Al-Qaysarî
Il Khidr e l’Acqua di Vita
Il Khidr e l’Acqua di Vita
(Tahqīq Mā al-Hayāt fī Kašf Asrār)
A cura di G. M.
Martini, prefazione di P.
Urizzi - Edizioni Il Leone Verde - Torino, 2012
Recensione
Šaraf al-Dīn Dāwūd b. Mahmūd b. Muhammad, detto Al-Qaysarī, originario della Cappadocia, visse a cavallo tra il XIII° e XIV° secolo e morì in Turchia probabilmente nel 1350.
Discepolo di Al-Qāšāni, fu uno degli esponenti più rivelanti del sufismo di scuola akbariana, ed è in particolare ricordato per la sua intensa attività pedagogica, nonché di meditazione, apologia e diffusione dell’opera di Ibn ‘Arabī.
Tra le cariche che rivestì è da segnalare il ruolo di primo direttore e di insegnante di scienze islamiche presso l’università di Iznik, istituzione voluta dal figlio dell’emiro ‘Otmān I, fondatore della dinastia Ottomana, dove, tra i primi nelle regioni orientali dell’Islam, Al-Qaysarī approfondì e diffuse la dottrina del “Più Grande dei Maestri”.
Lo scritto più importante di
Al-Qaysarī è un imponente commentario al Fusūs al-Hikam di Ibn ‘Arabī; si tratta di un’opera di riferimento
nel suo genere, più volte ristampata e chiosata nei secoli e
frequentemente citata da studiosi e autorità spirituali di primissimo piano
come Haidar Āmulī e Mullā Sadrā. Per descriverne la fortuna, basti ricordare
che tale commento è tutt’ora utilizzato negli ambienti intellettuali sciiti
iraniani come testo di riferimento per lo studio dell’‘irfān, la gnosi
islamica. Tra le opere principali di Al-Qaysarī sono inoltre da ricordare due
importanti commenti mistici agli scritti poetici di ‘Umar Ibn al-Fārid; lo scritto dedicato all’Hamriyya, la famosa «Ode al Vino», è considerato un
classico di rilevanza non inferiore al commento all’opera di Ibn ‘Arabī.
Il testo tradotto e
opportunamente commentato da Giovanni Maria Martini nel volume che presentiamo,
il Tahqīq Mā al-Hayāt fī Kašf Asrār («La Conquista dell’Acqua di Vita
nello svelamento dei segreti delle tenebre»), segue di alcuni anni la prima
traduzione italiana del Risāla fi ‘Ibn al-Tasawwuf, presentata nel
volume a cura di Giorgio Giurini intitolato «La Scienza Iniziatica», pubblicato
nell’ambito del medesimo progetto editoriale, l’encomiabile collana I
Gioielli delle “Edizioni Il Leone Verde” di Torino.
Il Tahqīq Mā al-Hayāt fī Kašf
Asrār appartiene alla produzione minore dell’autore, la quale si compone di
cinque scritti originali, concisi ma densissimi dal punto di vista dottrinale,
trattanti argomenti di ordine teologico e metafisico generalmente destinati
alla cerchia ristretta di chi, avendo già ricevuto l’iniziazione alla Via,
poteva rettamente intenderne i contenuti utilizzandoli come supporto
all’insegnamento orale.
Lo scritto in questione muove dal
quesito legato alla determinazione degli stati spirituali e della funzione del
Khidr, ovvero se egli sia un Profeta (nabī), un Inviato (rasūl) o
un Santo (walī). Ricordiamo brevemente che il Khidr è la figura
enigmatica identificata dalla tradizione islamica con il “servo di Dio” che
compare accanto a Mosè nella diciottesima Sura, detta Al-Kahf (la Caverna). Egli è descritto come
detentore di una scienza infusa di origine divina, a cui Mosè desidera accedere
e che pertanto appare essere superiore alla scienza profetica di quest’ultimo.
