Bhagavad Gîtâ - I
Capitoli I-VI
Indice
Indice
Capitolo primo - Esitazione e angoscia di Arjuna
Capitolo secondo - Teoria Samkhya e Pratica Yoga
Capitolo terzo - Il Karma Yoga o la via nell'agire
Capitolo quarto - La via della conoscenza
Capitolo quinto - La vera rinuncia
Capitolo sesto - Il vero Yoga
Capitolo settimo - Dio e il mondo
Capitolo ottavo - Il processo dell'evoluzione cosmica
Capitolo nono - Il Signore è superiore alla creazione
Capitolo decimo - Dio è la fonte di tutto: conoscere Lui è
conoscere tutto
Capitolo undicesimo - La trasfigurazione del Signore
Capitolo dodicesimo - La fede nel Dio personale è superiore
alla meditazione sull'Assoluto
Capitolo tredicesimo - Intorno al corpo, detto il campo,
all'anima, chiamata il conoscitore del campo e alla differenza fra l'uno e
l'altra
Capitolo quattordicesimo - Il padre mistico degli esseri
Capitolo quindicesimo - L'albero della Vita
Capitolo sedicesimo - La natura del divino e lo spirito demoniaco
Capitolo diciassettesimo - I tre guna applicati ai fenomeni
religiosi
Capitolo diciottesimo - Conclusione
Capitolo
I
Esitazione
e angoscia di Arjuna
La domanda
Dhrtarastra disse:
(1) Nel campo (dell'adempimento) della giustizia, nel
campo dei Kuru, quando si furon
messi di fronte, desiderosi di lotta, la mia gente da un lato, i Panduidi
dall'altro, che cosa fecero essi, o Samjaya?
I due eserciti
Samjaya disse:
(2) Ordunque, avendo visto allora Duryodhana, il re, l'esercito dei Panduidi disposto in ordine di
battaglia, accostatosi al maestro (gli) tenne questo discorso:
(3) Guarda, o maestro, questo possente esercito dei
figli di Pandu raccolto dal tuo
sapiente discepolo, il figlio di Drupada.
(4) Quaggiù (ci sono) eroi, grandi arcieri, pari in
battaglia a Bhima e ad Arjuna (e cioè vi sono) i Yuyudhana, Virata e Drupada il
valente guerriero.
(5) Dhrstaketu,
Cekitana e il valoroso re di Kasi, Purujit e Kuntibhoja e Saibya, eroe fra gli uomini.
(6) Yudhamanyu
il forte ed Uttamauja il prode; e inoltre
il figlio di Subhadra e i figli di Draupadi, grandi guerrieri tutti.
(7) Coloro che fra noi si trovano ad essere
particolarmente distinti, i capi del mio esercito, quelli impara a conoscere, o
migliore fra i due volte nati. Costoro per tua conoscenza io ti menzionerò per
nome.
(8) Tu, o Signore, e Bhisma e Karna e Krpa vittorioso in battaglia, Asvatthaman e Vikarna ed anche il figlio di Somadatta.
(9) E molti altri eroi, che per me son pronti a
rinunciare alla vita, che sanno combattere con armi di vario genere, tutti
esperti nel guerreggiare.
(10) Ingente è questo nostro esercito, del quale sta Bhisma a presidio mentre codesto loro
esercito, retto da Bhima, non è
poderoso.
(11) E (dunque) su tutti i punti del fronte, ciascuno
secondo il posto (che gli compete), saldi restando, voi tutti lottate in favore
di Bhisma.
Il suono dei corni
(12) Per far sorgere ardente il desiderio di Duryodhana (di combattere) il vecchio
kuruide, l'avo valoroso, ruggì come un leone con voce poderosa. Pieno di ardore
dette fiato alla tromba.
(13) Allora conchiglie e grancasse, tamburi e timpani
e corni d'un tratto si cominciò a battere e ne nacque un rumore fragoroso.
(14) Allora stando sul grande carro aggiogato ai
bianchi cavalli, Madhava e il
Panduide (Krsna ed Arjuna) dettero fiato alle loro divine
conchiglie.
(15) Krsna
soffiò nel suo Pancajanya ed Arjuna nel suo Devadatta e Bhima,
l'eroe dalle spaventose imprese e dal ventre di lupo (dal grande appetito),
dette fiato alla sua grande conchiglia, Paundra.
(16) Il re Yudhisthira,
figlio di Kuntì, dette fiato al suo Anantavijaya e Nakula e Sahadeva
soffiarono in Sughosa e Manipuspaka.
(17) E il re di Kasi,
sommo fra gli arcieri, e Sikhandin
dal grande carro, Dhrstadyumna e Virata e Satyaki, l'invitto,
(18) Drupada
e i figli di Draupadi tutti insieme,
o Signore della terra, e il figlio di Subhadra
dalle forti braccia dettero fiato alle loro conchiglie da tutti i lati.
(19) Il fragore frastornante che faceva rimbombare il
cielo e la terra, lacerò i cuori dei figli di Dhrtarastra. Arjuna
guarda i due eserciti.
(20) Allora il panduide (Arjuna) che aveva per insegna la scimmia Hanuman, dopo che ebbe visto i figli di Dhrtarastra disposti in ordine di battaglia, e avendo inizio lo
scontro delle armi, alzando l'arco,
(21) O Signore della terra, questo discorso rivolse a Hrsikesa (Krsna): o Acyuta (Krsna), fa che il mio carro si trovi a
stare fra i due eserciti;
(22) in modo che io osservi gli uomini che qui si
ergono desiderosi di battaglia, (e) che devono combattere con me nell'agone di
questa battaglia;
(23) in modo che io possa guardare costoro che son
desiderosi di combattere, e che sono qui raccolti, pronti a compiere in
battaglia il volere del figlio di Dhrtarastra
dall'animo perverso.
(24) Così, o Bharata
(Dhrtarastra) essendo stata rivolta
la parola da Gudakesa (Arjuna), Hrsikesa (Krsna) avendo
arrestato fra i due eserciti il migliore dei carri,
(25) di fronte a Bhisma,
Drona e a tutti quei signori di
terre, disse: "Considera, o Partha
(Arjuna), questi Kuru raccolti (in questo luogo)".
(26) Allora Partha
vide che stavano là padri e nonni, maestri, zii, fratelli, figli, nipoti e
compagni anche,
(27) ed anche suoceri e amici nell'uno e nell'altro
esercito. E dopo che il figlio di Kuntì
(Arjuna) ebbe visto tutti quei
parenti così disposti in ordine di battaglia,
(28) in preda a (un sentimento di) grande compassione,
fece, turbato, questo discorso: O Krsna,
vedendo la mia propria gente piena d'ardore guerresco e disposta in ordine di
battaglia,
(29) le mie membra vengono meno e la bocca (mi)
diventa secca e un tremito nel corpo mi si produce e così il rizzarsi dei
capelli;
(30) (l'arco) Gandiva
mi sfugge di mano e la pelle tutta mi arde; non riesco a stare in piedi; la mia
mente vacilla.
(31) E vedo segni contrari di augurio, o Kesava (Krsna), né posso prevedere alcunché di meglio, se uccido la mia
gente in battaglia.
(32) Io non aspiro alla vittoria, o Krsna, né a un regno né ai piaceri. A
che ci serve mai un regno, o Govinda
(Krsna), a che i piaceri, a che la
vita stessa?
(33) Coloro proprio per i quali noi desideriamo regni,
godimenti e piaceri, questi appunto stanno in battaglia, rinunciando alla vita
e alle ricchezze,
(34) maestri, padri, figli e nonni anche, zii e
suoceri, nipoti e cognati ed altri parenti.
(35) Costoro io non desidero uccidere, o Madhusudana pur se essi uccidono me; e
(questo) nemmeno per (avere) il triplice regno; che cosa (dire) mai dunque (se
non che non lo farei mai) per amore del dominio sulla terra (tanto inferiore)?
(36) Dopo aver ucciso i figli di Dhrtarastra, o Krsna,
quale piacere potremmo mai avere, o Janardana?
Il peccato soltanto potrebbe attaccarsi a noi, dopo che avessimo ucciso
costoro, anche se essi son uomini disposti al male.
