne,
When
gloria tibi is begonne;
And
when the gospel ys y-done,
Azayn
thou myzth knele adown;
On
bothe thy knen down thou falle,
For
hyse love that bowzht us alle;
And
when thou herest the belle rynge
To
that holy sakerynge,
Knele
ze most, bothe zynge and olde,
And
bothe zor hondes fayr upholde,
And
say thenne yn thys manere,
Fayr
and softe, withoute bere;
"Jhesu
Lord, welcom thou be,
Yn
forme of bred, as y the se.
Now
Jhesu, for thyn holy name,
Schulde
me from synne and schame,
Schryff
and hosel thou grant me bo,
Zer
that y schal hennus go,
And
vey contrycyon of my synne,
Tath
y never, Lord, dye therynne;
And,
as thou were of a mayde y-bore,
Sofre
me never to be y-lore;
But
when y schal hennus wende,
Grante
me the blysse withoute ende;
Amen!
amen! so mot hyt be!
Now,
swete lady, pray for me."
Thus
thou myzht say, or sum other thynge,
When
thou knelust at the sakerynge.
For
covetyse after good, spare thou nought
To
worschepe hym that alle hath wrought;
For
glad may a mon that day ben,
That
onus yn the day may hym sen;
Hyt
ys so muche worthe, withoute nay,
The
vertu therof no mon telle may;
But
so meche good doth that syht,
As
seynt Austyn telluth ful ryht,
That
day thou syst Goddus body,
Thou
schalt have these, ful securly;-
Mete
and drynke at thy nede,
Non
that day schal the gnede;
Ydul
othes, an wordes bo,
God
forzeveth the also;
Soden
deth, that ylke day,
The
dar not drede by no way;
Also
that day, y the plyht,
Thou
schalt not lese thy eye syht;
And
uche fote that thou gost then,
That
holy syht for to sen,
They
schul be told to stonde yn stede,
When
thou hast therto gret nede;
That
messongere, the angele Gabryelle,
Wol
kepe hem to the ful welle.
From
thys mater now y may passe,
To
telle mo medys of the masse:
To
churche come zet, zef thou may,
And
here thy masse uche day;
Zef
thou mowe not come to churche,
Wher
that ever thou doste worche,
When
thou herest to masse knylle,
Pray
to God with herte stylle,
To
zeve the part of that servyse,
That
yn churche ther don yse.
Forthermore
zet, y wol zow preche
To
zowre felows, hyt for to teche,
When
thou comest byfore a lorde,
Yn
halle, yn bowre, or at the borde,
Hod
or cappe that thou of do,
Zer
thou come hym allynge to;
Twyes
or thryes, without dowte,
To
that lord thou moste lowte;
With
thy ryzth kne let hyt be do,
Thynowne
worschepe tou save so.
Holde
of thy cappe, and hod also,
Tyl
thou have leve hyt on to do.
Al
the whyle thou spekest with hym,
Fayre
and lovelyche bere up thy chyn;
So,
after the norter of the boke,
Yn
hys face lovely thou loke.
Fot
and hond, thou kepe ful stylle
From
clawynge and trypynge, ys sckylle;
From
spyttynge and snyftynge kepe the also,
By
privy avoydans let hyt go.
And
zef that thou be wyse and felle,
Thou
hast gret nede to governe the welle.
Ynto
the halle when thou dost wende,
Amonges
the genteles, good and hende,
Presume
not to hye for nothynge,
For
thyn hye blod, ny thy connynge,
Nowther
to sytte, ny to lene,
That
ys norther good and clene.
Let
not thy cowntenans therfore abate,
Forsothe,
good norter wol save thy state.
Fader
and moder, whatsever they be,
Wel
ys the chyld that wel may the ,
Yn
halle, yn chamber, wher thou dost gon;
Gode
maners maken a mon.
