Capitoli VII-XII
Indice
Capitolo primo - Esitazione e angoscia di Arjuna
Capitolo secondo - Teoria Samkhya e Pratica Yoga
Capitolo terzo - Il Karma Yoga o la via nell'agire
Capitolo quarto - La via della conoscenza
Capitolo quinto - La vera rinuncia
Capitolo sesto - Il vero Yoga
Capitolo settimo - Dio e il mondo
Capitolo ottavo - Il processo dell'evoluzione cosmica
Capitolo nono - Il Signore è superiore alla creazione
Capitolo decimo - Dio è la fonte di tutto: conoscere Lui è
conoscere tutto
Capitolo undicesimo - La trasfigurazione del Signore
Capitolo dodicesimo - La fede nel Dio personale è superiore
alla meditazione sull'Assoluto
Capitolo tredicesimo - Intorno al corpo, detto il campo,
all'anima, chiamata il conoscitore del campo e alla differenza fra l'uno e
l'altra
Capitolo quattordicesimo - Il padre mistico degli esseri
Capitolo quindicesimo - L'albero della Vita
Capitolo sedicesimo - La natura del divino e lo spirito demoniaco
Capitolo diciassettesimo - I tre guna applicati ai fenomeni
religiosi
Capitolo diciottesimo - Conclusione
Capitolo VII
Capitolo VII
Dio
e il mondo
Dio è natura e spirito
il Signore Beato disse:
(1) Questo ascolta, o Partha, come (cioè) senza dubbio
conoscerai me pienamente, in me l'animo intendendo, realizzando lo Yoga (e) in
me avendo il rifugio.
(2) Io ti farò partecipe
di questa sapienza e della giusta conoscenza che l'accompagna: quando uno abbia
questa sapienza nessun'altra cosa resta in questo mondo, che debba ancora
essere conosciuta.
(3) Fra mille uomini è
difficile che pur uno soltanto si sforzi di raggiungere la perfezione e di
coloro che pur si sforzano e raggiungono la perfezione, è difficile che pur uno
riesca a conoscermi in verità.
Le due nature del Signore
(4) La terra, l'acqua,
il fuoco, l'aria, l'etere, il manas
e la capacità discriminante, il senso di sé, tutto questo costituisce la mia
natura in otto forme divisa.
(5) Questa è la (mia)
realtà inferiore relativa a questo mondo qui. Conosci però l'altra mia
superiore natura, che consiste nella vita, o eroe dal forte braccio, da cui questo
mondo è sostenuto (nell'essere).
(6) Renditi conto del
fatto che tutti gli esseri hanno questa origine. Io sono l'Origine del mondo
intero e ne sono nel contempo la dissoluzione.
(7) Superiore a me non
c'è cosa alcuna, o possessore della ricchezza, tutto questo mondo è intessuto
su di me, come perle (legate) in un filo.
(8) lo sono nelle acque
il sapore, o figlio di Kuntí, nella
luna e nel sole io sono la luce; sono la sillaba sacra AUM in tutti i Veda,
sono il suono nell'etere e negli uomini la virilità.
(9) E nella terra sono
il puro profumo e nel fuoco l'ardente splendore, in tutti gli esseri sono la
vita e negli asceti la penitenza.
(10) Sappi, o Partha, che io sono il seme eterno di
tutti gli esseri; io sono il discernere di coloro che del discernimento
partecipano, dei gloriosi la gloria io sono.
(11) E sono la forza dei
forti, da desiderio e da passione libera. Negli esseri sono il desiderio che
alla giustizia del dharma non si
oppone, o ottimo fra i Bharata.
(12) E quali che siano
le condizioni dell'essere, armoniose, appassionate, tenebrose, sappi che esse
da me, tutte, provengono: io non sono in esse, ma esse sono in me.
I modi della natura sono motivo di confusione per gli uomini
(13) Tutto questo mondo,
tratto in inganno da queste condizioni dell'essere determinate dalle qualità,
non riconosce me che sono superiore ad esse ed imperituro.
(14) In realtà questa
mia divina potenza creatrice, che si realizza nelle tre qualità, è difficile da
superare. Coloro (però) che cercano rifugio in me, soltanto, riescono a
superarla.
La condizione di coloro che fanno il male
(15) Coloro che fanno il
male, incoscienti come sono, gente vile fra gli uomini, la cui facoltà
conoscitiva è rapita dall'illusione e che partecipa di demoniaca natura, non
cercano e non trovano in me rifugio.