La pietà popolare raffigura il Khidr con dei caratteristici abiti verdi che
richiamano il ruolo attribuitogli di patrono della fertilità, delle acque e
della primavera, funzione strettamente connessa all’attributo di longevità, la
cui genesi, secondo i racconti tradizionali della vita del Profeta (Sīra),
sarebbe connessa all’aver attinto alla sorgente dell’immortalità, come narrato in un noto
episodio che lo vede accostato ad Alessandro Magno nell’attraversamento delle
“tenebre” alla ricerca della fons vitæ. Il prolungamento della vita fino
alla fine dei tempi ha reso frequente l’accostamento del Verdeggiante ad altre
figure profetiche quali Elia, Enoch e Gesù, le quali, oltre a non aver
conosciuto la morte, sarebbero associabili al Khidr anche per il loro peculiare
carisma gnostico.
La coerenza e l’unità di significato
di queste due dimensioni – quella legata al possesso e alla elargizione della
scienza divina infusa e quella legata al potere vivificante e rigenerante della
acque di cui il Verdeggiante è custode – sono oggetto dell’analisi
dell’epistola di Al-Qaysarī.
E’ importante sottolineare come
il Khidr nel sufismo sia designato come “Maestro degli Afrād”,
ovvero di
coloro che ricevono l’iniziazione non attraverso una regolare catena
iniziatica, ma grazie a un intervento provvidenziale, il quale può
avvenire
mediante una presenza spirituale incorporea, come ad esempio un maestro
assente, morto o sconosciuto (le cosiddette affiliazioni uwaysī), oppure
direttamente dalla persona del Khidr. Per comprendere la portata di questa
tematica nel pensiero della scuola akbariana, basti ricordare che, secondo le fonti tradizionali, lo stesso
‘Ibn Arabī incontrò il Khidr almeno quattro volte e che
ricevette da lui l’investitura iniziatica; in questo senso, riflettere sulla
funzione e sulla scienza del Verdeggiante è risalire alle radici e all’origine
della scienza del “Più Grande dei Maestri”.
L’epistola di Al-Qaysarī si articola in quattro premesse e in un
capitolo conclusivo che raccoglie e conchiude i guadagni delle sezioni
precedenti.
Nella prima premessa, in
relazione all’episodio della Sura della Caverna, si affronta il tema del
rapporto e della gerarchia tra scienza intuitiva e scienza profetica – di cui
appaiono essere detentori rispettivamente il Khidr e Mosè – identificate come
caratterizzanti il Santo e il Profeta. L’autore sostiene che Profezia e Santità
sono espressioni del medesimo principio, laddove la Profezia è legata
all’annuncio della Parola Divina, mentre la Santità fa riferimento alla
perfezione che deriva dalla vicinanza a Dio; se la prima si esprime
esteriormente e pubblicamente, la seconda riguarda invece il lato interiore e
personale del soggetto a cui è attribuita. Va da sé che la Profezia perfeziona
la Santità che è un suo requisito, il ché giustifica la superiorità
riconosciuta tradizionalmente al Profeta sul Santo; al medesimo tempo, però,
considerando i singoli attributi del Profeta, è la Santità a determinare il
privilegio della funzione profetica accordatogli da Dio in virtù della propria
perfezione, ed essa è pertanto essenzialmente superiore a qualsiasi mandato o funzione.
Nella seconda premessa il maestro
disserta sull’Acqua di Vita in relazione alla vicenda del Khidr, sottolineando
come tale espressione vada ricondotta al significato coranico di Sostanza
Universale (al-hayūlā al-kulliyya) e di Scienza Divina (al-‘ilm
al-ilāhī). Come Sostanza Universale, il cui simbolo è il mare, essa ha
priorità ontologica sugli esseri in quanto condizione di possibilità e supporto
della loro manifestazione, e proprio per questo ne rappresenta l’elemento
vitale e vivificante. In quanto Scienza Divina, essa è identificata con la
conoscenza intuitiva che procede direttamente da Dio mediante la grazia, il cui
simbolo coranico ricorrente è la pioggia che cade dal cielo, e a cui è
attribuito il potere vivificante in senso iniziatico.
La funzione vivificante connessa
all'Acqua di Vita è pertanto sia quella fisica che quella spirituale,
entrambe
presenti in Khidr quale vivificatore immortale e quale maestro della
scienza
infusa. Al-Qaysarī afferma sussistere una gerarchia di gradi della vita
autentica,
identificata con la Conoscenza Divina, la quale permea il mondo
gradualmente precipitando dall’alto fino a raggiungere il piano fisico:
la vita vera è
pertanto quella realizzata dallo gnostico, in quanto prossima al grado
divino,
e non quella effimera del mondo materiale, dove la Conoscenza Divina si
manifesta attenuata in forma di sensibilità.