(37) Non è cosa degna che noi uccidiamo, quindi, i
figli di Dhrtarastra, nostri
parenti; in verità, come potremmo essere felici, dopo aver ucciso la nostra
gente, o Madhava?
(38) Anche se costoro, i cui animi sono dominati
dall'ingordigia, non riescono a vedere alcun male nel fatto che una famiglia
sia distrutta e (non riescono a vedere) alcuna colpa nel fatto di tradire le
persone care;
(39) come non dovremmo aver noi la coscienza di
doverci tener lontani da codesta colpa, noi che ben vediamo il male che è nella
distruzione delle famiglie, o janardana?
(40) Quando una famiglia va in rovina, le antichissime
sue leggi (nel senso concreto delle virtú che ad esse si riferiscono)
periscono; e quando la legge è perita, l'ingiustizia sottomette a sé, per
conseguenza, la famiglia tutta intera.
(41) E quando è l'ingiustizia quella che predomina, o Krsna, le donne della stirpe diventano
corrotte e quando le donne son diventate corrotte, si determina la confusione
delle caste.
(42) E questa confusione vale l'inferno per coloro che
hanno distrutto la famiglia e per la famiglia stessa; e (vi) cadono anche gli
spiriti dei loro antenati, che si trovano ad essere privi delle offerte di riso
e di acqua.
(43) Per quei misfatti, apportatori di confusione
castale, (che son opera) di coloro che distruggono (così) la propria gente,
vanno in malora le leggi della nascita e della famiglia, che durano da tempo
immemorabile.
(44) E noi abbiamo appreso dalle nostre tradizioni, o Janardana, che eternamente dovranno
vivere nell'inferno gli uomini delle famiglie, le cui leggi sono state mandate
in malora.
(45) Ohimé, un grande peccato ci siamo noi decisi a
commettere, per il fatto di trovarci si pronti ad uccidere la gente nostra per
la brama dei piaceri che il regno può dare!
(46) (Davvero) preferirei se i figli di Dhrtarastra, con le armi in pugno, mi
uccidessero, nella battaglia, senza che io opponessi loro resistenza, senza che
io avessi armi, nemmeno!
(47) Così Arjuna
avendo parlato sul campo di battaglia si accasciò a sedere nel carro, (via da
sé) gettando l'arco e (la scorta del) le frecce, con l'animo angosciato.
Nell'Upanisad che si intitola Bhagavad Gita,
libro di interpretazione filosofica
e concernente la realizzazione yogica,
nel dialogo fra Sri Krisna e Arjuna
(è questo) il primo capitolo intolato
"Angoscia di Arjuna".
Capitolo
II
Teoria
Samkhya e Pratica Yoga
Krsna rimprovera Arjuna e lo esorta a comportarsi da
valoroso
Samjaya disse:
(1) A lui che era così
preso dal suo sentimento di pietà (e) i cui occhi erano pieni davvero di
lacrime e che era affranto, Madhusudana
rivolse queste parole:
Il Signore Beato disse:
(2) Da dove ti si è
fatta d'accosto questa (tua) debolezza in (questo) momento di difficoltà? Essa
tale è, che non se ne compiacerebbero gli uomini d'onore, tale da non condurre
al cielo; ed è causa di disonore (sulla terra), o Arjuna.
(3) No, non cedere a
questo tuo vile sentimento, o Partha,
che esso non ti si conviene; cacciando la meschina debolezza d'animo, sorgi, o
distruttore dei nemici.
I dubbi di Arjuna rimangono irrisolti
Arjuna disse:
(4) Come potrò, io,
combattere sul campo di battaglia, con le frecce, Bhisma e Drona ambedue
degni di rispetto, oh Madhusudana (uccisore
di Madhu), oh Arisudana (uccisor dei nemici)?
(5) Meglio è mangiare il
cibo del mendico, pur esso, in questo mondo qui, che uccidere questi venerandi
maestri; con l'uccidere essi che sono i miei maestri, anche se sono bramosi di
guadagno, godrei piaceri macchiati di sangue.
(6) E nemmeno questo
sappiamo, quale delle due cose sia per noi migliore, che li vinciamo noi, o che
essi ci vincano. I figli di Dhrtarastra,
dopo aver ucciso i quali noi non avremo più desiderio di vivere, sono là,
schierati in ordine di battaglia, faccia a faccia davanti a noi.
(7) Il (mio) proprio
essere è preda dello smarrimento per questa mia colpa della compassione. Poiché
la mente mi si confonde a proposito di quel che è, il mio proprio dovere, io ti
domando: dimmi con certezza quale sia il meglio. lo sono il tuo discepolo;
istruisci me, che in te cerco rifugio.
(8) Davvero non vedo che
cosa possa allontanare da me questa angoscia che priva di ogni forza i miei
sensi; (non ci potrebb'essere cosa alcuna capace di tanto) neppure se io
raggiungessi sulla terra un ricco regno di incontrastabile potenza o avessi pur
anche l'assoluto dominio degli esseri celesti.
Samjaya disse:
(9) Gudakesa, l'uccisore dei nemici, avendo così parlato a Hrsikesa, (e) dopo aver detto a Govinda "non combatterò" se
ne stette in silenzio.
(10) (E) a lui (così)
smarrito, in mezzo ai due eserciti, o Bharata,
Hrsikesa, come sorridendo, rivolse
questo discorso:
La distinzione fra il Sé e il Corpo:
non dobbiamo affliggerci per ciò che non può perire
Il Signore Beato disse:
(11) Per coloro ai quali
non si addice il tuo pianto, ti affliggi, eppure sai dire parole assennate.
(Ma) i saggi non si affliggono né per i morti né per quelli che morti non sono.
(12) Né mai c'è stato
tempo in cui io non esistessi, né tu (esistessi) né questi signori di uomini,
né di poi, in appresso, ci sarà tempo in cui noi tutti non saremo (non
esisteremo più, avremo cessato di essere).
(13) L'anima dopo che in
questo corpo è stata, (per) la fanciullezza, la gioventù, la vecchiaia, allora
appunto realizza l'assunzione di un altro corpo. L'uomo, fermo di spirito, non
trae da ciò motivo di smarrimento.
(14) I contatti con le
cose materiali, o figlio di Kuntì,
fanno sentire caldo e freddo, piacere e dolore; vanno e vengono e sono
impermanenti. Apprendi a sopportarli, o Bharata.
(15) L'uomo che questi
(contatti) non turbano, o capo di uomini, l'uomo fermo, che rimane lo stesso
nel piacere e nel dolore, questo si rende adatto all'immortalità.
(16) Di ciò che non
esiste non si dà venire all'essere; di ciò che esiste non c'è cessazione
dell'essere. La conseguenza ultima dell'uno e dell'altro punto è stata scorta
da quelli che vedono l'essenza della verità.
(17) Sappi dunque che
ciò da cui tutto questo (mondo della molteplicità) si è diffuso, è
indistruttibile. Di questo immutabile essere non c'è alcuno che possa causare
la distruzione.
(18) Questi corpi
dell'anima eterna (che vi si diffonde), indistruttibile e incomprensibile, son
detti esser tali da avere una fine. Per questo, combatti, o bharata (Arjuna).
(19) Colui che pensa che
sia esso ad uccidere e colui che pensa sia esso ad essere ucciso, sono tutti e
due in errore, (perché) esso non uccide né è ucciso.
(20) Esso non nasce mai,
né mai muore, né, essendo ciò che è venuto ad essere, (di nuovo) cesserà di
essere; è non-nato, eterno, permanente, originario; non è ucciso, quando il
corpo è ucciso.
(21) Colui che sa che
esso (il Sé) è indistruttibile ed eterno, non-generato e immutabile, come può
quella persona, o Partha, uccidere o
far uccidere qualcuno?
(22) Come un uomo
smettendo i vestiti usati, ne prende altri nuovi, così proprio l'anima
incarnata, smettendo i corpi logori, viene ad assumerne altri nuovi.
(23) Le armi non fendono
il Sé, il fuoco non lo brucia; né lo bagnano le acque, né lo dissecca il vento.