Le diverse specie della devozione
(16) Gli uomini che
fanno il bene, (che sono, essendo) di quattro specie, onorano me, o Arjuna: l'uomo caduto in disgrazia,
l'uomo che cerca la conoscenza, l'uomo che cerca la ricchezza e l'uomo che
possiede la sapienza, o ottimo fra i Bharata.
(17) Di costoro il
saggio che è sempre unito alla divinità, che ha devozione per colui che è
l'Unico e il Solo, è il migliore; sommamente caro invero al saggio io sono, ed
egli lo è a me.
(18) Nobili sono per
certo tutti costoro, ma il saggio è davvero il Sé, io giudico; avendo egli
raggiunto il perfetto equilibrio yogico, in me trova il suo rifugio, come meta
suprema.
(19) Al termine di molte
vite, l'uomo che è dedito alla conoscenza a me ricorre, (sapendo che) Vasudeva è tutto (ciò che esiste). Una
siffatta grande anima è difficile da trovare.
La tolleranza
(20) Quelli che hanno la
facoltà discretiva rapita da vari desideri, ricorrono ad altre divinità ,
osservando uno un rito, l'altro un altro, a ciò portati dalle loro proprie
nature.
(21) Qualsiasi entità
determinata un devoto desideri con fede venerare, la fede di lui io rendo
immutabile e salda.
(22) Realizzando in sé
quella fede, egli cerca di rendersene propizio l'oggetto (la divinità
particolare, rappresentativa della divinità in senso speculativo - N.T.) e da
esso ottiene (l'adempimento dei) suoi desideri, adempimento che soltanto io
stabilisco.
(23) Ma ben presto ha un
termine il frutto (realizzato da) questi uomini di corta intelligenza; coloro
che onorano gli dei, agli dei si rivolgono, ma i miei devoti vengono a Me.
L'ignoranza come potere
(24) Gli uomini privi
d'intelletto pensano Me, l'Immanifesto, come caduto nel (regno del) la
manifestazione, non avendo conoscenza della mia realtà superiore, che è senza
mutamento e tutte le cose sopravanza.
(25) Poiché sono celato
dal mio (stesso) potere creativo, non posso essere a tutti manifesto. Questo
illuso e confuso mondo quaggiù non conosce Me, il non-nato, immutabile.
(26) Io conosco gli
esseri che passarono, gli esseri che ora trascorrono, gli esseri che saranno,
ma non c'è alcuno che conosca Me.
(27) Tutti gli esseri in
questo mondo della manifestazione, o uccisor dei nemici, cadono nell'illusione,
o Bharata, a causa del turbamento
dovuto agli opposti, prodotti dal desiderio e dall'odio.
L'oggetto della conoscenza
(28) Ma gli uomini che
compiono azioni meritorie, nei quali il principio del male, che prima vi
dimorava, è venuto meno, liberi dal turbamento prodotto dagli opposti, onorano
Me, fedeli ai loro voti religiosi.
(29) Coloro che a Me
consacrandosi, lottano per la liberazione dalla vecchiaia e dalla morte, questi
appunto conoscono l'Assoluto in tutto e per tutto, (conoscono) il Sé Primo e il
karma (il principio dell'agire)
esente da imperfezioni.
(30) Coloro che
conoscono Me come quello che rappresenta l'essenza degli esseri e del divino e
che rappresenta l'essenza del sacrificio, quelli appunto, realizzando la
concentrazione nel loro spirito, conoscono Me anche nel momento del loro
andarsene (da questo mondo) (anche nell'ora della morte).
Questo è il settimo capitolo intitolato
"Lo yoga della sapienza e della conoscenza
distintiva".
(Jnanavijnana Yoga)
Capitolo
VIII
Il
processo dell'evoluzione cosmica
Domande poste da Arjuna
Arjuna disse:
(1) Che cos'è il Brahman? Che cos'è il Sé Primo? Che
cos'è il "principio dell'azione", o ottimo fra gli uomini? Che cos'è
che si chiama essere originario? Che cos'è che è chiamato "divino
originario"?
(2) Che cos'è che
costituisce il sacrificio supremo in questo corpo quaggiù e come, o Madhusudana (uccisore di Madhu)? E come nell'ora della dipartita
puoi essere tu conosciuto da coloro che hanno domato se stessi?