To
the nexte degre loke wysly,
To
do hem reverans by and by;
Do
hem zet no reverans al o-rowe,
But
zef that thou do hem know.
To
the mete when thou art y-sette,
Fayre
and onestelyche thou ete hytte;
Fyrst
loke that thyn honden be clene,
And
that thy knyf be scharpe and kene;
And
kette thy bed al at thy mete,
Ryzth
as hyt may be ther y-ete.
Zef
thou sytte by a worththyur mon.
Then
thy selven thou art won,
Sofre
hym fyrst to toyche the mete,
Zer
thyself to hyt reche.
To
the fayrest mossel thou myzht not strike,
Thaght
that thou do hyt wel lyke;
Kepe
thyn hondes, fayr and wel,
From
fowle smogynge of thy towel;
Theron
thou schalt not thy nese snyte,
Ny
at the mete thy tothe thou pyke;
To
depe yn the coppe thou myzght not synke,
Thagh
thou have good wyl to drynke,
Lest
thyn enyn wolde wattryn therby-
Then
were hyt no curtesy
Loke
yn thy mowth ther be no mete,
When
thou begynnyst to drynke or speke.
When
thou syst any mon drynkiynge,
That
taketh hed to thy carpynge,
Sone
anonn thou sese thy tale,
Whether
he drynke wyn other ale.
Loke
also thou scorne no mon,
Yn
what degre thou syst hym gon;
Ny
thou schalt no mon deprave,
Zef
thou wolt thy worschepe save;
For
suche worde myzht ther outberste,
That
myzht make the sytte yn evel reste,
Close
thy honde yn thy fyste,
And
kepe the wel from "had-y-wyste."
Yn
chamber amonge the ladyes bryght,
Holde
thy tonge and spende thy syght;
Lawze
thou not with no gret cry,
Ny
make no ragynge with rybody.
Play
thou not buyt with thy peres,
Ny
tel thou not al that thou heres;
Dyskever
thou not thyn owne dede,
For
no merthe, ny for no mede;
With
fayr speceh thou myght have thy wylle,
With
hyt thou myght thy selven spylle.
When
thou metyst a worthy mon,
Cappe
and hod thou holle no on;
Yn
churche, yn chepyns, or yn gate,
Do
hym reverans after hys state.
Zef
thou gost with a worthyor mon,
Then
thyselven thou art won,
Let
thy forther schulder sewe backe,
For
that ys norter withoute lacke;
When
he doth speke, holte the stylle,
When
he hath don, sey for thy wylle,
Yn
thy speche that thou be felle,
And
what thou sayst avyse the welle;
But
byref thou no hym hys tale,
Nowther
at the wyn, ny at the ale.
Cryst
then of hys hye grace,
Zeve
zow bothe wytte and space,
Wel
thys boke to conne and rede,
Heven
to have for zowre mede.
Amen!
amen! so mot hyt be!
Say
we so alle per charyte.
Postfazione al Poema Regius
Il più antico documento massonico viene chiamato Regius perché fa
parte della Royal Library di Inghilterra, inaugurata da Enrico VII e poi
offerta al British Museum da Giorgio II. È detto anche Halliwell Ms. perché nel
1840 il signor James 0. Halliwell, non Massone, ne scoprì il carattere
massonico e lo pubblicò per la prima volta. In precedenza era stato catalogato
come «A Poem of Moral Duties». Non si può definire, a stretto rigore, una
«Costituzione» sebbene abbia più elementi di una costituzione che non caratteri
artistici di poesia. Gli viene attribuita concordemente una data intorno al
1390. È scritto dunque in Middle English, ossia nella lingua del tempo di
Chaucer e probabilmente in tale epoca (1340-1400) fu trascritto, per opera di un
prete, da un testo più antico. La massima autorità in tema di studi massonici,
Robert Freke Gould, ritiene che esso sia stato scritto per i Massoni
speculativi e non per i Massoni operativi. Le norme di buon comportamento che
contiene sarebbero state inapplicabili alla condizione dei massoni operativi
del Tre e del Quattrocento, poiché prevedono la presenza a tavola di un Lord e
addirittura di Ladies. L’opinione del Gould non è condivisa da H.L. Haywood, il
quale sostiene che la progettazione e la direzione di opere così imponenti
dovevano rendere indispensabile la collaborazione di uomini di varia origine e
condizione. Del resto, dall’editto di Rotari per i Maestri Comacini, del 22
novembre 643, si ricava quale prestigio avessero conseguito, già parecchi secoli
prima del «Regius», le corporazioni dei muratori. Resta in ogni caso evidente
l’importanza primaria del poema Regius e verificata anche dal suo ritrovamento
l’autorità degli «Old Charges» inseriti nelle Costituzioni di Anderson, che con
tutta evidenza discendono in linea retta dai «quindici articoli» e dai
«quindici punti» del Regius.
