Pagine
dedicate al Sole (Sahâif shamsiyah)*
* Articolo tratto dal N. 2, febbraio 1911,
della rivista La Gnose.
La scuola araba dell'esoterismo
musulmano, - la quale è ben distinta dalla corrispondente scuola persiana - è
essenzialmente sintetica. Essa è senza dubbio il piu bell'esempio di quello che
mi permetto di chiamare il «misticismo lucido». Essa è
non soltanto scolastica, o meglio, ma anche psicologica e, prima ancora,
naturale o primitiva.
In altre parole, essa considera l'uomo e la natura come libri sacri alla stessa stregua della rivelazione storicao scritturale, espressa nella lingua concisadei Semiti. I passi del Corano che confortano questa asserzione sono troppo numerosi perché sia possibile citarli al di fuori di una controversia specifica. Meno noto è che i grandi Maestri dell’esoterismo musulmano indicano con i termini «epistola» (Risâlah), «esemplare» (Nuskah) e «libro» (Kitâb), tre aspetti diversi dell'iniziato.
In altre parole, essa considera l'uomo e la natura come libri sacri alla stessa stregua della rivelazione storicao scritturale, espressa nella lingua concisadei Semiti. I passi del Corano che confortano questa asserzione sono troppo numerosi perché sia possibile citarli al di fuori di una controversia specifica. Meno noto è che i grandi Maestri dell’esoterismo musulmano indicano con i termini «epistola» (Risâlah), «esemplare» (Nuskah) e «libro» (Kitâb), tre aspetti diversi dell'iniziato.
La geografia ci insegna che i paesi
arabo-eritrei sono caldi e secchi, e che i loro abitanti eccellono per le loro
facoltà liriche. Ciò è sufficiente, da un punto di vista documentario, per
rendere conto della loro filosofia religiosa. L'intensità lirica porta a uno
stato mentale di «soggettività» che si traduce in una
sorta di entusiasmo nativo accompagnato da una buona dose di scetticismo e di
sottigliezza. «Siate semplici come colombe e astuti
come serpenti», dice da qualche parte il libro sacro dei Cristiani. Questi due
atteggiamenti, che la vita moderna considera incompatibili, vanno invece molto
ben d’accordo in un musulmano istruito e vecchio stile. Pieni di vitalità, essi
amano. In quanto a tendenze intellettuali, sono un tantino «ideologi»; essi
credono, cioè, che in fondo l'uomo non può sapere se non quel che dice[1]. Per loro, la dottrina del Logos non è tanto il prodotto di un fideismo religioso, quanto il
risultato della coscienza soggiacente che il primitivo possiede
dell'Insondabile. Poiché le parole e le cose collimano, i poeti trovano del
tutto naturale che i misteri della creazione presentino analogie con quelli
della parola. Di conseguenza la metafisica segue i movimenti della coscienza –
soprattutto quando questa si risveglia per la prima volta, - e il funzionamento
del pensiero diventa quasi interessante quanto il pensiero
stesso. L'ignoranza e l'incoscienza finiscono col simboleggiare il nulla e la
notte; in seguito ci si figura che il mondo nasca con il giorno. Quando i
nostri primitivi non vedono niente, dicono che non c'è niente. Essere è essere
visti, poi vedere, giacché è la luce che dà l'esistenza alle cose.
Il sole non soltanto rischiara il mondo,
ma conferisce anche agli oggetti le loro forme rispettive. Il gran sole di laggiu
qui è quasi sconosciuto; esso si vede appena, e per qualche giorno soltanto,
nel corso di un’annata eccezionalmente favorevole per il bel tempo. Laggiù esso
sfavilla con una forza tale che il suo splendore fa scomparire i colori locali,
cosicché si vedono soltanto più i suoi, vale a dire si vede
solo lui e nient'altro che lui. Il paesaggio muta in modo cosi veloce da
sembrare solo un pretesto per una dimostrazione solare, o, se si vuole, per una
teofania cosmomorfa. Tutto quel che si vede sono
soltanto i riflessi del cielo; quel che i particolari del paesaggio possono
essere, all'infuori della loro funzione di supporto dell'irraggiamento solare,
è una questione che non ha piu nessun interesse.