L’aver realizzato la Conoscenza Divina spiega le peculiarità fisiologiche che tradizionalmente vengono attribuite ad Elia e a Gesù, il primo capace di non mangiare e dormire per anni, il secondo assunto in cielo in anima e corpo in attesa di tornare alla fine dei tempi: avendo essi raggiunto l’Acqua di Vita ed essendosi così reintegrati totalmente negli stati sottili, il loro corpo è divenuto libero dalle condizioni e dalle limitazioni del mondo sensibile, in primis dai vincoli di spazio e di tempo, partecipando così dell’incorruttibilità propria del piano spirituale.
L’aver realizzato la Conoscenza Divina spiega le peculiarità fisiologiche che tradizionalmente vengono attribuite ad Elia e a Gesù, il primo capace di non mangiare e dormire per anni, il secondo assunto in cielo in anima e corpo in attesa di tornare alla fine dei tempi: avendo essi raggiunto l’Acqua di Vita ed essendosi così reintegrati totalmente negli stati sottili, il loro corpo è divenuto libero dalle condizioni e dalle limitazioni del mondo sensibile, in primis dai vincoli di spazio e di tempo, partecipando così dell’incorruttibilità propria del piano spirituale.
La terza premessa si interroga
sulla questione legata alle tenebre, che ricordiamo comparire nella leggenda
del Khidr quale elemento che contiene la sorgente miracolosa, in relazione al
viaggio con Alessandro il Macedone alla ricerca della fons vitæ. Il
maestro identifica tali tenebre con le Tenebre della Possibilità (al-zulma
al-imkāniyya), le quali costituiscono la totalità del possibile
latente in
ogni singolo essere, la cui espressione e il cui progressivo esaurimento
corrispondono alla sua completa realizzazione sul piano della Luce
dell’Essenza
divina, e quindi al raggiungimento della pienezza della verità e della
realtà oggettiva. La tenebra è quindi quanto si contrappone alla luce,
ma è anche ricettacolo della stessa, in quanto le tenebre della
contingenza,
contrapposte alla luce dell’essenza, sono anche il luogo dove
esclusivamente
può avvenire l’illuminazione spirituale. Come la luce si riverbera nei
vari gradi di
realtà, così ad ogni livello di illuminazione corrisponde la propria
tenebra,
che altro non è che la misura della distanza dell’anima da Dio; esiste
pertanto
una gerarchia dell’oscurità dove le tenebre più spesse sono associate a
quelle del livello intellettuale e sono identificate con l’idolatria e
la miscredenza.
Il viaggio attraverso l’oscurità
è l’oggetto della quarta premessa; tale viaggio si configura come un risalire alla
sorgente dell’Acqua di Vita, che è qui identificata con il Soffio del
Misericordioso (al-nafas al-rahmānī), ovvero con l’agente che presiede
all’intera manifestazione procedente dall’Essenza; si tratta in altre parole di
un ritorno all’origine – in un percorso inverso rispetto a quello dell’atto
creativo – che Al-Qaysarī chiama, conformemente al lessico tecnico sufi, Via
dell’Estinzione (tarīq al-fanā). Le stazioni spirituali di tale percorso sono
messe in corrispondenza con le tre componenti sottili dell’essere umano, ovvero
l’Anima (al-nafs), il Cuore (al-qalb) e lo Spirito (al-rūh).