Le risposte di Krsna
Il Signore beato disse:
(3) Il Brahma è l'indistruttibile, il Supremo;
Sé originario è chiamata l'essenza fondamentale di ciascuno e di tutti;
conosciuta e distinta come karma
(principio dell'agire) è la forza creatrice che dà origine all'esistenza degli
esseri.
(4) La natura mutevole
(l'esser-reale mutevole) è il fondamento che dà origine a tutte le cose che
esistono; lo spirito universale è il fondamento che dà origine a tutte le cose
che hanno natura divina; ed io stesso soltanto sono quaggiù appunto nel corpo,
l'origine dei sacrifici, o ottimo fra gli esseri in un corpo.
L'anima va nell'atto della dissoluzione corporea a
realizzare quella condizione alla quale è, in quel momento, disposta
(5) Colui che, al
momento di morire, ha la mente a me solo rivolta, lasciando il corpo, e (cosí)
compie la sua dipartita, quello appunto viene al mio modo di essere; non c'è a
questo proposito dubbio alcuno.
(6) Quale che sia il
modo di essere al quale uno pone mente, quando alla fine abbandona il suo
corpo, a quel modo di essere appunto o figlio di Kuntì egli perviene, dacché è sempre assorbito nel pensiero di esso
(sempre addiviene col pensiero alla realizzazione di questo modo di essere).
(7) Perciò in tutti i
momenti ricòrdati di Me e lotta (per realizzarmi). Se avrai psiche e intelletto
su me concentrati, a Me soltanto tu verrai, senza dubbio.
(8) Colui che medita
costantemente con il pensiero, che nella pratica incessante (della meditazione)
ha raggiunto l'armonia e altrove non trascorre, (quegli) o Partha raggiunge la Somma Divina Persona.
(9-10) Chiunque mediti
sul Veggente Antico (dell'Origine), colui che guida (l'Universo), colui che è
più sottile del sottile, colui che tutto sostiene, la cui forma non è
pensabile, colui che ha il colore del sole, al di là delle tenebre, al tempo
della sua dipartita, con spirito che nulla riesce a scuotere, con lo spirito in
armonia, e con la forza dello Yoga, facendo ben entrare la forza vitale in
mezzo ai due sopraccigli, (egli) raggiunge la suprema divina Persona.
(11) Io ti descriverò
succintamente quella condizione (spirituale) che i conoscitori dei Veda chiamano ciò che non può perire,
quella (condizione) in cui entrano gli asceti che si son liberati delle
passioni e desiderando la quale, attuano la pratica dell'austerità.
(12-13) Controllando
tutte le porte del corpo e confinando la psiche nel cuore, nel capo collocando
la propria forza vitale, ben fermo nella concentrazione yogica, colui che
pronunciando la sillaba unica e sacra AUM,
(che si identifica con lo stesso) Brahman,
a me cosi ponendo mente si diparte, abbandonando il suo corpo, se ne va alla
meta piú alta.
(14) (Di) colui il cui
pensiero non ha altro oggetto che me e sempre me, colui che in me tiene fissa
la mente in modo continuo, di lui che è uno yogin che ha se stesso sotto assoluto costante controllo io sono, o
Partha, facile preda.
(15) A me essendo venute
le grandi anime, avendo raggiunto la somma completa-perfezione, non vanno a
nuova nascita, a quella che è dimora di sciagura, sede dell'effimero.
(16) A partire dal mondo
di Brahma (non del Brahman) in giú, (tutti i) mondi sono
soggetti a rinascita, o Arjuna, ma
(uno che abbia) raggiunto Me, o figlio di Kuntí,
non conosce nuova nascita.
(17) Coloro che sanno
che il giorno di Brahma ha la durata
di mille età e che la notte (di Brahma)
mille età dura, quegli uomini sono i conoscitori del giorno e della notte.
(18) Tutte le
comanifestazioni dal non-manifestato hanno nascimento al venir del giorno ed
ivi stesso, in ciò che ha nome il non-manifesto, si dissolvono al venir della
notte.
(19) Tutto quest'insieme
degli esistenti appunto, che nasce e torna a rinascere, si dissolve di
necessità al venir della notte, o Partha,
e ritorna all'essere al venire del giorno.
(20) Ma al di là di
questo Immanifestato c'è un altro Essere eterno non manifestato, il quale non
perisce, anche se tutti gli esistenti periscono.