(24) Esso è tale che non
lo si può fendere, tale da non poter essere arso, da non poter essere né
bagnato né disseccato. Eterno è, onnipervadente, immoto ed immobile; esso è
sempre identico a sé.
(25) Esso è detto
non-manifesto, impensabile, immutabile. Per tale sapendolo, non deve
affliggerti.
(26) Anche se pensi che
esso (il sé) nasca eternamente ed eternamente muoia, anche allora, o uomo dal
braccio possente, non devi tu trarne motivo d'angoscia.
(27) Dell'uomo che è
nato in verità certa è la morte; e certa è la rinascita per quello che è morto.
Di conseguenza, da ciò che è inevitabile non devi tu trarre motivo d'angoscia.
(28) Gli esseri non sono
manifesti nel principio del loro esistere, sono manifesti nel loro esistere di
mezzo e di bel nuovo non manifesti alla fine del loro esistere, o Bharata. Quale (motivo di) pianto può
essere, quindi, in ciò?
(29) L'uno guarda ad
esso come a qualcosa di meraviglioso; un altro parla di esso come di qualcosa
di meraviglioso; un altro ancora ne sente (parlare) come di qualcosa di
meraviglioso; ma anche dopo averne udito, non c'è alcuno che l'abbia
conosciuto.
(30) L'Anima (il Sé)
(che ha preso sede) nel corpo di ciascuno, o Bharata è eterna e non può mai essere uccisa. Perciò non devi tu
trarre motivo di ansia per alcuna creatura.
Appello al sentimento del dovere
(31) E poi, considerando
il tuo proprio dovere, non dovresti farti prendere da emozione; non esiste
alcun'altra cosa che per uno Ksatriya valga
di piú della battaglia combattuta secondo il proprio dovere.
(32) Felicemente gli Ksatriya accolgono una guerra siffatta
venuta da sé spontaneamente (quale) porta aperta del cielo, o Partha.
(33) Ma se tu poi non
vuoi compiere questa lotta secondo giustizia, allora, col metter da parte il
tuo dovere e la tua gloria, commetterai peccato.
(34) Inoltre, gli uomini
parleranno sempre della tua vergogna; e per uno di cui si è sempre avuta
un'alta opinione, il disonore è peggiore della (stessa) morte.
(35) I grandi guerrieri
penseranno che tu ti sia astenuto dal combattimento per paura; e andrai
incontro al disprezzo di coloro dai quali tu eri pur ora molto stimato.
(36) Molte parole
disonorevoli pronunceranno i tuoi nemici, i quali si faranno beffe del tuo
valore. Che cosa potrebbe essere dunque (per te) piú penoso di questo?
(37) (Delle due l'una):
o ucciso otterrai il cielo o, vincitore, ti godrai (questa) terra; sorgi,
quindi, o figlio di Kuntì, deciso
alla battaglia.
(38) Ugualmente stimando
piacere e dolore, vincita e perdita, vittoria e sconfitta apprestati dunque
alla battaglia; non potrai così commettere peccato.
(39) Questa è, (così) a
te trasmessa, la sapienza del samkhya
(o secondo ragione). Epperò ascolta quella (dello Yoga) che ora ti dirò; da una
siffatta sapienza se sarai avvinto, o Partha,
potrai sfuggire ai vincoli del karma
(alle conseguenze delle tue opere).
Yoga e mentalità mondana
(40) Qui (in questo
procedere o processo) non c'è cosa alcuna che neutralizzi lo sforzo, non c'è
difficoltà (che tenga); anche un minimo di questo giusto procedere (di questo dharma) salva da grande paura.
(41) In questo processo
l'intelletto risoluto è unico, o gioia dei Kuru;
(ma) in verità dalle molte ramificazioni e senza termini sono gli intelletti di
quelli che non hanno fermo lo spirito.
(42-43) I non-esperti
(quelli che non vedono, gli stolti) che si compiacciono dei precetti vedici
intesi alla lettera (delle parole dei Veda), quelli che dicono che non c'è
altro, coloro il cui essere è desiderio e che hanno lo spirito fisso al cielo
soprattutto, proclamano per l'appunto queste fiorite parole, le quali
concludono al (concetto della) la rinascita come frutto delle azioni ed
implicano molti riti speciali per ottenere il dominio e il godimento.
(44) L'intelligenza
distinguente di coloro che sono dediti al dominio e al godimento e le cui menti
sono rapite da essi non può fissarsi decisa nella concentrazione Yogica.
(45) I Veda riguardano
il dominio dei tre guna (delle tre
qualità o modi); ma tu dalle tre qualità diventa libero, o Arjuna; renditi libero dalle coppie degli opposti, col volere fermo
alla somma realtà, senza curarti di acquistare e conservare, padrone del tuo
vero Sé.
(46) In quel modo che
(si può dire che vi sia) utilità in una cisterna (situata) in un luogo che sia
da ogni parte inondato dalle acque, in questo stesso modo (vi può essere
utilità) in tutti i Veda per il Brahmano
che è in grado di intendere.
Operare senza interesse per i risultati
(47) Tu hai un diritto
particolare (o privilegio relativo alla condizione umana) all'azione, ma in
nessun caso un diritto ai suoi frutti; non essere come uno che dipende dal
frutto del karma; e non sia in te
neanche attaccamento alcuno alla non-azione.
(48) Ben saldo nello
Yoga, compi le opere tue, o possessore della ricchezza, dopo aver messo da
parte l'attaccamento, con la stessa disposizione d'animo rimanendo, nel
successo e nella sconfitta: la mente in equilibrio (continuo) di indifferenza,
ha il nome di yoga.
(49) Di gran lunga
inferiore è il (puro e semplice) agire all'equilibrio dell'intelletto
aggiogato, o possessore della ricchezza; nell'intelletto cerca rifugio; tali da
destare pietà son coloro che vanno alla ricerca del frutto (del loro agire).
(50) Colui che ha
raggiunto l'equilibrio dell'intelligenza aggiogata elimina anche in questo
mondo tutti e due, il bene e il male. Lotta dunque per (realizzare) lo yoga; lo
yoga è abilità nell'agire.
(51) I saggi che,
rinunciando al frutto, prodotto dal loro agire, realizzano l'unione del loro
spirito (con l'essenza divina del mondo), dal legame delle nascite liberati,
raggiungono una condizione stabile (o dimora) al di là di ogni male.
(52) Allorché il tuo
intelletto attraverserà la pienezza della delusione, allora appunto perverrai
al disgusto per ciò che deve essere udito e per ciò che è stato udito.
(53) Allorchè il tuo
intelletto, che è disorientato dalla sruti, si ergerà fermo ed immoto nella
somma coscienza, allora appunto raggiungerai lo yoga.
I caratteri del perfetto sapiente
Ariuna disse:
(54) Qual è la
descrizione dell'uomo che possiede salda questa conoscenza, di colui che è
fermo nella meditazione, o Kesava?
L'uomo dal fermo spirito come dovrebbe parlare, come sedere, come camminare?
Il Signore Beato disse:
(55) Quando uno espelle
tutti i desideri che son venuti nell'animo suo, o Partha, ed è di sé soddisfatto nell'intimo suo, allor appunto
prende il nome di uomo dalla stabile capacità discriminativa.
(56) Colui che ha
l'animo libero da turbamento, pur in mezzo ai dolori, e va esente da desideri
violenti, pur in mezzo ai piaceri, colui che è libero da passione, paura e
collera, ha il nome di uomo di fermo spirito.
(57) Colui che è privo
d'affezione sotto ogni aspetto (che non prova attaccamento per cosa alcuna),
che a seconda dei casi provando bene o male non gode, non detesta, di questo
(uomo) l'intelletto è saldamente fondato (nella somma conoscenza).
(58) Allorché uno ritrae
i sensi dagli oggetti sensibili, da ogni parte, come la tartaruga le membra
(nel guscio), di questo (uomo) l'intelletto è saldamente fondato (nella somma
conoscenza).
(59) Gli oggetti
sensibili si ritraggono dall'anima incarnata di colui che si astiene dal
fruirne: non così il gusto per essi. Ma anche il gusto per queste cose dilegua,
dopo che si è visto il Supremo.
