Il Re del Mondo
III - La
«Shekinah» e «Metatron»
Vi sono spiriti timorosi, la cui capacità di comprendere è
stranamente limitata da idee preconcette, i quali sono rimasti turbati dalla
denominazione stessa di «Re del Mondo», che hanno subito avvicinato a quella
del Princeps hujus mundi di cui si
parla nel Vangelo.
Tale assimilazione, ovviamente, è del tutto erronea e priva di fondamento; per accantonarla, potremmo limitarci a far osservare che il titolo di «Re del Mondo», in ebraico e in arabo, è di solito attribuito a Dio stesso[1]. Tuttavia, dato che ciò può dar luogo a qualche osservazione interessante, considereremo a questo proposito le teorie della Cabbala ebraica concernenti gli «intermediari celesti». Tali teorie, per altro, hanno un rapporto estremamente diretto col tema principale del presente studio.
Tale assimilazione, ovviamente, è del tutto erronea e priva di fondamento; per accantonarla, potremmo limitarci a far osservare che il titolo di «Re del Mondo», in ebraico e in arabo, è di solito attribuito a Dio stesso[1]. Tuttavia, dato che ciò può dar luogo a qualche osservazione interessante, considereremo a questo proposito le teorie della Cabbala ebraica concernenti gli «intermediari celesti». Tali teorie, per altro, hanno un rapporto estremamente diretto col tema principale del presente studio.
Gli «intermediari celesti» di cui si tratta sono la Shekinah e Metatron; diremo innanzitutto che, nel suo senso più generale, la Shekinah è la «presenza reale» della
Divinità. Si noti che i passi della Scrittura dove ne è fatta menzione sono
soprattutto quelli in cui si tratta dell’istituzione di un centro spirituale:
la costruzione di un Tabernacolo, l’edificazione dei Templi di Salomone e di
Zorobabel. Un simile centro, costituito in condizioni definite secondo la
regola, doveva essere di fatto il luogo della manifestazione divina, sempre
rappresentata come «Luce»; è curioso osservare che l’espressione «luogo
illuminatissimo e regolarissimo», conservata dalla Massoneria, sembra proprio
essere un ricordo dell’antica scienza sacerdotale che presiedeva alla
costruzione dei templi e che, del resto, non era peculiare degli Ebrei;
torneremo più tardi su questo argomento. Non è il caso che ci addentriamo nello
sviluppo della teoria degli «influssi spirituali» (preferiamo questa
espressione alla parola «benedizioni» per tradurre l’ebraico berakoth, tanto più che tale è il senso
che ha conservato in arabo la parola barakah);
ma, anche limitandosi a considerare le cose da questo solo punto di vista,
sarebbe possibile spiegarsi le parole di Elias Levita che Vulliaud riporta
nella sua opera La Kabbale juive: «I
Maestri della Cabbala hanno a questo proposito grandi segreti».
La Shekinah si
presenta sotto aspetti molteplici, tra cui due principali, l’uno interno,
l’altro esterno; d’altra parte vi è nella tradizione cristiana una frase che
indica nel modo più chiaro questi due aspetti: «Gloria in excelsis Deo, et in terra Pax hominibus bonæ voluntatis». Le parole Gloria e Pax si
riferiscono rispettivamente all’aspetto interno, in rapporto al Principio, e
all’aspetto esterno, in rapporto al mondo manifestato; e, se intendiamo in
questo senso tali parole, si può capire immediatamente perché siano pronunciate
dagli Angeli (Malakim) per annunciare
la nascita del «Dio con noi» oppure «in noi» (Emmanuel). Per quanto
riguarda il primo aspetto, si potrebbero anche ricordare le teorie dei teologi
sulla «luce di gloria» nella quale e per mezzo della quale si opera la visione
beatifica (in excelsis); quanto al
secondo aspetto, ritroviamo qui la «Pace» alla quale alludevamo prima e che,
nel suo significato esoterico, è indicata dappertutto come uno degli attributi
fondamentali dei centri spirituali situati in questo mondo (in terra). Del resto, il termine arabo Sakînah, che è evidentemente identico
all’ebraico Shekinah, si traduce con
«Grande Pace», che è l’equivalente della Pax
Profunda dei Rosacroce; e così si potrebbe spiegare che cosa essi
intendessero per «Tempio dello Spirito Santo», come pure si potrebbero
interpretare in modo preciso i numerosi testi evangelici nei quali si parla
della «Pace»[2], tanto più che «la
tradizione segreta concernente la Shekinah
avrebbe qualche rapporto con la luce del Messia». E sarà poi accidentale che
Vulliaud, nel fornire quest’ultima indicazione[3], dica
che si tratta della tradizione «riservata a coloro che seguivano la via che
porta al Pardes», cioè, come vedremo
poi, al centro spirituale supremo?