(21) Il Non-manifesto è
chiamato anche colui che non può perire: lo chiamano Condizione suprema; coloro
che lo hanno raggiunto non tornano indietro: quello (costituisce) la mia
suprema dimora.
(22) Siffatto è il
Supremo Purusa, o Partha, che può e deve essere
conquistato per mezzo di una devozione immutevole, in seno al quale tutti gli
esistenti dimorano e dal quale tutto questo mondo è diffuso.
La duplice via
(23) Ma ora, ottimo fra
i Bharata, (ti) dirò in qual tempo
gli yoginah essendo morti,
ritornano, e in quale essendo morti, non ritornano.
(24) (Quando
risplendono) il fuoco, la luce, il giorno, la quindicina chiara della luna, i
sei mesi del cammino del sole verso il cielo del nord, allora gli uomini che
conoscono il Brahman, al Brahman pervengono.
(25) (Quando ci sono) il
fumo, la notte, così come la quindicina buia del mese lunare, i sei mesi del
cammino del sole verso i cieli del sud, allora è il tempo in cui lo Yogi
(essendovi morto) avendo raggiunto la luce lunare, ritorna.
(26) La luce e le
tenebre, tali si pensa che siano gli eterni sentieri del mondo. Per mezzo
dell'uno si va là donde si è liberati dal dover tornare, per mezzo dell'altro
invece si ritorna di nuovo (su questa terra, ossia si è costretti, purtroppo, a
tornarvi).
(27) Lo yogin che conosce questi sentieri, o Partha, non può in alcun modo sviarsi.
Perciò costantemente realizza l'equilibrío yogico, o Arjuna.
(28) Lo yogin essendosi reso conto di tutto
ciò, si rende superiore al frutto delle opere meritorie che è assegnato per lo
studio dei Veda, per i sacrifici,
per le penitenze e per le offerte ed attinge la condizione suprema e
originaria.
Questo è il capitolo ottavo che ha per titolo
"Lo yoga dell'Assoluto che non può perire".
(Aksarabrahma Yoga)
Capitolo
IX
Il
Signore è superiore alla creazione
Il Mistero Supremo
Il Signore Beato disse:
(1) A te che non hai
astio nell'animo, rivelerò la conoscenza-sapienza che è piú segreta e che va
congiunta alla conoscenza analitica conoscendo la quale, sarai libero dal male.
(2) Questa è conoscenza
da re, segreto sovrano, questa è suprema santità, apprendibile per via di
diretta esperienza, in accordo con la legge universale, è facile da attuarsi,
non può perire.
(3) Gli uomini che non
hanno fiducia in questo metodo (in questa legge di vita), o distruttore dei
nemici, senza attingere la mia realtà, ritornano sulla strada della
incarnazione mortale.
Il Signore incarnato come realtà suprema
(4) Da me si diffonde
tutto questo mondo attraverso la mia forma non-manifestata; tutte le cose
trovano in me la loro dimora, ma io non dimoro in esse.
(5) Eppur tuttavia gli
esseri non dimorano in me: considera il mio divino potere; il mio Sé che dà
origine agli esseri è ciò che li sostiene, ma non dimora in essi.
(6) Come la possente aria
in movimento, che continuamente va da ogni parte quaggiú, ha il suo fondamento
nello spazio etereo, nello stesso modo, considera, hanno tutti gli esseri in me
la loro sede.
(7) Tutti gli esseri, o
figlio di Kuntì, alla fine di un kalpa (o ciclo cosmico) tornano alla
mia realtà; e al principio del ciclo successivo di nuovo io li emetto.
(8) Avvalendomi di
quella realtà che è la mia propria, se sempre priva di nuovo emetto tutta
questa molteplicità di esistenti, priva di ogni potere, dal momento che giace
sotto il dispotismo della prakrti o
natura.
(9) E tali atti non mi
vincolano neppure, o possessore della ricchezza, poiché io sto a sedere come
colui che non è impegnato, non essendo io condizionato da attaccamento in
questi atti.
(10) Avendo me come guida,
la natura dà origine all'insieme delle cose mobili e delle immobili; con questo
mezzo (per questa via), o figlio di Kuntì,
il mondo si volge e di nuovo si volge.