Tutto, compresa la prospettiva, comprese
le distanze e i rapporti delle cose tra di loro, dipende solo dall'astro radiante,
il quale, padrone assoluto degli orizzonti, scolpisce le montagne a piacer suo
e dispone, secondo la sua volontà immediata e architettonica, le masse dell'immensità.
La potenza del Sole è la ragione della prospettiva cinese. Questa è estiva e
assolutamente fedele. Piu il Sole dà, piu il cielo sembra alto e sorprendente, l'orizzonte
vasto e profondo, mentre ciò che abbiamo al livello dei piedi, il primo piano,
diventa neutro e si contrae. Nella prospettiva invernale, o nordica, si produce
il fenomeno inverso. Qui è il primo piano che si sviluppa a spese degli altri;
gli oggetti ravvicinati assumono una importanza
enorme; l'orizzonte, che è al livello del nostro sguardo, si contrae e
diminuisce; il cielo si abbassa.
Abbiamo detto che «essere,
è risplendere». In linea di massima, un oggetto illuminato, o bianco, appare
piu grande di quanto non sia in realtà. I pittori primitivi esagerano le
proporzioni di tutto ciò che, in un quadro, ha un posto preponderante. Dal
punto di vista dell'esoterismo musulmano, l'esistenza è una distinzione
attenta, e la creazione è l'atto di precisare. Piu una cosa è caratterizzata da
attributi, da qualificativi e da particolari, - espliciti o sottintesi, - piu è
concreta, reale, «esistente», perché l'esistenza
comporta gradazioni, dal nostro punto di vista. Un'idea si realizza a mano che
le sue potenzialità latenti si dispiegano alla luce, che le sue risorse si impongono, e che tutte le sue energie entrano in gioco.
Essa cresce in tutte le direzioni, si moltiplica indefinitamente, pur restando «Uno», vale a dire identica a se stessa. Il concetto di «unità nella pluralità e pluralità nell'unità»[2]
occupa nell'esoterismo arabo-musulmano lo stesso posto
che ha la croce per i Cristiani. Invece di scolpire la figura di un uomo morto
disteso su due assi incrociati, noi diciamo che «la ‘stazione’ divina è quella
che riunisce i contrasti e le antinomie»[3].
A questa «stazione», cioè a questo grado d'iniziazione, si giunge con «El-fanâ»,
vale a dire con l'annientamento dell'io
inferiore. « El-fanâ» presenta del resto analogie con il «Nirvâna»
indù, ma soltanto nel senso che la Bhagavad-Gita dà a questo termine, giacché « El-fanâ» può e deve
farsi sentire nella vita di tutti i giorni. In questa
accezione, esso si esplica come tolleranza, imparzialità, disinteresse,
astrazione e sacrificio di se stessi, autodisciplina e fatalismo attivo.
Possiamo distinguere due aspetti
dell'unità divina: 1) l'unità neutra e assoluta; 2)
l'unità originaria che è il fondamento di tutti i numeri. Questi due aspetti
sono, per così dire, i due lati grafici della cifra «uno»: l'incalcolabile zero,
e l'incalcolabile indefinito. Dal punto di vista umano, l'unità assoluta è
un'intuizione, alla quale l'intelligenza non può dare nessuna forma diretta o
adatta. L'altra, quella che percorre i numeri moltiplicandoli fino all'(entità) incalcolabile, contiene tutti gli aspetti della
Divinità, aspetti che la teologia pratica denomina «Asrâr rabbaniyyah» (misteri dominicali); essa è, dell' Assoluto, la
superficie riflettente dalle innumerabili sfaccettature, che magnifica ogni
creatura che vi si specchi direttamente. Tale unità è raffigurabile soltanto
attraverso l'accento superlativo nell'apoteosi individuale. Senonché
il mondo è, per sua propria natura, refrattario al postulato di tutti i Profeti
della razza di Sem. Esso non capirà mai che l'estrema distinzione è
realizzabile soltanto nell'estrema universalità, e che il parossismo dell'io può coincidere con il colmo dell'altruismo. Così come
l'estetica dei piccoli intellettuali non è in grado di afferrare l'allucinante
bellezza delle proporzioni 'semplici' che suddividono in pietre grezze il muro
di un'antica fortezza saracena, cosi il borghese, per ragioni biologiche e
anatomiche, è incapace di comprendere che la piu elevata aristocrazia che si
possa concepire è un ideale da democratico illuminato.
