"…la dottrina è infallibile, è a causa del fatto che essa è un’espressione della verità, la quale, in se stessa, è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e che la comprendono. La garanzia della dottrina risiede in definitiva nel suo carattere «non-umano»". René Guénon, Considerazioni sull’iniziazione, cap. "Sull’infallibilità tradizionale"

sabato 19 aprile 2014

René Guénon, Il Re del Mondo. V - Il simbolismo del Graal

René Guénon
Il Re del Mondo

V - Il simbolismo del Graal

Abbiamo appena alluso ai «Cavalieri della Tavola Rotonda»; non sarà fuori luogo accennare qui al significato della «cerca del Graal» che, nelle leggende di origine celtica, è presentata come loro funzione principale; si fa così allusione, in tutte le tradizioni, a qualcosa che, a partire da una certa epoca, sarebbe andato perduto o nascosto: il Soma degli Indù, per esempio, o lo Haoma dei Persiani, la «bevanda d’immortalità» che ha appunto un rapporto molto diretto col Graal poiché questo, si dice, è il vaso sacro che contiene il sangue di Cristo, anch’esso «bevanda d’immortalità».
Altrove, il simbolismo è diverso: così, presso gli Ebrei, ciò che è andato perduto è la pronuncia del gran Nome divino[1]; ma l’idea fondamentale è sempre la stessa e vedremo poi a che cosa corrisponde esattamente.
Il Santo Graal, si dice, è la coppa che servì alla Cena e nella quale Giuseppe d’Arimatea raccolse poi il sangue e l’acqua che sgorgavano dalla ferita aperta nel fianco di Cristo dalla lancia del centurione Longino[2]. Questa coppa, secondo la leggenda, sarebbe stata trasportata in Gran Bretagna da Giuseppe d’Arimatea e da Nicodemo[3]; e in questo si deve vedere un legame fra la tradizione celtica e il Cristianesimo. La coppa, infatti, ha un ruolo molto importante nella maggior parte delle tradizioni antiche e così era segnatamente presso i Celti; è da notare inoltre che spesso è associata alla lancia, e allora questi due simboli divengono in certo modo reciprocamente complementari; ma questo ci allontanerebbe dal nostro tema[4].
Ciò che ci mostra forse nel modo più netto il significato essenziale del Graal è quanto ci viene detto sulla sua origine: la coppa sarebbe stata intagliata dagli Angeli in uno smeraldo staccatosi dalla fronte di Lucifero al momento della sua caduta[5]. Tale smeraldo ricorda in modo sorprendente l’urnâ, la perla frontale che nel simbolismo indù (dal quale è passata nel Buddismo) spesso occupa il posto del terzo occhio di Shiva, rappresentando il «senso dell’eternità», se così si può dire, come abbiamo spiegato in altra sede[6]. Del resto, si dice poi che il Graal fu affidato ad Adamo nel Paradiso terrestre ma che, al momento della sua caduta, Adamo lo perse a sua volta. E infatti non poté portarlo con sé quando fu cacciato dall’Eden; cosa che diventa chiarissima se sottintendiamo il significato che abbiamo appena indicato. Di fatto, l’uomo, allontanato dal suo centro originario, si trovava rinchiuso, a partire da quel momento, nella sfera temporale; non poteva più raggiungere il punto unico dal quale tutte le cose sono contemplate nel loro aspetto eterno. In altri termini, il possesso del «senso dell’eternità» è legato a quello che tutte le tradizioni chiamano, come abbiamo già ricordato, lo «stato primordiale», la cui restaurazione costituisce il primo stadio della vera iniziazione, essendo la condizione preliminare per la conquista effettiva degli stati «sovrumani»[7]. Il Paradiso terrestre, per altro, rappresenta propriamente il «Centro del Mondo» e quanto diremo in seguito sul significato originario della parola Paradiso lo farà capire ancor meglio.
Quanto segue può apparire più enigmatico: Seth ottenne di rientrare nel Paradiso terrestre e poté recuperare il prezioso vaso; ora il nome Seth esprime le idee di fondamento e di stabilità e perciò indica, in qualche modo, la restaurazione dell’ordine primordiale distrutto dalla caduta dell’uomo[8]. È comprensibile dunque che Seth e quelli che dopo di lui possedettero il Graal abbiano potuto proprio per questo fondare un centro spirituale destinato a sostituire il Paradiso perduto, e che era come un’immagine di esso; dunque il possesso del Graal rappresenta la conservazione della tradizione primordiale nella sua integrità in un simile centro spirituale. La leggenda, del resto, non dice né dove né da chi il Graal fu custodito fino all’epoca di Cristo; ma l’origine celtica che gli si riconosce lascia intendere senza dubbio che i Druidi vi ebbero una parte importante e che devono essere considerati fra i custodi regolari della tradizione primordiale.