(60) Anche dell'uomo che
lotta (per raggiungere la perfezione) e che ben sa discernere, o figlio di Kuntì, i sensi distruttori con violenza
rapiscono lo spirito.
(61) Ed essi tutti (i
sensi) padroneggiando, nell'equilibrio yogico stia fermo a me devoto (di me
solo occupandosi); poiché è saldamente fondato nella somma conoscenza
l'intelletto di colui sotto il cui controllo sono i sensi.
(64) Ma un (uomo) che ha
lo spirito sottomesso alla regola (vidhi)
e che si muove fra gli oggetti dei sensi, con i sensi disgiunti da passione e
avversione e dipendenti dalla sua volontà, (questi) raggiunge la purezza dello
spirito.
(65) E in (codesta)
purezza di spirito è prodotta, così da appartenergli, la cessazione di tutte le
pene; la capacità discriminatrice dell'uomo dallo spirito puro in breve termine
si stabilisce (nella quiete del sé).
(66) In colui che non ha
raggiunto la saldezza del controllo non ci può essere capacità discriminatrice;
né d'altra parte in colui che non ha raggiunto il controllo può darsi il potere
di determinare l'esperienza fenomenica (concentrazione) e in colui che non ha
un siffatto potere di concentrazione non c'è pace e, per colui che pace non ha,
come può esserci felicità?
(67) Quello spirito che
si conforma ai sensi che perennemente si agitano, quello appunto trae seco la
capacità di distinguere, come il vento (trascina qua e là) la nave sull'acqua
(del mare).
(68) Di conseguenza, o
uomo dal forte braccio, colui i cui sensi siano per ogni verso distolti dagli
oggetti sensibili, di quell'uomo appunto la capacità di distinguere è
saldamente fondata.
(69) In quella che è
notte per tutti quanti gli esseri (in essa appunto) veglia colui che è padrone
di sé; ed è notte per il saggio veggente ciò che per gli (altri) esseri è tempo
di veglia (il tempo in cui gli altri esseri vegliano).
(70) Colui nel quale
tutti i desideri entrano, nello stesso modo in cui le acque entrano nel mare,
che, sebbene continuamente ne sia rifornito, rimane tuttavia esente da
movimento, un tale uomo appunto raggiunge la pace, e non già colui che è preda
di tutte le passioni.
(71) L'uomo che
allontanando tutti i desideri agisce esente da desiderio, quegli appunto,
distaccato dal proprio ego, senza orgoglio o egocentrismo, raggiunge la pace.
(72) Questo è lo stato
brahmanico, o Partha: e quando uno
l'ha raggiunto non è possibile che (poi) si smarrisca spiritualmente; e in esso
(stato) rimanendo anche nell'ora della morte, (si) raggiunge il nirvana identico alla realtà
brahmanica.
Questo è il secondo capitolo che ha per titolo
"Lo Yoga della Conoscenza".
(Samkhya Yoga)
Capitolo
III
Il
Karma Yoga o la via nell'agire
Se le cose stanno così, perché operare?
Arjuna disse:
(1) Se l'intendere tu
ritieni che sia superiore all'agire, o Janardana,
perché mai allora vuoi impormi (di compiere questo) terribile atto, o Kesava?
(2) Con un modo di
esprimerti che è per così dire ambiguo, tu hai l'aria di portar confusione nel
mio intelletto. Dimmi dunque, con definita certezza, (quale sia) l'unica cosa
per mezzo della quale io possa raggiungere il sommo bene.
Vivere è operare; necessaria l'indifferenza per il risultato
Il Signore beato disse:
(3) O (eroe) senza
macchia, un duplice modo di trar conclusioni del genere in questo mondo è stato
dianzi da me indicato, quello che si riferisce alla via della conoscenza, e
riguarda i contemplativi, e quello che si riferisce alla via dell'operare, e
riguarda gli uomini d'azione.
(4) Non con il tenersi
lontano dall'operare, può l'uomo arrivare a conquistare la libertà dall'agire;
e non con la rinuncia al mondo, puramente e semplicemente, può raggiungere la
perfezione.
(5) E in verità proprio
nessuno, nemmeno forse per un istante, può restar senza operare; ogni atto è
qualcosa che si è indotti a compiere, in modo necessario, dalle qualità che
hanno origine nella natura stessa.
(6) Colui che,
controllando gli organi dell'agire, di continuo però pone mente, con il (suo)
spirito, agli oggetti dei sensi, costui dall'animo ambiguo è detto essere uno
che agisce in modo menzognero.
(7) Colui invece che,
controllando i sensi con la sua mente, o Arjuna,
senza attaccamento intraprende la strada dello Yoga sulla base degli organi
dell'agire, questi (sugli altri) eccelle.
(8) Tu, compi l'opera
che ti è stata affidata, che davvero l'agire meglio è del non agire; perfino
mantenere il tuo corpo non sarebbe possibile senza l'agire.
(9) Escluso l'agire che
è in funzione di sacrificio (agire non vincolante -N.T.), questo mondo qui è
vincolato all'azione; e in funzione di ciò appunto (in funzione sacrificale), o
figlio di Kuntì, compi l'opera tua,
libero da attaccamento.
(10) Nei tempi antichi,
il Signore delle creature, creando le generazioni degli uomini insieme con il
sacrificio, disse: "Con questo voi procreate e questa sia per voi la vacca
dell'abbondanza che realizzerà i vostri desideri".
(11) Per mezzo di esso
sostentate gli dei ed essi, gli dei, vi sostentino; reciprocamente
sostentandovi, attingerete il sommo Bene.
(12) E gli dei appunto,
sostentati dal sacrificio, a voi daranno le gioie desiderate. Colui che gode di
questi doni, senza restituirli ad essi, è veramente un ladro.
(13) I buoni che
mangiano i resti del sacrificio si liberano di tutti i peccati; ma quei malvagi
che mettono a cuocere (il cibo) per se stessi, costoro veramente mangiano
peccato.
(14) Dal cibo le
creature hanno l'esistere; dalla pioggia ha origine il cibo; dal sacrificio la
pioggia ha l'esistere e dall'operare il sacrificio nasce.
(15) Sappi che il karma, l'operare stesso, ha origine in Brahma e che il Brahma ha origine dall'Assoluto. Epperò il Brahma, che tutto compenetra, eternamente si appoggia sul
sacrificio.
(16) Colui che non dà il
suo aiuto (per girare) in questo mondo la ruota (del divenire terreno) che così
intorno si volge, (è un) mascalzone, uno che cerca il piacere dei sensi (e)
vive invano, o Partha.
Sii contento del Sé
(17) Colui però che sia
tale da godere solo del Sé, l'uomo che del Sé è contento, che del Sé
completamente si soddisfa, (quest'ultimo è tale che) per lui non esiste cosa
che deva essere necessariamente fatta.
(18) Né d'altra parte ci
può essere alcun suo interesse in azione da lui compiuta, in questo mondo, né,
in alcun modo, in azione che egli non abbia compiuta. Né, ancora, in tutti
(questi) esseri può egli trovare in alcun modo protezione per i suoi interessi.
(19) Perciò realizza
sempre senza attaccamento l'atto che deve esser compiuto perché davvero l'uomo,
compiendo l'opera senza attaccamento, attinge la Suprema Realtà.
Siate d'esempio agli altri
(20) Per mezzo delle
opere appunto Janaka e gli altri si
trovarono a conseguire la perfezione; avendo insieme anche lo sguardo alla
conservazione del mondo, devi tu operare.
(21) Qualsiasi cosa
compia un uomo sommo, quella appunto (fanno) anche gli altri uomini; quel
modello che egli stabilisce, esso appunto la gente segue.
(22) Non c'è nulla,
affatto, o Partha, nei tre mondi,
che io debba fare né alcuna cosa che debba ottenere, che non sia stata da me
ottenuta; e però mi trovo nella condizione di chi è (impegnato) nell'operare
(pur senza essere effettivamente impegnato - N.T.).
(23) Se io non mi
mettessi nella condizione di chi è impegnato sempre infaticabilmente
nell'operare, gli uomini, o Partha,
in tutte le guise seguirebbero le mie orme (come sempre fanno - N.T.).