Ciò che io pongo al disopra di tutto, che
per me è tutto, quello è il mio Dio; Dio è ciò che mi distoglie da tutto ciò
che non è Lui. Coloro che non sono capaci di raccogliersi su un punto qualsiasi
dell' esistenza, sono quelli i soli atei, perché la
fede, tutto sommato, non è che l'elevato distoglimento trascendente. Non c'è
assolutamente nessun'altra ragione se non quella dell'intensità, e i suoi dogmi
sono matematici.
Nello stesso tempo dobbiamo distinguere i
due elementi della vita religiosa che sono formulati dall'unità e dal binario. « Uno», è il superlativo divino; è l'oggetto del culto dei
veri monoteisti. «Due», è la reciprocità divina
intorno alla quale si svolgono i misteri dominicali e il grande spettacolo
della fantasmagoria universale. Le leggi di questo insieme di fenomeni
caleidoscopici in fondo sono occulte; non si possono conoscere se non
all'interno di noi stessi.
Nel nostro paesaggio, gli oggetti,
quantunque effimeri, sono belli, perché portano una
particella della bellezza della luce; piu contribuiscono alla luminosità
irradiata dallo sfolgorio ambientale, piu partecipano della bellezza. Di per se stessi non sono nulla, e non esistono se non in
quanto supporti della luce. Se si contemplano isolati
possono sembrare reali, ma si tratta di un'illusione. Tuttavia quest'illusione
non è diabolica, come vorrebbero certe scuole. Al contrario, essa è santa, a
tal punto che la religione ci obbliga a crederci sotto pena di eresia e di
castighi postumi. La Legge sacra dell'Islàm, la Shariyah (la grande Via, la Via Esteriore) circonda la vita
materiale di riti, di cerimonie, di osservanze e di obblighi di diversa natura,
unicamente per insegnarci che le cose esistono, in che modo esistono, e la
giusta misura di rispetto dovuta alla loro esistenza[4]. Il diritto canonico dell'Islàm è, indubbiamente, un
ordinamento sociale, ma è anche e soprattutto un magnifico trattato di
simbolismo che espone qual è la posizione di tutte le cose nella gerarchia
universale. La teologia speculativa dei grandi iniziatori arabi è tesa a
provare che le cose sono teofore, col fine di interessarci alla vita materiale
altrimenti che come bestie feroci. Mi permetto di far osservare che la pratica
della religione porta a nozioni scientifiche in campo disciplinare e
dottrinale, mentre la speculazione illuminata dei grandi Maestri produce una
fiamma interiore che è la forza suprema di ogni attività.
Ma ritorniamo al paesaggio. Abbiamo constatato che l'eccesso di luce gli conferisce
quell'aspetto di illusione fiabesca che gli è particolare; cosi che si ha
l'impressione di aggirarsi fra cose non vere. Tutto vi
è straordinario. Ogni giorno, - che dico, ogni ora - si guardano le medesime
cose come se si vedessero per la prima volta. Sicché lo sguardo non finisce mai
d'essere virgineo e fresco come le Huri
dei giardini celesti[5], e l'anima non invecchia mai. È la perpetua unione dei
contrasti che porta a bere alla fonte della Giovinezza, poiché il mondo ritrova
il senso primigenio del puro e del candido in virtù della soluzione delle antitesi in magnifica serenità. La terra ha uno
scintillio di mare che freme. L'elemento leggero e diafano, l'aria, è immobile
e grave. Il Sole, che si ha direttamente sul capo, ci circonda da ogni parte
come il castigo di un dio irritato, e l'ombra non esiste. Al suo posto ci sono
brandelli di notte al chiaro della luna.