La perdita del Graal, o di qualcuno dei suoi equivalenti simbolici, significa in definitiva la perdita della tradizione con tutto ciò che essa comporta; ma, a dire il vero, tale tradizione è piuttosto nascosta che perduta, o almeno può essere perduta solo per quei centri secondari che abbiano cessato di essere in relazione diretta col centro supremo. Quest’ultimo invece conserva sempre intatto il deposito della tradizione e non è intaccato dai cambiamenti che sopravvengono nel mondo esterno; è così che, secondo vari Padri della Chiesa e soprattutto sant’Agostino, il diluvio non ha potuto raggiungere il Paradiso terrestre, che è «la dimora di Enoch e la Terra dei Santi»[9], e la cui cima «tocca la sfera lunare», cioè si trova al di là del regno del mutamento (identificato nel «mondo sublunare»), nel punto di comunicazione della Terra con i Cieli[10]. Ma, come il Paradiso terrestre è divenuto inaccessibile, così il centro supremo, che è in fondo la stessa cosa, può, nel corso di un certo periodo, non essere manifestato esteriormente; si può dire allora che la tradizione è perduta per l’insieme dell’umanità, perché è conservata solo in alcuni centri rigorosamente chiusi, mentre la massa degli uomini non vi partecipa più in modo cosciente ed effettivo, contrariamente a quanto avveniva nello stato originario[11]; tale è appunto la condizione dell’epoca attuale, il cui inizio risale, del resto, molto di là da quanto è accessibile alla storia ordinaria e «profana». E così la perdita della tradizione può, secondo i casi, essere intesa in questo senso generale, oppure essere riferita all’oscuramento del centro spirituale che, più o meno invisibilmente, reggeva i destini di un popolo particolare o di una determinata civiltà; bisogna dunque, ogni volta che si incontra un simbolismo che vi si riferisce, esaminare se deve essere interpretato nell’uno o nell’altro senso.
Secondo quanto abbiamo detto ora, il Graal rappresenta al tempo stesso due cose strettamente solidali l’una con l’altra: colui che possiede integralmente la «tradizione primordiale», che è giunto al grado di conoscenza effettiva che tale possesso implica essenzialmente, è, di fatto, proprio per questo reintegrato nella pienezza dello «stato primordiale». A queste due cose, «stato primordiale» e «tradizione primordiale», si riferisce il doppio senso che è inerente alla parola Graal, perché, a causa di una di quelle assimilazioni verbali che nel simbolismo hanno spesso un ruolo non indifferente, e che hanno per altro ragioni molto più profonde di quanto si immaginerebbe a prima vista, il Graal è insieme un vaso (grasale) e un libro (gradale o graduale); quest’ultimo aspetto designa chiaramente la tradizione, mentre l’altro concerne più direttamente lo stato primordiale[12].
Non intendiamo addentrarci qui nei particolari secondari della leggenda del Santo Graal, benché abbiano tutti un valore simbolico, né seguire la storia dei «Cavalieri della Tavola Rotonda» e delle loro imprese; ricorderemo soltanto che la «Tavola Rotonda», costruita da Re Artù[13] secondo i piani di Merlino, era destinata a ricevere il Graal quando uno dei Cavalieri fosse riuscito a conquistarlo e l’avesse trasportato dalla Gran Bretagna in Armorica. La Tavola Rotonda è verosimilmente un simbolo molto antico, di quelli che furono sempre associati all’idea dei centri spirituali, custodi della tradizione; la forma circolare della tavola, del resto, è legata formalmente al ciclo dello zodiaco per la presenza intorno a essa di dodici personaggi principali[14], particolarità che, come dicevamo prima, si ritrova sempre nella costituzione di centri di questo tipo.
Vi è poi un simbolo che si collega a un altro aspetto della leggenda del Graal, e merita un’attenzione speciale: quello del Montsalvat (letteralmente «Monte della salvezza»), il picco situato «ai confini lontani cui nessun mortale si avvicina», rappresentato come sorgente dal mare, in una regione inaccessibile e dietro il quale si leverebbe il sole. È al tempo stesso l’«isola sacra» e la «montagna polare», due simboli equivalenti di cui riparleremo in seguito; è la «Terra d’immortalità», che si identifica naturalmente con il Paradiso terrestre[15].
Per tornare al Graal, è facile rendersi conto che, fondamentalmente, il suo significato primo è in fondo lo stesso di quello che generalmente ha il vaso sacro, ovunque si trovi, e, in Oriente, la coppa sacrificale che in origine conteneva, come abbiamo osservato, il Soma vedico o lo Haoma mazdeo, cioè la «bevanda d’immortalità» capace di conferire o restituire, a coloro che la ricevono con le disposizioni richieste, il «senso dell’eternità». Non possiamo, senza allontanarci dal nostro tema, dilungarci ulteriormente sul simbolismo della coppa e di ciò che essa contiene; per sviluppare adeguatamente questo tema dovremmo dedicargli uno studio speciale; ma l’osservazione che abbiamo appena fatto ci condurrà ad altre considerazioni della massima importanza per ciò che ora ci proponiamo di trattare.