(24) Sparirebbero questi
mondi, se io non dessi piú luogo a questo mio operare e sarei allora il
creatore del disordine e sarei io stesso a causare la distruzione di queste
creature.
(25) Come gli ignoranti
agiscono nell'attaccamento al loro operare, così appunto gli uomini istruiti e
consapevoli devono agire senza attaccamento, in vista di realizzare la
conservazione del mondo.
(26) Che (colui che sa)
non faccia nascere aberrazione mentale negli spiriti degli ignoranti che sono
attaccati all'operare. Colui che sa deve far compiere tutte le opere, agendo
nello spirito yogico del raggiunto equilibrio.
Il Sé non agisce
(27) Le opere di ogni
genere sono compiute dai modi della natura; (ma) colui che è traviato dal
sentimento del proprio ego pensa: "sono io colui che fa".
(28) Ma colui che
conosce la sostanza delle due distinzioni (del Sé) dai modi della natura e
dall'operare (che ad essi pertiene), o eroe dal braccio possente, pensando sono
i modi ad agire sui modi, non patisce attaccamento.
(29) Coloro che sono
fuorviati dai modi naturali patiscono attaccamento agli atti prodotti dalle
qualità naturali stesse. Che nessuno dotato di scienza completa del tutto,
faccia deviare le menti di costoro che hanno una scienza solo parziale.
(30) Abbandonando a me
le opere tue, con la mente fissa al Primo Sé, libero dai desideri, esente da
egoismo, combatti, libero da (codesta tua) febbre.
(31) Quegli uomini che,
dotati di fede (e) liberi da sentimenti ostili (desiderio di discutere), di
continuo si adeguano a questo mio insegnamento, son liberati dalle opere.
(32) Coloro invece che
biasimando il mio insegnamento non lo seguono, questi appunto sappi che restano
smarriti di fronte ad ogni sapienza, perduti e senza (porre) mente a nulla.
(33) In modo conforme
alla sua propria natura agisce anche l'uomo che ha conoscenza. Gli esseri
seguono (in genere) la loro propria natura. Che cosa mai potrà fare la
coercizione?
(34) Attrazione e
ripulsa che nascono da un senso si trovano ad esser fissati nei riguardi degli
oggetti di (quel determinato) senso (cioè:
ogni oggetto sensibile produce naturalmente attrazione o avversione, nel senso
che gli si riferisce - N.T.). Sotto il dominio di queste cose mai venga alcuno,
perché rappresentano per lui (gli eterni) due nemici.
(35) è migliore la legge
intrinseca che a ciascuno pertiene, anche se solo inadeguatamente si riesca a
praticarla, che non la legge altrui, anche se ben praticata. Migliore è la
morte nel compimento della legge che ci compete, (perché) (l'attuazione del) la
legge altrui porta con sé pericolo.
Il Nemico è Passione e Iracondia
Arjuna disse:
(36) Ma allora da che
cosa aggiogato un uomo commette peccato, anche contro la sua volontà, o Varsneya, come per forza costretto?
Il Signore beato disse:
(37) Tale (come tu dici)
è la brama, tale è l'ira, ed esse nascono da quel modo della natura che è il rajas,
la passione, che tutto divora, tremendamente peccaminosa. Sappi che questo è,
nel nostro mondo qui, il nemico.
(38) Come dal fumo è
coperto il fuoco, come dalla polvere lo specchio, come dall'utero l'embrione,
così questo mondo è ricoperto da quello (dal rajas, dalla passione).
(39) Avviluppata è la
conoscenza da questo eterno nemico del saggio, o figlio di Kuntì, dal fuoco del desiderio, difficile da soddisfare, che assume
forme a suo piacimento.
(40) I sensi, la mente,
la facoltà di distinguere son chiamati il suo seggio; con questi avviluppando
la conoscenza, esso svia l'anima incarnata.
(41) Quindi tu, o
migliore fra i Bharata, dal
principio controllando i sensi, uccidi il maligno distruttore della scienza e
della conoscenza distinguente.
(42) Eccellenti sono i
sensi, essi dicono, dei sensi piú grande è la mente, piú grande della mente è
l'intelligenza distintiva, ma piú grande (ancora) dell'intelligenza è Lui (maschile nel testo).
(43) Così essendo venuto
a conoscere colui che è al di là dell'intelligenza distinguente, rinsaldando il
sé (inferiore) per mezzo del Sé, uccidi, o eroe dal forte braccio, il nemico
che ha la forma del desiderio e che è così duro da affrontare.
Questo è il terzo capitolo che ha per titolo
"Lo Yoga dell'operare".
(KarmaYoga)
Capitolo
IV
La
via della conoscenza
La tradizione dello Jnana Yoga
Il Signore Beato disse:
(1) Questo yoga
imperituro io già proclamai a suo tempo a Vivasvan;
Vivasvan lo espose a Manu e Manu lo descrisse a Iksvaku.
(2) Così trasmesso
dall'uno all'altro lo conobbero i reali profeti (finché) quello yoga si perse
in questo nostro mondo, per il gran trascorrer del tempo, o uccisor dei nemici.
(3) Appunto questo
antico yoga ti è stato oggi esposto da me; perché tu sei il mio fedele e il mio
amico; questo è appunto il sommo segreto.
Arjuna disse:
(4) Posteriore è stata
la nascita di (Tua) Vostra Signoria, anteriore invece la nascita di Vivasvan: in che modo si deve dunque
intendere il fatto che Tu al principio gli abbia esposto queste cose?
La Teoria degli Avatara
Il Signore Beato disse:
(5) Molte sono le mie
vite passate e così anche le tue, o Arjuna;
io, le conosco tutte, ma tu non le conosci, o distruttore dei nemici.
(6) Sebbene sia non-nato
e sia inalterabile nel Sé, sebbene sia il signore delle creature, pur essendo
saldamente fondato in quella natura che mi è propria, io vengo all'essere
(empirico) attraverso il potere che mi appartiene.
(7) Laddove ha luogo un
declino del giusto, o Bharata, e
l'affermarsi dell'ingiustizia, allora io creo me stesso nella forma
dell'incarnazione.
(8) Per la protezione
dei buoni, per la distruzione dei malvagi, per dare stabile fondamento al regno
della giustizia, io vengo nell'esistere di età in età.
(9) Colui che conosce
nella loro autentica essenza la mia divina nascita e il mio operare, non avrà
altra nascita, ma a me egli verrà, o Arjuna.
(10) Liberi da passione,
paura ed ira, in me consistenti (fatti di me), in me rifugiati, molti
purificati dalla pratica austera della conoscenza, hanno raggiunto la mia
condizione di essere.
(11) Quando gli uomini
vengono a me, allora appunto io li accolgo; da tutte le parti (seguono il mio
cammino) sulle mie orme insistono gli uomini, o Partha.
(12) Coloro che
desiderano la fruizione delle loro opere, sacrificano in questo mondo agli dei
(cioè alle varie forme della divinità - N.T.), perché rapido (effimero) è in
questo mondo umano il godimento delle conseguenze delle opere.
L'essenzialità dell'assenza del desiderio nell'opera divina
(13) Il sistema delle
quattro caste fu creato da me secondo la suddivisione delle qualità e delle
opere. Sappi che io, sebbene sia il creatore, sono uno che non agisce e non
muta.
L'agire senza attaccamento non porta alla condizione di
vincolo
(14) Le opere non mi
rendono impuro; in me non ha sede desiderio alcuno di frutto; colui che così mi
conosce non riceve vincolo dall'operare.
(15) Con questa
consapevolezza si dette luogo all'operare anche da parte degli uomini antichi
che anelavano alla liberazione. Per questo compi anche tu l'opera (come)
compiuta dagli antichi nei tempi andati.
Agire e non-agire
(16) Che cos'è l'agire?
Che cos'è il non-agire? A questo proposito, anche gli antichi saggi-poeti sono
esitanti. Io ti rivelerò che cos'è l'agire, e ciò conoscendo sarai liberato dal
male.