II
Credo di formulare correttamente i
principi antologici dell'esoterismo arabo-musulmano, dicendo che l'Universo
tangibile altro non è se non un'immensa allucinazione collettiva, ereditaria e
inveterata. Si direbbe che il genere umano, autosuggestionato da generazioni,
giochi alla seduta spiritica, e che gli avvenimenti piu gravi della storia
umana o naturale, considerati di per se stessi, non siano che i sussulti del tavolino
che si anima. Non soltanto le nostre gioie e i nostri dolori sono semplici
sensazioni false avallate da lunghe abitudini ancestrali,
ma inoltre le convenzioni sensoriali di tutti gli uomini (o quasi tutti…) hanno
conferito alla materia l'aspetto che essa ha oggi. Non è l'ambiente ad aver
plasmato l'uomo. È l'uomo che ha plasmato l'ambiente a causa della
cristallizzazione della sua coscienza soggiacente, rivolta sempre piu verso
l'esterno. Quando, in seguito e di conseguenza, l'ambiente influisce
sull'individuo, l'ambiente rappresenta solo lo strumento per mezzo del quale le
collettività del passato e del presente si impadroniscono
dell'individuo per ridurlo alla piu ignobile schiavitù, gli impediscono di
vedere con i propri occhi, di
udire con le proprie orecchie, di agire
seguendo la propria iniziativa e, soprattutto, di amare con il proprio cuore
Esse lo rendono cosi vile che non merita neanche più di essere punito quando
commetta dei crimini. Quando si parla dello Stato contro l'individuo, si è
logici solo a metà. Quella che bisogna vedere, è l'intera umanità contro una
sola persona, che si sia presa il gusto di spezzare la
catena ipnotica della degenerazione psicointellettuale collettiva. L'elemento
connettivo tra tutte queste abitudini servili è il tempo. Ora, il tempo in se
stesso è sacro, perché è uno dei fondamenti del mondo, il quale è in principio
la grande purezza, come del resto suggerisce il suo stesso nome. Esso è il
fondamento della produzione seriale successiva, e una tradizione exoterica (Hadith)
ci proibisce di dir male del secolo, perché «il secolo è Dio»[6].
D'altra parte, tutto ciò che è transitorio è vano e nullo. «Ed-dahru» (il
secolo) assume qui il senso di tutti i secoli, vale a dire del tempo
indefinito, del fato. Significa anche ciò che è invariabile nel corso dei
secoli, ciò che è costante, e di conseguenza sempre vero. I Libri sacri sono
talvolta chiamati «Dio», prima di tutto per ellisse[7], e poi perché raccontano avvenimenti che si possono magari
mettere in dubbio dal punto di vista della storia antica, ma che capitano ogni
giorno nel mondo interiore. Secondo quest’ordine di
idee, la materia-prima di tutto quel che è chiamato dal volgo il soprannaturale
- intendo dire il non-tempo - è
compresa nella concezione logica del tempo, a titolo di antitesi dal valore
negativo, cosi come il segno «meno» (-) in contabilità; è come se si dicesse: ±
n[8].
Si sfugge alla tirannia della
collettività mediante la disgregazione degli aspetti parziali del tempo.
Passato, presente e futuro si uniscono per sostituzione in tempo immobile[9]. Ma non intendo, né devo,
occuparmi di questi elementi della pedagogia dei sentimenti. Chi desidera conoscerli
non ha che da aprire un qualsiasi catechismo di qualche «Tarîqah» o congregazione religiosa islamica[10].
I gradi superiori della scienza mistica
del tempo, che consistono nella permutazione del tempo
in spazio e viceversa, convengono meglio alle ricerche metafisiche. Innanzi
tutto, la questione è piu astratta, più cerebrale, meno ricollegata
all'esperienza personale. Poi, molti luminari della scienza, qualche volta
anche universitari, hanno fatto ad
essa riferimento in ammirevoli trattati sull'iperspazio.