Questo ci induce a fare un’altra osservazione: Vulliaud
parla in seguito di un «mistero relativo al Giubileo»[4], il
che si ricollega in certo senso all’idea di «Pace», e a questo proposito cita
il seguente testo dello Zohar (III,
52 b): «Il fiume che esce dall’Eden
porta il nome di Jobel», come pure il
testo di Geremia (XVII, 8): «estenderà le sue radici verso il fiume», da cui
risulta che «l’idea centrale del Giubileo è la restituzione di tutte le cose al
loro stato primitivo». Si tratta chiaramente di quel ritorno allo «stato
primordiale» che tutte le tradizioni contemplano e sul quale noi abbiamo avuto
occasione di soffermarci un po’ nel nostro studio L’Ésotérisme de Dante; e, se si aggiunge che «il ritorno di tutte
le cose al loro stato primitivo segnerà l’era messianica», coloro che hanno
letto quello studio potranno ricordarsi di quanto dicevamo sui rapporti del
«Paradiso terrestre» e della «Gerusalemme celeste». Del resto, a dire il vero,
qui si tratta sempre, in fasi diverse della manifestazione ciclica, del Pardes, il centro di questo mondo, che
il simbolismo tradizionale di tutti i popoli paragona al cuore, centro
dell’essere e «residenza divina» (Brahma-pura
nella dottrina indù), come il Tabernacolo che ne è l’immagine e che perciò è
detto in ebraico mishkan o «abitacolo
di Dio», parola la cui radice è la stessa di Shekinah.
Secondo un altro punto di vista, la Shekinah è la sintesi delle Sephiroth;
ora, nell’albero sephirotico, la «colonna di destra» è il lato della
Misericordia, e la «colonna di sinistra» è il lato del Rigore[5];
dobbiamo dunque ritrovare tali aspetti anche nella Shekinah e possiamo notare subito, per collegare questo a quanto
precede, che, almeno sotto un certo rispetto, il Rigore si identifica con la
Giustizia e la Misericordia con la Pace[6]. «Se
l’uomo pecca e si allontana dalla Shekinah,
cade in balia delle potenze (Sârim)
che dipendono dal Rigore»[7] e
allora la Shekinah è detta «mano di
rigore», il che ricorda subito il noto simbolo della «mano di giustizia»; ma,
all’opposto, «se l’uomo si avvicina alla Shekinah,
si libera» e la Shekinah è la «mano
destra» di Dio, come dire che la «mano di giustizia» diviene allora la «mano
benedicente»[8]. Sono questi i misteri
della «Casa di Giustizia» (Beith-Din),
che ancora una volta è una designazione del centro spirituale supremo[9];
quasi non occorre far notare che i due lati ora esaminati sono quelli in cui si
ripartiscono gli eletti e i dannati nelle rappresentazioni cristiane del
«Giudizio Universale». Si potrebbe anche fare un raffronto con le due vie che i
Pitagorici raffigurano mediante la lettera Y e che il mito di Ercole fra la
Virtù e il Vizio rappresentava in forma essoterica; con le due porte, celeste e
infernale, che presso i Latini erano associate al simbolismo di Janus; con le due fasi cicliche,
ascendente e discendente[10], che
presso gli Indù similmente si collegano al simbolismo di Ganêsha[11].
Insomma, da tutto questo è facile capire che cosa significhino in verità
espressioni come «retta intenzione», che troveremo in seguito, e «buona
volontà» («Pax hominibus bonæ
voluntatis», e coloro che conoscono un po’ i vari simboli di cui abbiamo
parlato vedranno come non senza motivo la festa del Natale coincida con l’epoca
del solstizio d’inverno), se si ha cura di tralasciare tutte le interpretazioni
esteriori, filosofiche e morali, cui hanno dato luogo dagli Stoici fino a Kant.