(17) Si deve intendere
che cosa sia l'agire e così anche s'ha da intendere che cosa sia l'agire
non-retto e bisogna intendere che cosa sia il non-agire. Estremamente ardua è
la strada dell'agire.
(18) Colui che vede
nell'agire il non-agire e l'agire nel non-agire, quegli è saggio fra gli
uomini, quegli è uno che ha realizzato l'unione e che ha portato del tutto a
compimento l'opera sua.
(19) Colui le cui
imprese sono tutte esenti dall'atto di volizione che procede dal desiderio,
colui le cui opere sono bruciate al fuoco del conoscere, questo, appunto, i
sapienti chiamano un uomo di sapere.
(20) Avendo dismesso
l'attaccamento al frutto dell'operare, sempre soddisfatto, senza doversi
appoggiare ad alcunché, egli non fa nulla, sebbene sia sempre occupato ad
agire.
(21) Se non ha desideri,
(se vive) con il controllo del proprio pensiero e del proprio sé, per esser uno
che ha rinunciato ad ogni forma di possesso, dando luogo ad un agire del tutto
limitato alla sfera corporea, non commette male.
(22) Colui che rimane
soddisfatto del guadagno fortuito, che ha superato il regno del due, che è
libero da sentimenti ostili, (che è) uguale (a se stesso) nel successo e
nell'insuccesso, anche agendo, non rimane soggetto a vincoli.
(23) L'operare dell'uomo
il cui attaccamento è scomparso, che ha raggiunto la liberazione, il cui
spirito è saldamente fondato nel conoscere, che opera come per un sacrificio,
si dissolve completamente.
(24) (Per quest'ultimo)
l'atto dell'offrire è Brahma, Brahma è l'offerta stessa rituale; da Brahma è versata (l'azione che si
identifica con il sacrifizio) nel fuoco sacrificale. Da colui che realizza Brahma nel suo operare, Dio è ciò che
deve esser attinto.
Il sacrificio e il suo valore simbolico
(25) Alcuni yoginah offrono il (divino) sacrificio
come rivolto agli dei, altri (invece) offrono il sacrificio per il sacrificio
(per mezzo del sacrificio) nel fuoco di Brahma.
(26) Altri sacrificano
l'udito e gli altri sensi nel molteplice fuoco del controllo di sé; altri
offrono il suono e gli altri oggetti di senso nel fuoco molteplice del senso.
(27) Altri ancora
offrono tutti gli atti dei loro sensi e gli atti del flusso vitale (prana) nel fuoco dello yoga
dell'autocontrollo, acceso dalla conoscenza.
(28) Altri, in simile
modo, son quelli che offrono sacrifici materiali (oppure) il sacrificio della
loro vita da penitenti (oppure) il sacrificio degli esercizi yogici; ed altri
ancora, asceti che osservano i voti, (son quelli che) offrono in sacrificio i
loro studi e la loro dottrina.
(29) Altri poi
similmente, interamente dediti al controllo del respiro, arrestando i movimenti
di espirazione ed inspirazione, sacrificano il fiato che inspirano in quello
che espirano e il fiato che espirano in quello che inspirano.
(30) Altri (poi), che
son coloro che limitano il cibo, sacrificano
i flussi vitali
(immergendoli) negli stessi flussi vitali. Tutti costoro nell'insieme sono
quelli che sanno che (cosa) sia il sacrificio, e (sono coloro che) distruggono
le impurità per mezzo del sacrificio.
(31) Coloro che mangiano
il cibo sacro che resta del sacrificio attingono l'eterno Brahma; questo mondo non è di colui che non offre alcun sacrificio:
come (potrebbe esserlo) un altro (mondo), o ottimo fra i Kuru (Arjuna)?
(32) Così dunque varie forme
di sacrificio si dispiegano nel volto del Brahman.
Sappi che esse tutte nascon dall'operare e, così sapendo, avrai la liberazione.
Conoscere ed Operare
(33) La conoscenza come
sacrificio è maggiore di ogni sacrificio materiale, o distruttor dei nemici;
ogni opera, senza escluderne alcuna assolutamente, interamente si risolve nel
conoscere.
(34) Impara ciò con
sentimento di sottomissione, formulando questioni e con reverente rispetto. Gli
uomini che sanno e che hanno avuto la conoscenza immediata della verità ti
mostreranno l'oggetto del conoscere.
Elogio del conoscere
(35) E quando tu avrai
conosciuto questo, non cadrai di nuovo, o Pandava,
nella confusione (di prima); per questo mezzo potrai vedere gli esseri tutti
senza esclusione, nel Sé, quindi, in Me.
(36) Anche se tu fossi
il piú (grande) peccatore di tutti i malvagi, potrai passare attraverso ogni
peccato e superarlo, con il solo mezzo della nave del conoscere.
(37) Come il fuoco che
arde riduce in cenere ciò che lo alimenta, o Arjuna, così il fuoco del conoscere riduce in cenere tutte le
opere.
(38) Non si conosce su
questa terra mezzo di purificazione che sia pari al sapere; colui che ha
raggiunto la perfezione yogica lo trova, coll'andar del tempo, nel suo proprio
sé, come qualcosa che gli appartiene.
La fede è necessaria per il raggiungimento della conoscenza
(39) Colui che ha fede,
che ha ciò (la conoscenza-sapienza) per fine supremo, colui che ha il controllo
dei sensi consegue la conoscenza-sapienza e, avendo conseguito la conoscenza, ben
presto raggiunge la pace suprema.
(40) Ma colui che è
completamente privo di conoscenza, colui che non ha fede, che ha l'animo
dubbioso, perisce. Per colui che ha l'animo dubbioso non c'è né questo mondo,
né un altro, non c'è felicità.
(41) Le opere non
vincolano colui che ha rinunciato alle opere attraverso lo yoga, che ha
distrutto i dubbi attraverso la conoscenza e che ha il dominio di sé, o
possessore della ricchezza.
(42) Perciò, dopo aver
tagliato con la spada della conoscenza questo dubbio che ha preso sede nel tuo
cuore e che è opera dell'ignoranza, ricorri allo yoga e sorgi, o Bharata.
Tale è il quarto capitolo intitolato
"Lo Yoga del Conoscere - Sapere".
(Jnana Yoga)
Capitolo
V
La
vera rinuncia
Samkhya e Yoga portano allo stesso fine
Ariuna disse:
(1) Tu lodi, o Krsna, (nel contempo) la rinuncia alle
opere e poi anche lo yoga (che comporta la loro realizzazione senza
attaccamento). Quale delle due cose sia migliore (che una dov'essere), dimmi,
come cosa ben stabilita.
Il Signore Beato disse:
(2) La rinuncia alle
opere e il compierle senza intenzione egoistica son cose, tutte e due, che
danno luogo a quella felicità della quale non c'è una maggiore. Ma dei due
(termini dell'alternativa) il compiere le opere senza intenzione egoistica è
superiore alla (pura e semplice) rinuncia alle opere (stesse)
(3) Colui che non odia,
che non ha desideri deve essere chiaramente conosciuto come colui che è sempre
permeato dello spirito della rinuncia; in quanto è esente dalla dualità, o eroe
dal braccio possente, egli è facilmente libero da legame.
(4) Gli sciocchi
proclamano che il Samkhya e lo Yoga
sono due cose separate, ma non così proclamano coloro che sanno. Colui che si
dedica in modo compiuto anche ad una (sola dottrina), ottiene il frutto di
tutte e due.
(5) Quella condizione
che è attinta da coloro che seguono la via della rinuncia (e della conoscenza
intellettiva), essa appunto è raggiunta anche dagli uomini che seguono la via
dell'operare. Colui che vede essere una sola (via) le vie della rinuncia e
dell'azione, quello appunto vede (veramente).
(6) Ma la rinuncia, o
uomo dalle braccia possenti, difficile è da ottenere senza lo Yoga. L'asceta
che si dedica alla via dello yoga (del karmayoga),
attinge ben presto l'Assoluto.
(7) Colui che
dedicandosi costantemente alla via dello Yoga ha l'animo puro, colui che ha
vinto se stesso, che è signore dei sensi, il cui sé è divenuto il sé di tutti
gli esseri, anche se opera, non è macchiato (dal suo operare).