La devozione al Supremo reca con sé notevoli ricompense:
forme devozionali minori hanno minori ricompense
(11) Coloro che hanno la
mente offuscata tengono in dispregio me, quando sono entrato in un corpo umano,
perché non conoscono la mia suprema realtà (e cioè me) come signore universale
degli esistenti.
(12) Poiché essi si
fondano sulla natura ingannevole diabolica e demoniaca, sono esseri dalle vane
aspirazioni, dalle azioni vane, dal vano conoscere e sono privi di capacità
giudicativa.
(13) Invece, o Partha, le grandi anime che hanno il
loro rifugio nella natura divina, avendo riconosciuto (in) me l'origine
imperitura degli esseri, mi onorano con mente, che ad altro non può esser
rivolta.
(14) Sempre glorificando
me, compiendo uno strenuo sforzo e rimanendo saldi nei propri voti, e me
onorando con devozione, a me rendono l'omaggio del culto, avendo costantemente
la disciplina dell'animo.
(15) Altri con il
sacrificio della sapienza rendendo a me il culto del conoscere, onorano me come
unità (e), cosa singola per cosa singola, come molteplicità, alla varietà
molteplice delle direzioni volgendo il viso.
(16) Io sono l'offerta
rituale, io sono il sacrificio, io sono l'oblazione resa agli antenati, io sono
l'erba medicinale, io sono l'inno sacro, e sono anche il burro fuso, sono il
fuoco e sono l'oggetto dell'offerta sacrificale.
(17) lo sono il padre di
questo mondo, la madre, colui che lo sostiene e il suo supremo signore; sono
l'oggetto del conoscere (di ogni conoscere possibile), il mezze della
purificazione, la sillaba aum, il rk il sama e lo yajus
ugualmente (io sono anche tutti i Veda).
(18) lo sono la meta, il
sostegno, il signore, il testimone, la dimora, il rifugio, l'amico, io sono il
principio dell'essere e della dissoluzione, la base, il punto di quiete ed il
seme che non può perire.
(19) Io riscaldo; io
trattengo e lascio andare la pioggia; io sono l'immortalità ed anche la morte;
io sono nello stesso tempo l'essere e il non-essere, o Arjuna.
(20) I conoscitori dei
tre Veda, quelli che bevono il Soma e mondi da peccato, a me rendendo
sacrifizi, pregano (di conseguire) la via del cielo; essi, giunti al santo
mondo del signore degli dei, godono in cielo i piaceri degli dei.
(21) Dopo aver goduto
l'ampio mondo del cielo, essendo esaurito il loro merito, tornano nel mondo di
coloro che muoiono; così seguendo la dottrina fondata sui tre Veda, desiderosi di godere, essi
ottengono ciò che viene e va.
(22) Ma a quegli uomini
che hanno Me per oggetto del loro culto e che non si occupano di alcun altro
oggetto nel loro meditare, a costoro appunto che son quelli che sono sempre
devoti, io porto il sicuro possesso e la sicurezza.
(23) Anche coloro che
sono devoti ad altri dei, e, armati di fede, recano loro onore, essi proprio
anche me, o figlio di Kuntì,
onorano, anche se contro la vera norma.
(24) Io sono in verità
colui che gode di tutti i sacrifici ed il loro signore; ma costoro non mi
conoscono in realtà e per questo si perdono.
(25) Coloro che prestano
fede e culto agli dei vanno presso gli dei, coloro che li prestano ai padri,
vanno presso i padri, coloro che sacrificano ai trapassati vanno presso i
trapassati e coloro che sacrificano a me vengono presso di me.
La devozione e le sue conseguenze
(26) Anche se uno con
devozione mi offre una foglia, un fiore, un frutto o dell'acqua, lo accetto una
tale offerta fatta con amore da coloro che hanno l'animo puro.
(27) Qualunque cosa tu
faccia, qualunque cosa tu mangi, qualunque cosa tu offra in sacrifizio,
qualunque cosa tu dia, quali che siano le penitenze che tu pratichi, o figlio
di Kuntì, fa ciò come se si
trattasse di restituirmi qualcosa che io ti abbia dato.
(28) Cosí sarai liberato
dai vincoli dell'operare che producono buoni e cattivi risultati; con la mente
volta allo yoga della rinuncia, tu, libero, potrai raggiungermi.
(29) lo sono identico,
in tutti gli esseri: nessuno mi è odioso, nessuno mi è caro; ma coloro che
rendono a me culto con devozione, quelli appunto sono in Me e io sono in loro.