«La Cabbala dà alla Shekinah
un paredro che porta nomi identici ai suoi e che possiede, per conseguenza, i
medesimi caratteri»[12] e
naturalmente ha tanti aspetti diversi quanti ne ha la Shekinah stessa; il suo nome è Metatron,
nome che equivale numericamente a quello di Shaddai[13], l’«Onnipotente»
(che si dice essere il nome del Dio di Abramo). L’etimologia della parola Metatron è molto incerta; fra le diverse
ipotesi formulate al riguardo una delle più interessanti è quella che la fa
derivare dal caldaico Mitra, che
significa «pioggia» e che, per la sua radice, ha un certo rapporto con la
«luce». D’altra parte non bisogna credere che la somiglianza con il Mitra indù e zoroastriano costituisca
una ragione sufficiente per ammettere che vi sia qui un prestito del Giudaismo
da dottrine straniere, perché non è certo in questo modo affatto esteriore che
vanno considerati i rapporti esistenti fra le varie tradizioni; e lo stesso va
detto per quanto riguarda il ruolo attribuito alla pioggia in quasi tutte le
tradizioni quale simbolo della discesa degli «influssi spirituali» dal Cielo
sulla Terra. A questo proposito, bisogna notare che la dottrina ebraica parla
di una «rugiada di luce» che emana dall’«Albero della Vita» e per mezzo della
quale deve operarsi la resurrezione dei morti; e parla anche di una «effusione
di rugiada» che rappresenta l’influsso celeste che si comunica a tutti i mondi,
il che ricorda singolarmente il simbolismo alchemico e rosacroce.
«Il termine Metatron
comporta tutte le accezioni di guardiano, Signore, inviato, mediatore»; egli è
«l’autore delle teofanie nel mondo sensibile»[14]; è
l’«Angelo della Faccia» e anche il «Principe del Mondo» (Sâr ha-ôlam): quest’ultima designazione mostra che non ci siamo
affatto allontanati dal nostro argomento. Per applicare il simbolismo
tradizionale già spiegato in precedenza, potremmo dire che, come il capo della gerarchia
iniziatica è il «Polo terrestre», così Metatron
è il «Polo celeste»; e l’uno si riflette nell’altro, essendo con esso in
relazione diretta attraverso l’«Asse del Mondo». «Il suo nome è Mikael, il Grande Sacerdote, che è
olocausto e oblazione dinanzi a Dio. E tutto ciò che fanno gli Israeliti sulla
terra si compie seguendo i tipi di quanto avviene nel mondo celeste. Il Grande
Pontefice quaggiù simboleggia Mikael,
principe della Clemenza... In tutti i passi in cui la Scrittura parla
dell’apparizione di Mikael, si tratta
della gloria della Shekinah»[15]. Ciò
che qui è detto degli Israeliti può essere detto parimenti di tutti i popoli
che possiedono una tradizione veramente ortodossa; a maggior ragione deve
essere detto dei rappresentanti della tradizione primordiale da cui tutte le
altre derivano e alla quale tutte sono subordinate; e questo è in rapporto con
il simbolismo della «Terra Santa», immagine del mondo celeste al quale abbiamo
già fatto allusione. D’altra parte, è stato detto, Metatron non ha solo
l’aspetto della Clemenza, ma anche quello della Giustizia, non è solo il
«Grande Sacerdote» (Kohen ha-gadol)
ma anche il «Grande Principe» (Sâr
ha-gadol) e il «capo delle milizie celesti», come dire che in lui è il
principio del potere regale e insieme del potere sacerdotale o pontificale al
quale corrisponde propriamente la funzione di «mediatore». Bisogna notare, del
resto, che Melek, «re», e Maleak, «angelo» oppure «inviato», non
sono, in realtà, che due forme di un’unica parola; inoltre, Malaki, «il mio inviato» (cioè l’inviato
di Dio, o «l’angelo nel quale è Dio», Maleak
ha-Elohim), è l’anagramma di Mikael[16].
È opportuno aggiungere che se, come abbiamo visto, Mikael si identifica con Metatron,
ne rappresenta però soltanto un aspetto; accanto alla faccia luminosa, ve ne è
una oscura, rappresentata da Samael,
chiamato anch’esso Sâr ha-ôlam;
torniamo qui al punto di partenza delle nostre considerazioni. Di fatto,
soltanto quest’ultimo aspetto rappresenta «il genio di questo mondo» in un
senso inferiore, il Princeps hujus mundi
di cui parla il Vangelo; e i suoi rapporti con Metatron, del quale è l’ombra, giustificano l’uso di una medesima
designazione in un doppio senso, e al tempo stesso fanno intendere perché il
numero apocalittico 666, il «numero della Bestia», è anche un numero solare[17]. Del
resto, secondo sant’Ippolito[18], «il
Messia e l’Anticristo hanno entrambi per emblema il leone», che è un altro
simbolo solare; si potrebbe fare la stessa osservazione per il serpente[19] e
per molti altri simboli. Dal punto di vista cabbalistico, si tratta in questo
caso ancora una volta delle due facce opposte di Metatron; non ci dilungheremo qui sulle teorie che si potrebbero
formulare in generale su tale doppio senso dei simboli, ma diremo soltanto che
la confusione fra l’aspetto luminoso e l’aspetto tenebroso costituisce
propriamente il «satanismo»; e appunto in tale confusione cadono,
involontariamente e certo per ignoranza (il che è una scusa ma non una
giustificazione), coloro che credono di scoprire un significato infernale nella
designazione di «Re del Mondo»[20].