(8-9) "Io non
faccio in realtà cosa alcuna": così può pensare colui che ha raggiunto
l'unità con il divino e che conosce la verità delle cose; vedendo, udendo,
avvertendo sensazioni tattili, percependo odori, gustando sapori, camminando,
dormendo, respirando, parlando, respingendo, afferrando, aprendo gli occhi,
chiudendoli, pur nell'atto di far tutto ciò, si rende conto del fatto che sono
i sensi a volgersi intorno agli oggetti dei sensi.
(10) Colui che opera,
dopo aver rinunciato all'attaccamento, deponendo le sue opere in Brahma, lui appunto non è macchiato dal
peccato, così come foglia di loto non (è toccata) dall'acqua.
(11) Gli yoginah (qui, coloro che seguono la via
dell'azione) compiono le loro opere con il corpo, con la mente, con la capacità
discriminatrice intellettiva o anche soltanto coi sensi, rinunciando
all'attaccamento, per purificare i loro sé individuali.
(12) Colui che realizza
lo yoga secondo questi principii, rinunciando al frutto del suo operare,
raggiunge la pace che non vacilla, ma colui che cosi non realizza lo yoga,
essendo condizionato dai suoi desideri e restando attaccato al frutto
dell'azione, subisce (di conseguenza) la legge del vincolo.
(13) L'anima incarnata,
col rinunciare a tutte le azioni per un atto interiore, padrona di sé, a suo
agio dimora nella città dalle nove porte, senza operare e senza far operare.
(14) Il Sommo non crea
ciò che dà luogo agli atti, non gli atti stessi che gli uomini compiono, non
(crea) la connessione del frutto con l'opera (che ne è condizione); ma la
natura stessa delle cose esprime (tutto ciò).
(15) Colui che tutto
compenetra non assume su di sé il merito di alcuno, né di alcuno il peccato. La
conoscenza è avvolta nell'ignoranza; per questo, le creature sono smarrite.
(16) Coloro negli
spiriti dei quali l'ignoranza è distrutta dalla conoscenza, di costoro la
conoscenza manifesta, simile a sole splendente, l'Essere SOMMO.
(17) Coloro che hanno lo
spirito pieno di Quello, che a Quello volgono le anime loro, che su Quello si
fondano, che hanno Quello per fine principale (della loro pietas) attingono una
condizione dalla quale non si torna indietro, essi che per mezzo della
conoscenza fanno cader via le sozzure.
(18) I saggi son tali da
vedere con lo stesso occhio un brahmano, di sapienza e modestia dotato, una
vacca, un elefante, un cane e un uomo che (non appartiene a casta alcuna) mangi
carne di cane.
(19) Anche in questo
mondo qui la condizione mondana è vinta da coloro il cui spirito si fonda sul
perfetto equilibrio. Brahma è esente
da macchia ed è identico a sé; di conseguenza essi sono saldamente fondati
nella realtà divina.
(20) Non ci si deve
rallegrare nell'ottenere ciò che ci piace, né rattristare per aver in sorte ciò
che non ci piace: colui che (in questo modo) è fermo nell'intelletto, fermo
nell'animo, lui che conosce il Brahman,
nel Brahman saldamente è fondato.
(21) Colui che non ha
l'animo attaccato alle sensazioni relative agli oggetti esterni, trova quella
felicità che ha sede nel Sé. Questi, che per mezzo dell'azione yogica, ha
raggiunto l'equilibrio nel Brahman,
gioisce di una imperitura felicità.
(22) Quei piaceri, quali
che siano, che nascono dal contatto con gli oggetti, sono soltanto fonte di
dolore, hanno un principio ed una fine, o figlio di Kuntì; di essi non gode il saggio.
(23) Chi è capace di
aver la meglio, anche in questo mondo, sugli impulsi del desiderio e dell'ira,
prima della liberazione dal corpo, quegli appunto è uno che ha raggiunto
l'equilibrio interiore, quegli è un uomo felice.
La pace che sgorga dal di dentro
(24) Colui che possiede
la felicità interiore, che possiede la letizia interiore ed è, parimenti,
dotato di una luce interiore, quello yogin,
sustanziato di Dio, attinge la divina beatitudine.
(25) Conseguono la
divina beatitudine i santi veggenti i cui peccati sono ridotti a nulla, il cui
ondeggiare fra due termini è spezzato (i cui dubbi sono fugati), che hanno
raggiunto l'equilibrio spirituale e che provano piacere nel bene di tutti gli
esseri.
(26) Presso gli asceti
che si sono liberati del desiderio e dell'ira, che hanno sottomesso i loro
spiriti e che conoscono il Sé si trova la beatitudine Brahmanica.
(27-28) Rendendo del
tutto estranee le percezioni relative agli oggetti esterni, e concentrando lo
sguardo fra le due sopracciglia, rendendo uguali ispirazione ed espirazione
moventisi all'interno delle narici, il saggio che ha vinto i sensi, l'animo, la
capacità discriminante, che è tutto fisso al fine della liberazione, che si è
liberato del desiderio, del timore, dell'ira, quello appunto davvero è per
sempre libero.
(29) Ed avendo
conosciuto me come colui che gode dei sacrifici e delle penitenze, gran signore
del mondo intero, amico di tutti gli esseri, raggiunge la pace.
Questo è il quinto capitolo intitolato
"Lo Yoga della rinunda all'azione".
(Karmasamnyasa Yoga)
Capitolo
VI
Il
vero Yoga
Rinuncia e azione sono una sola cosa
Il Signore beato disse:
(1) Colui che compie
l'opera, che deve compiere, senza prendere in considerazione il frutto
dell'opera stessa, quegli è il vero samnyasin
(operatore di rinuncia), quegli è il vero yogin (che agisce nella rinuncia), non colui che non accende il
fuoco sacro e che non compie i riti.
(2) Ciò che chiamano
rinuncia sappi essere attività nell'autocontrollo, o Pandava, che in nessun modo può diventare uno yogi (attivo nell'autocontrollo) chi non ha messo da parte i suoi
desideri egoistici.
Il mezzo ed il Fine
(3) L'agire è detto
essere il mezzo del saggio desideroso di attingere lo yoga; la calma profonda è
detta essere il mezzo di colui che si è elevato ad attingere lo yoga.
(4) Quando l'asceta non
è piú, in verità, attaccato agli oggetti sensibili ed alle opere ed ha
rinunciato a tutti i suoi desideri egoistici, allora si dice che si è elevato
ad attingere lo yoga.
(5) Che (l'uomo) elevi
se stesso per mezzo di se stesso; che egli non degradi se stesso; solo il Sé è
amico del sé, solo il Sé è nemico del sé.
(6) Il Sé è amico del sé
di colui, per il quale il sé è stato vinto dal Sé, ma contro colui che non
possiede il Sé, quello che è il Sé autentico in ostilità si potrà volgere, come
nemico.
(7) Il Sé sommo di colui
che ha conseguito vittoria sul suo sé e che ha (di conseguenza) raggiunto la
serenità (del dominio di sé) è tutto inteso a se stesso, nel freddo nel caldo
nella felicità nella sventura, e ugualmente nell'onore e nel disonore.
(8) Lo yogin la cui anima si soddisfa della
sapienza e della conoscenza, immutabile, padrone dei sensi, per il quale un
pugno di terra, un sasso, un pezzo d'oro sono la stessa cosa, si dice aver
raggiunto l'equilibrio yogico.
(9) Colui che ha lo
stesso atteggiamento spirituale nei confronti degli amici e dei compagni, dei
nemici e degli indifferenti, degli imparziali, di quelli che hanno odio e di
quelli che sono parziali, nei confronti dei santi e ugualmente dei peccatori,
quegli si distingue (fra tutti).
Ha importanza fondamentale il controllo continuo dello
spirito e del corpo
(10) Lo yogin deve continuamente fissare la
mente sul Sé universale, in solitudine restando, tutto solo, nel dominio del
proprio spirito, esente da desideri e libero dal desiderio di appropriarsi di
qualcosa.