La quarta dimensione sarebbe uno stato mentale caratterizzato dall'ubiquità
dell'uomo resa possibile dall'unificazione del tempo e dell'estensione. L'argomento
è, nonostante le apparenze, logico, o meglio matematico, e qualunque artista serio è in grado di comprendere il
problema quando cambia le sue impressioni successive
in note simultanee, visto che la simultaneità
è già l'embrione di uno spazio. Ricordo queste cose
tecniche e
semplici unicamente per dare un quadro d'assieme dell'argomento che stiamo trattando[11]. L'iperspazio permette di intravedere il non-tempo, il
quale a sua
volta apre la porta verso la sola realtà che esista veramente
nell'Universo tangibile. Due grandi uomini
di razza, epoca e religione
differenti hanno
espresso questa
realtà materiale che è al di sopra
del piano
siderale, e
della quale il non-tempo si serve come di un veicolo,
con una formula cosi lapidaria che sarebbe un vandalismo voler la sostituire con un'altra.
Uno dei due è lo straordinario pensatore
arabo-spagnolo Mohyiddin ibn Arabi[12], soprannominato a ragione «Esh-Shaikhul-Akbar», vale a dire «il piu grande di tutti i Maestri
del pensiero musulmano». L'altro è l'ammirevole scrittore celtico Villiers de
l'Isle-Adam. Credo che, fra tutti gli autori conosciuti, essi soli abbiano parlato
della «sensazione dell'eternità»[13].
Entrambi indicano con questo termine un elemento indistruttibile e sottilissimo
che Dio ha posto nell'anima di ogni essere e che gli è rigorosamente personale,
sicché non possono mai essercene due identici. Noi lo chiamiamo «Es-Sirr» (=l'occulto, il mistero),
perché è il segreto particolare tra ogni creatura e il suo Signore. Esso è un
enigma la cui soluzione è demandata all'insieme degli sforzi vitali, per modo
che costituisce un dovere cosmico di prim'ordine. Nessuno
può sapere cosa c'è nel segreto divino di un altro, e qualsiasi offesa contro l'ineffabile
marchio celeste che ogni essere porta nel profondo di se stesso è un crimine
ben piu grave dell' omicidio. La legge che riconosce questo segreto, così come il
suo carattere di inaccessibilità, garantisce la piu
preziosa delle quattro libertà cardinali dell'uomo, in quanto espressione suprema
della vita piu alta[14].
Quando l'uomo ha penetrato il suo segreto
dominicale, incomincia a conoscere il Nome divino piu maestoso[15], il cui possesso permette l'accesso al santuario della
fatalità. Allora egli percepisce, al di sopra dell'illusione
collettiva, una sorta di stella, un punto fisso nel vuoto, in parte analogo a
quello di Archimede. Per effetto della forza di tal rito ecumenico, per altro
naturale, e di preghiere sul Profeta, questo punto di sviluppa e assume una
forma umana, la quale, per irraggiamento, produce
l'orizzonte d'un mondo nuovo in armonia con il posto che si occupa
nell'eternità.
Tale è, in poche parole, quella che è chiamata
«la cultura dell'io», e che noi indichiamo con
l'espressione «El-Insanul-kâmil»,
ossia l'uomo universale.
DOCUMENTI
Ho raccolto il muschio fra le nevi, e visto
lo splendore della foresta tropicale.
Sotto la fredda bruma,
- In un gran palazzo oscuro, - Una dea di pietra nera dalla testa leonina - Mi ha fatto vedere il Sole d'Africa sulla
sabbia rovente.
Leggevo i libri del Maestro prima di
conoscere l'arabo. Lo vidi di persona prima di sapere il suo nome.
[1] Si vedano gli articoli
sulla lingua sacra apparsi sulla rivista La Gnose
[2] El-wahdatu fil-kutrati wal kutratu fil-wahdati.
[3] El-maqâmul-ilahi, hua maqâm ijtimâ ad-diddaini.
[4] Gli iniziatori del Nord
esortano a credere in Dio, perché Dio non si vede direttamente. Quelli del Sud
hanno bisogno di esortare alla fede nelle cose. Entrambi spiegano l'invisibile
secondo le circostanze.