[1] Vi è per altro una grande differenza di significato fra «il Mondo» e «questo mondo», a tal punto che, in certe lingue, esistono, per designarli, due termini affatto distinti: «il Mondo» è el-âlam, mentre «questo mondo» è ed-dunyâ.
[2] Del resto nel Vangelo si dichiara molto esplicitamente che la pace di cui si tratta non è intesa nel senso del mondo profano (Giov., XIV, 27).
[3] La Kabbale juive, I, p. 503.
[4] Ib., pp. 506-507.
[5] Un simbolismo molto simile è espresso dalla figura medioevale dell’«albero dei vivi e dei morti», che ha inoltre un rapporto molto chiaro con l’idea di «posterità spirituale»; va osservato che l’albero sephirotico viene talora identificato con l’«Albero della Vita».
[6] Secondo il Talmud, Dio ha due seggi, quello della Giustizia e quello della Misericordia; tali seggi corrispondono anche al «Trono» e al «Seggio» della tradizione islamica. Quest’ultima divide i nomi divini, çifâtiyah, cioè quelli che esprimono gli attributi propriamente detti di Allah, in «nomi di maestà» (jalâliyah) e «nomi di bellezza» (jamâliyah), il che corrisponde a una distinzione del medesimo ordine.
[7] La Kabbale juive, I, p. 507.
[8] Secondo sant’Agostino e altri Padri della Chiesa, la mano destra rappresenta parimenti la Misericordia oppure la Bontà, mentre la mano sinistra, soprattutto in Dio, è il simbolo della Giustizia. La «mano di giustizia» è uno degli attributi comuni della regalità; la «mano benedicente» è un segno dell’autorità sacerdotale, e talvolta è stata presa come simbolo del Cristo. ‑ La figura della «mano benedicente» si trova su certe monete galliche, come pure lo swastika, talvolta a bracci ricurvi.
[9] Questo centro, o qualunque altro costruito a sua immagine, può essere descritto simbolicamente come un tempio (aspetto sacerdotale, corrispondente alla Pace) e come un palazzo o un tribunale (aspetto regale, corrispondente alla Giustizia).
[10] Si tratta delle due metà del ciclo zodiacale, che si trova frequentemente rappresentato sul portale delle chiese del medioevo con una disposizione che gli conferisce manifestamente il medesimo significato.
[11] Tutti i simboli che enumeriamo qui richiederebbero una lunga spiegazione; la daremo forse un giorno in un altro studio.
[12] La Kabbale juive, I, pp. 479-498.
[13] Il numero di ciascuno di questi due nomi, ottenuto mediante l’addizione dei valori delle lettere ebraiche di cui è formato, è 314.
[14] La Kabbale juive, I, pp. 492 e 499.
[15] Ib., pp. 500-501.
[16] Quest’ultima osservazione ricorda naturalmente queste parole: «Benedictus qui venit in nomine Domini»; esse sono dette dal Cristo, che il Pastore di Hermas assimila appunto a Mikael in un modo che può apparire piuttosto strano, ma che non deve meravigliare coloro che capiscono il rapporto che esiste fra il Messia e la Shekinah. Il Cristo è anche chiamato «Principe della Pace» ed è al tempo stesso il «Giudice dei vivi e dei morti».
[17] Questo numero è formato per esempio dal nome di Sorath, demone del Sole, e opposto come tale all’angelo Mikael; lo incontreremo più avanti con un altro significato.
[18] Citato da Vulliaud, La Kabbale juive, II, p. 373.
[19] I due aspetti opposti sono raffigurati, per esempio, dai due serpenti del caduceo; nell’iconografia cristiana sono riuniti nell’«anfisbena», il serpente a due teste, delle quali una rappresenta Cristo e l’altra Satana.
[20] Segnaliamo poi che il «Globo del Mondo», insegna del potere imperiale o della monarchia universale, viene spesso posto nella mano di Cristo, il che dimostra per altro che esso è l’emblema dell’autorità spirituale oltre che del potere temporale.
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