(11) Dopo aver fatto
mettere in un posto pulito il suo solito seggio, non troppo elevato né troppo
basso, coperto di erba, di una pelle d'antilope, di una veste, una cosa
sull'altra,
(12) allora, messosi sul
seggio, fissando la mente su un unico punto, avendo messo sotto controllo le
attività del pensiero e dei sensi, che egli pratichi lo Yoga per la
purificazione del sé.
(13-14-15) Sempre allo
stesso modo mantenendo immoti il corpo la testa e il collo, stando fermo,
guardando fissamente la punta del proprio naso e senza guardare lo spazio
d'intorno, coll'animo tranquillo e senza paura, saldo nel voto di castità
dell'aspirante brahmano, dopo aver
domato la sua psiche, col pensiero a me fiso, coll'animo in armonia sieda, col
pensiero a me solo intento. Lo yogin che ha sottomesso il suo animo, tenendo
sempre se stesso così armonizzato, raggiunge la pace, il supremo nirvana, che in me ha la sua sede.
(16) Ma lo Yoga non è in
verità di colui che troppo mangia, né di colui che non mangia affatto (che
troppo si astiene dal mangiare); non è di colui che ha l'abitudine del troppo
sonno o di colui che (troppo) veglia, o Arjuna.
(17) Dell'uomo che è
misurato negli alimenti e nel riposo, di colui che appropriatamente agisce
negli atti della vita, di colui che con misura dorme e sta sveglio, diventa
proprio lo Yoga che distrugge la differenza.
Lo Yogi perfetto
(18) Allorchè la mente
che ha raggiunto l'equilibrio è fondata sul Sé e solo su di esso, esente da
desideri, da tutte le passioni, si dice allora che ha raggiunto l'equilibrio
yogico.
(19) Come una lampada
che sta al riparo dal vento non si muove, cosi è dello yogin che ha sottomesso
il suo spirito e che realizza l'unione col Sé.
(20) Ciò in cui il
pensiero si ferma, bloccato dalla pratica della meditazione, ciò in cui
(l'asceta) vedendo il Sé attraverso il sé, gode del Sé,
(21) ciò che egli
conosce quale suprema gioia, accessibile alla capacità discriminativa e al di
sopra dei sensi e in cui una volta presa stabile dimora non si muove dalla
verità,
(22) quella conquista
della quale l'asceta, una volta che l'abbia ottenuta, pensa che non possa
esservi una superiore, nella quale, una volta presa stabile dimora, non è piú
scosso neanche dalla sciagura che è di per sé la piú grave;
(23) si conosca come
quello che chiamano Yoga questo distacco dalla somma delle cose che danno
dolore; questo Yoga dev'essere realizzato con sicurezza e con animo per nulla
afflitto (sereno).
(24) Rinunciando a
tutti, senza eccezione, i desideri che sorgono dalla brama egoistica, con la
mente tutti i sensi frenando da ogni parte,
(25) che egli a poco a
poco cessi di agire, per mezzo della capacità discriminatrice sostenuta dalla
fermezza; avendo la mente fissa sul Sé, non pensi ad alcuna altra cosa.
(26) Per qualsiasi cosa
la mente si manifesti esagitata ed instabile, frenandola, la conduca sottomessa
solo al Sé eterno.
(27) Perché la felicità
somma sopravviene allo yogin dallo
spirito calmo, le cui passioni si siano calmate e che, senza macchia, è
divenuto una cosa sola con Brahma.
(28) Lo yogin che si è liberato di ogni
sozzura, cosi tenendo il sé in costante armonia, con facilità esperisce
l'infinita beatitudine del tatto di Brahma.
(29) Colui il cui sé ha
raggiunto l'armonia dello yoga pensa il Sé in tutti gli esseri e tutti gli
esseri nel Sé, dappertutto egli vede (o immediatamente pensa) nello stesso
modo.
(30) Per colui che vede
me dappertutto e vede tutto in me io mai non perisco né mai lui perisce per me.
(31) Lo yogin che nell'unità stando onora me
come in tutti gli esseri presente, in me vive, da qualsiasi parte si volga.
(32) Colui che
dappertutto considera ugualmente in simiglianza di se stesso, (prendendo se
stesso come punto di riferimento per giudicare gli altri nello stesso modo),
sia per le cose piacevoli sia per le spiacevoli, quello è considerato uno yogin perfetto, o Arjuna.
Il controllo del manas (insieme degli agglomerati psichici)
è difficile ma è possibile
Arjuna disse:
(33) Di questo yoga che
da te è spiegato in termini di armonia dello spirito, o Madhusudana, non vedo lo possibilità di una fondazione stabile, a
causa dell'irrequietezza del manas
(delle forze psichiche).
(34) Perché l'insieme
delle forze psichiche è irrequieto, o Ksrna,
è dotato di forza disgregatrice, è forte, è difficile da rimuovere. La
possibilità di controllarlo io penso sia tanto poco agevole, quanto poco lo è
controllare il vento.
Il Signore Beato disse:
(35) Senza dubbio, o
signore dal forte braccio, il manas
(il complesso delle forze psichiche) è difficile da controllare ed è
irrequieto; tuttavia, o figlio di Kuntí,
se ne può aver ragione per via d'esercizio e con la pratica. Dell'Indifferenza.
(36) Lo yoga è difficile
da realizzare, così io penso, da parte di uno che non ha il controllo di sé;
invece, può esser realizzato da parte di uno che, avendo l'animo domato, si
sforzi con i propri mezzi.
Arjuna disse:
(37) Colui che, sebbene
partecipe di fede, non riesca a realizzare l'ascesi, avendo l'animo che
trascorre via dallo Yoga, non potendo raggiungere la perfezione yogica, per
quale via deve andare egli o Krsna?
(38) Non è forse vero
che colui che ha fallito e l'una e l'altra via perisce come una nuvola
dispersa, senza che possa appoggiarsi ad alcunché, o eroe dal braccio possente,
(e vaga) smarrito sulla strada che porta al Brahman?
(39) Tu, o Krsna, dovresti dissipare completamente
questo mio dubbio, che davvero altri all'infuori di te non esiste, che sia in
grado di dissiparlo.
Il Signore beato disse:
(40) O Partha, né in questo mondo né
nell'altro può egli perire; perché nessuno che operi nobilmente percorre, mio
caro, la strada della sventura.
(41) Avendo raggiunto il
mondo dei bene-operanti (e quivi) per molti e molti anni avendo dimorato, colui
che (per l'addietro) ha abbandonato la via dello Yoga, di nuovo rinasce nella
casa di quelli che son mondi da macchia e son ricchi di qualità.
(42) Oppure nasce nella
stirpe degli yoginah che sono saggi:
ché in verità una nascita del genere è piú difficile da ottenere nel mondo.
(43) In questa
condizione egli riassume i modi della concentrazione interiore, che erano già
appartenuti alla vita anteriore, e attraverso di essi ancora di piú si sforza
per la perfezione, o gioia dei Kuru.
(44) Da quella sua
pratica anteriore egli è trascinato (ad operare yogicamente) senza che egli
possa nulla in contrario; anche colui che desidera la conoscenza yogica sfugge
ai limiti della sacra parola vedica.
(45) Ma lo yogin completamente mondo da peccati,
che lotta con sforzo continuo, perfezionandosi attraverso parecchie nascite,
con questi mezzi raggiunge il supremo fine.
Lo Yogin Perfetto
(46) Lo yogin è superiore agli asceti; e anche
rispetto a quelli che conseguono la conoscenza è ritenuto superiore lo yogin; anche degli uomini che compiono
i riti lo yogin è superiore: per
questo diventa uno yogin, o Arjuna.
(47) E di tutti gli yoginah colui che rende culto a me,
pieno essendo di fede, con il sé interiormente in me rifugiato, quello appunto
è da me ritenuto essere colui che meglio ha realizzato lo Yoga.
Questo è il sesto capitolo che è intitolato
"Lo yoga della meditazione".
(Dhyana Yoga)
Testo tratto
dall'edizione Ubaldini (Roma, 1964): Traduzione del testo sanscrito di Icilio
Vecchiotti. (Sono state apportate alcune piccole modifiche qua e là nel testo a
seguito della comparazione con altre versioni del poema.)
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