[5] Il singolare maschile ahwaru significa «dall'occhio
nerissimo».
[6] Ed-dahru Allah.
[7] (Il Libro di) Dio.
[8] Il non-tempo non è una «figura linguistica
», poiché indica una sostanza al di fuori della forma limitata che il tempo ha
dato alla creazione. La chiamo «sostanza», perché è positiva dall'altra parte del
limite, benché sia negativa al di qua di esso. Essa è
tuttavia percettibile in questo mondo. Si può perfino esercitarsi a non sentire
nient’altro che essa, ma non consiglio a nessuno un tale
esercizio. Non soltanto lo spiritualismo semitico, ma addirittura le operazioni
dei libri di magia, si fondano sul non-tempo.
Lo studio dei fenomeni è però fuori dal quadro di questo mio studio.
Le idee astratte, senza
le quali il pensiero non è possibile, si formano in seguito all'osservazione
delle antitesi, e delle opposizioni. Con il calcolo esatto dei valori negativi
o immaginari, si realizza l'iper-reale, che a torto viene
chiamato il nulla. Tutta la speculazione semitica parte da una posizione
negativa. Secondo la misura del tempo specifica di questa razza, la rivoluzione
solare di 24 ore incomincia con la notte, a partire
dal tramonto del sole, e continua con il giorno. Essi (i Semiti) non dicono
«giorno e notte», ma «notte e giorno», così come nella
Genesi è detto «sera e mattina».
Analogamente, la formula
della dichiarazione di fede musulmana incomincia con una negazione: «Lâ
ilâha» (=non c'è dio), a cui fa seguito
un'affermazione: «Illallâh» ( = se non Allah) . L'inizio è nihilistico, la fine è mistica. Senonché,
non bisogna confondere il misticismo lucido dell'«Identità suprema» con le
scuole del passato e del presente, denominate abitualmente con i termini
«misticismo», «neomisticismo», ecc. Qui la teologia è sostituita dalle
matematiche.
[9] Si confronti La Gnose, rivista di studi esoterici, N.
di gennaio 1911, pagg. 33-34.
[10] In attesa della
riorganizzazione esteriore dell'antichissimo ordine Malâmatiyah, possono essere consultati con profitto i testi
Shâdilîti, Qâdiriti o Naqshabendi. Gli autori Shâdilîti sono i piu degni di nota.
[11] Si veda la rivista Il Convito, Il Cairo, N. di
luglio-agosto 1907, pag. 96 della sezione italiana e
pag. roo 100 sezione araba: «Si comincia con volgere la successione in
simultaneità. È ciò che chiamasi cangiar
il tempo in spazio e viceversa ... Io ho scelto il
termine piu generale, piu astratto e più metafisico. Ma il termine arabo
corrente è: la facoltà di vedere il passato nel presente... » (Il passo tra
virgolette è in italiano nel testo - N.d.T.) . A pag.
100 della sezione araba, scrivevo: «Tabdîluzzamâni
ma kânan walaksu».
[12] Si confronti nella rivista Il
Convito, la serie di arrticoli intitolata «El-Akbariyah»
[13] «El-Hissul-Azali». In qualche
manoscritto si trova anche «El-Hissu
bil-Azal», ma il contesto dà alle due formule un
identico significato. Uno dei personaggi di Villiers dice: «La
sensazione della mia eternità» (Morgane).
[14] Questa libertà, che in mancanza di una espressione
migliore, io chiamo «la libertà dominicale», comporta le altre tre: la politica,
l'intellettuale, e la sentimentale. Nel mondo queste quattro libertà sono rappresentate dall'Islàm, dall'Inghilterra celtica, dalla
Francia e dall'Italia. Sia ben chiaro che l'Islàm, nel suo senso propriamente
intellettuale e metafisico, non va confuso con le comunità politiche o etniche dell'Oriente,
che si è obbligati a chiamare islamiche per poterle denominare
con un termine qualsivoglia. - La teoria di queste quattro libertà è stata per
la prima volta formulata, in una rivista parigina, nell'agosto 1900.
Nessun commento:
Posta un commento