Nel percorso iniziatico vengono sollevati i veli di tenebra che ineriscono a
ciascuna livello di esistenza condizionata affinché l’illuminazione sia totale
e l’iniziato sia reintegrato nello stato primigenio. Se alla stazione psichica
si richiede allo gnostico di giungere alla piena sottomissione e obbedienza ai
dettami della legge sacra attraverso l’ascesi e la mortificazione, in quella
cardiaca egli diviene luogo di manifestazione degli attributi divini, accedendo
così all’autentica visione intuitiva, che prelude agli stati mistici più
elevati di ordine squisitamente spirituale, dove si realizza l’annientamento
dell’individualità in vista dell’Unione. Solo a questo punto può avvenire la
Grande Resurrezione (al-qiyāma al-kubrā), ovvero la rinascita dello
gnostico a una nuova esistenza eterna e reale (al-wuğūd al-bāqī al-haqqānī),
al riparo dalla morte e dal tempo, la quale conferisce al rinato la capacità di
manifestarsi in tutti i mondi – da quello fisico, a quello archetipico, finanche a
quello spirituale – essendo egli svincolato da qualsiasi stato di esistenza
finita e condizionata. E’ in questa veste che egli è definito da Al-Qaysarī la
beatitudine e l’augurio dei mondi (sa’īd al-‘ālamīn).
Dalla sintesi presentata diviene
chiaro il significato da attribuire alla conclusione del testo, in cui il Khidr
viene identificato con colui che, avendo attraversato le tenebre, ha bevuto
l’Acqua della Vita e guadagnato la Conoscenza intuitiva, la quale gli permette
di essere tramite ed agente della volontà divina nel mondo, cosa che spiega i
suoi atti e la sua lungimiranza in relazione alla vicenda narrata nella Sura
della Caverna. Egli è, in altre parole, colui che attualizza il Comando Divino
(al-amr al-ilāhī) in virtù della
realizzazione di quella forma sublime di sottomissione a Dio che è
frutto del
pieno possesso della scienza infusa. E’ in virtù di tale
sottomissione al Comando Divino che il maestro lo definisce non come
profeta portatore di una legge sacra, ma come detentore di una funzione
profetica
interiore permanente, laddove esternamente egli è sottomesso alla legge
istituita dal latore della funzione profetica legiferatrice. Il Khidr,
difatti,
è esteriormente sottomesso alla normativa sacra in vigore, mentre
interiormente
riceve direttamente dall’Altissimo quanto agli altri uomini è portato
dalla
figura del profeta istitutore della legge. La scienza del Khidr è quindi
la
chiave sia della sua immortalità, che è frutto della realizzazione
spirituale, sia della sua proprietà vivificante, in quanto egli è
l’agente che,
dispensando eccezionalmente la propria scienza a colui che ne è
meritevole agli
occhi di Dio, conduce alla possibilità di rinascita iniziatica che, come
abbiamo visto, è da considerarsi quale ingresso alla vita autentica.
Non
sorprende pertanto che gli attribuiti e i poteri del Verdeggiante siano
gli
stessi di chiunque raggiunga il suo medesimo grado di perfezione lungo
la Via.
Sulla scorta dell’insegnamento guénoniano, e in piena concordanza con i dati tradizionali della gnosi universale e in particolar modo islamica, nell’utile introduzione Paolo Urizzi ricorda che il Khidr è eminente figura del maestro interiore, ossia della teofania dello Spirito di Santità dell’iniziato. Nella forma del maestro interiore il Khidr indica al proprio discepolo la via che conduce al luogo atopico della Confluenza dei Due Mari (mağma‘ al-bahrayn), affinché quest’ultimo, abbeveratosi alla fonte di quell’acqua che estingue per sempre la sete, riscopra definitivamente la propria identità con l’altro.
Sulla scorta dell’insegnamento guénoniano, e in piena concordanza con i dati tradizionali della gnosi universale e in particolar modo islamica, nell’utile introduzione Paolo Urizzi ricorda che il Khidr è eminente figura del maestro interiore, ossia della teofania dello Spirito di Santità dell’iniziato. Nella forma del maestro interiore il Khidr indica al proprio discepolo la via che conduce al luogo atopico della Confluenza dei Due Mari (mağma‘ al-bahrayn), affinché quest’ultimo, abbeveratosi alla fonte di quell’acqua che estingue per sempre la sete, riscopra definitivamente la propria identità con l’altro.
Tratto da: http://spiritoetradizione.blogspot.cz/2012/11/al-qaysari-il-khidr-e-lacqua-di-vita.html
Una seconda recensione a questo indirizzo:
http://universa.filosofia.unipd.it/index.php/Universa/article/viewFile/349/347
Una seconda recensione a questo indirizzo:
http://universa.filosofia.unipd.it/index.php/Universa/article/viewFile/349/347
Nessun commento:
Posta un commento