[1] Ricorderemo a questo proposito la «Parola perduta» della Massoneria, che simboleggia similmente i segreti della vera iniziazione; la «ricerca della Parola perduta» è dunque una forma della «cerca del Graal». Ciò giustifica la relazione, segnalata dallo storico Henri Martin, fra la «Massenia del Santo Graal» e la Massoneria (si veda L’Ésotérisme de Dante, ed. 1957, pp. 35-36); le spiegazioni che diamo qui permetteranno di capire quanto si diceva circa la connessione strettissima che vi è fra il simbolismo del Graal e il «centro comune» di tutte le organizzazioni iniziatiche.
[2] Il nome Longino è apparentato col nome della lancia, in greco logké (che si pronuncia lonké); il latino lancea, del resto, ha la medesima radice.
[3] Questi due personaggi rappresentano qui rispettivamente il potere regale e il potere sacerdotale; lo stesso accade per Artù e Merlino nell’istituzione della «Tavola Rotonda».
[4] Diremo soltanto che il simbolismo della lancia è spesso in rapporto con l’«Asse del Mondo»; a questo riguardo, il sangue che stilla dalla lancia ha lo stesso significato della rugiada che emana dall’«Albero della Vita»; come è noto, tutte le tradizioni sono unanimi nell’affermare che il principio vitale è intimamente legato al sangue.
[5] Alcuni dicono uno smeraldo caduto dalla corona di Lucifero, ma è un equivoco proveniente dal fatto che Lucifero, prima della sua caduta, era l’«Angelo della Corona» (cioè Kether, la prima Sephirah), in ebraico Hakathriel, nome che, del resto, ha come numero 666.
[6] L’Homme et son devenir selon le Vêdânta, p. 150.
[7] Circa questo «stato primordiale» o «stato edenico», vedi L’Ésotérisme de Dante, ed. 1957, pp. 46-48, 68-70; L’Homme et son devenir selon le Vêdânta, p. 182.
[8] Si dice che Seth rimase quarant’anni nel Paradiso terrestre; il numero 40 ha anche un significato di «riconciliazione» o di «ritorno al principio». I periodi misurati mediante questo numero si ritrovano spesso nella tradizione giudeo-cristiana: ricordiamo i quaranta giorni del Diluvio, i quarant’anni durante i quali gli Israeliti errarono nel deserto, i quaranta giorni che Mosè passò sul Sinai, i quaranta giorni del digiuno di Cristo (la Quaresima ha naturalmente lo stesso significato); e se ne potrebbero trovare altri ancora.
[9] «E Enoch andò verso Dio, e non apparve più (nel mondo visibile o esterno), perché Dio lo prese» (Genesi, v, 24). Dunque sarebbe stato trasportato nel Paradiso terrestre; tale è anche l’opinione di teologi come Tostat e Caetano. ‑ Sulla «Terra dei Santi» o «Terra dei Viventi», vedi oltre.
[10] Ciò è conforme al simbolismo usato da Dante, che situa il Paradiso terrestre sulla cima della montagna del Purgatorio, la quale si identifica così con la «montagna polare» di tutte le tradizioni.
[11] La tradizione indù insegna che all’origine vi era una sola casta, chiamata Hamsa; ciò significa che tutti gli uomini possedevano allora normalmente e spontaneamente il grado spirituale che è designato con questo nome e che è al di là della distinzione delle quattro caste attuali.
[12] In certe versioni della leggenda del Santo Graal i due significati si trovano strettamente uniti, perché il libro diviene allora un’iscrizione tracciata dal Cristo o da un Angelo sulla coppa stessa. ‑ Si potrebbero fare a questo proposito facili accostamenti col «Libro della Vita» e con certi elementi del simbolismo apocalittico.
[13] Il nome Artù ha un significato assai notevole, che si ricollega lega al simbolismo «polare», e che forse spiegheremo in altra occasione.
[14] I «Cavalieri della Tavola Rotonda» sono talvolta in numero di cinquanta (che era, presso gli Ebrei, il numero del Giubileo, e che si riferisce anche al «regno dello Spirito Santo»); ma anche in quel caso, ve ne sono sempre dodici che hanno un ruolo preponderante. ‑ Ricordiamo inoltre, a questo proposito, i dodici Pari di Carlo Magno in altri racconti leggendari del medioevo.
[15] La somiglianza del Montsalvat col Mêru ci è stata segnalata da alcuni Indù e ci ha indotti a esaminare più da vicino il significato della leggenda occidentale del Graal.

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