Il più antico documento organico - ufficialmente
riconosciuto - sulla struttura di un'associazione libero muratoria «operativa»
medioevale è il c.d. «Poema Regius» datato 1390, detto anche «Manoscritto di
Halliwell», dal nome di James O. Halliwell Phillipps (non Massone) che lo
pubblicò nel 1840, scoprendolo giacente nel British Museum. Il manoscritto, che originariamente faceva parte
della Royal Library, era stato donato al museo da Re Giorgio II (1727-1760); da
ciò la dizione «Poema Regius». In precedenza il «Regius» era stato catalogato
come «A Poem of Moral Duties». Il manoscritto è redatto nel middle english
dell'epoca di Chaucer, in forma poetica in 794 versi, e si suppone stilato ad
opera di un prete o di un chierico inglese (o comunque di un erudito) e
probabilmente ricavato da un testo statutario più antico. È composto da un «Preambolo storico» (Qui
cominciano le costituzioni dell'arte della geometria secondo Euclide), da 15
articoli, 15 punti e di 2 parti conclusive.
Il «Poema Regius» non è pertanto, a stretto
rigore, un vero Statuto. Piuttosto potrebbe essere definito come un codice di
comportamento valevole per i liberi muratori e redatto in versi allo scopo di
renderne più facile l'apprendimento testuale a memoria. Il «Poema Regius» si afferma ispirato alle
Costituzioni in vigore nelle Craft Libero muratorie anglo-sassoni operanti
all'epoca dell'anonimo poeta, ma con riferimento - come si afferma nel Poema -
ad un'antecedente Costituzione redatta sotto l'egida di Re Atelstano. Re Atelstano, o Athestan (o Adelstonus, o
Adelston come scritto nel «Poema Regius» rispettivamente ai versi 60 e 485, o
Athelsone come si legge nel c.d. «Manoscritto di Carmick» - che alcuni Autori
collocano attorno al 990-1000, ma che forse dovrebbe collocarsi attorno al
910-930) regnò fino al 939 ed a lui successe il figlio Eduino (o Edwin), che
alcuni Autori affermano sia stato, da principe ereditario, architetto della Loggia
di York nel 925-926 (data quest'ultima attribuita alla fondazione di tale
Loggia). Il «Manoscritto di Carmick» afferma che sarebbe stato tale principe
che fece approvare in un'assemblea a York gli Statuti avuti dal Re suo padre.
Il «Poema Regius» è stato tradotto in italiano
sulla Rivista Massonica 1973 N.6 (non in versi) e da GAETANO FIORENTINO (in
forma poetica) in un volume edito dal G.O.I. («Il Poema Regio») nel 1984. Il «Poema Regius» anche se non è un vero Statuto
rimane comunque di grande interesse per un indagine sulla Massoneria antica, in
quanto rivela anche ampie analogie con gli Old Charger - «Antichi Doveri» -
redatti da Anderson nel 1723 e che costituiscono ancora oggi le norme cardine
della Massoneria.
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