(30) Se un uomo, che pur
abbia agito sempre in modo spregevole, mi onora cosí da non rivolgersi ad alcun
altro oggetto nella sua pietà, questi appunto deve esser tenuto in conto di
uomo retto; ché in verità egli è uno che è arrivato a una determinazione, quale
si conviene.
(31) Ben presto diventa
uno spirito giusto e raggiunge una pace che eternamente dura; o figlio di Kuntì, sappi (che) colui che mi è fedele
giammai non perisce .
(32) In verità anche
quelli che sono di cattiva nascita, o donne, o vaisyah oppur anche sudrah,
se cercano in me un rifugio, o Partha.
(33) (E) che ancora
(altro potrebbe esservi di diverso per) i virtuosi Brahmani ed ugualmente per i
nobili profeti pieni di devozione? Una volta entrato in questo mondo
dell'impermanenza e del dolore, sii devoto a me.
(34) Abbi la mente a me
fissa; a me sii devoto; a me sacrificando rendi onore; e dopo esserti imposto
la disciplina dello spirito a me verrai, in me avendo l'estremo rifugio.
Tale è il nono capitolo intitolato
"Lo Yoga della Suprema Conoscenza e del Supremo
Mistero".
(Rajavidyarajaguhya Yoga)
Capitolo X: Dio è la fonte di tutto: conoscere Lui è conoscere tutto
Capitolo X: Dio è la fonte di tutto: conoscere Lui è conoscere tutto
Immanenza e trascendenza di Dio
Il Signore Beato disse:
(1) Di nuovo, o eroe dal
forte braccio, ascolta la mia suprema parola; per il desiderio che ho di fare
il bene, io la dirò a te che sei amato (o mio guerriero diletto).
(2) La mia origine non
conoscono gli eserciti degli dei, né i grandi saggi; perché io sono, in tutti i
possibili sensi, l'origine degli dei e dei grandi saggi.
(3) Colui che in me
conosce il non-generato, senza-principio, gran signore del mondo, quegli è fra
i mortali imperturbato e da tutti i peccati è libero.
(4-5) La capacità di
distinguere, la conoscenza, l'andar esenti da smarrimento, la pazienza, il
sincero parlare, la padronanza di sé, la calma interiore, il piacere e il
dolore, il venir ad essere e il non venir ad essere, il timore e
l'intrepidezza, la nonviolenza, l'equilibrio mentale o morale, lo stato di
soddisfazione, la penitenza, la generosità, la gloria, l'infamia (sono) diverse
condizioni degli esseri (che) da me soltanto procedono.
(6) I sette antichi
grandi saggi e i quattro manavah,
ugualmente, sono della mia stessa natura e sono nati dal mio spirito e da essi
sono nati tutti gli esseri di questo mondo.
(7) Colui che conosce in
essenza questa (mia) manifestazione e questo mio potere, quegli è a me unito di
unione sicura; su ciò non v'ha dubbio.
(8) Io sono l'origine di
tutto; da me il tutto si svolge; cosí riflettendo, mi onorano gli illuminati
che possiedono la pura consapevolezza dello spirito.
(9) I loro pensieri sono
a me (rivolti), le loro vite sono a me consacrate; reciprocamente portandosi la
luce dell'intelletto, e di me parlando in continuazione, essi sono soddisfatti
e in me godono.
(10) A costoro, che son
sempre devoti e che a me rendono onore amorosamente, io concedo la
concentrazione dell'intelletto, con la quale possano venir a Me.
(11) Per compassione
verso costoro appunto, io distruggo, rimanendo in quella condizione che mi è
propria, le tenebre che sorgono dall'ignoranza, per mezzo della splendente
fiaccola del conoscere.
Il Signore è la semenza e la perfezione di tutto ciò che
esiste
Arjuna disse:
(12) Tu sei il sommo Brahman, il rifugio sommo, il
purificatore supremo, o Signore (bhavan),
l'eterna divina persona, il primo fra gli dei, colui che non fu generato, colui
che penetra dappertutto.
(13) Te in questo modo
decantano tutti i saggi ed ugualmente Narada
il divino veggente. Asita e Devala e Vyasa (tale ti dicono) e tu stesso anche me lo dici.
(14) Io penso come
pertinente a verità e bontà tutto questo che mi dici, o Kesava; né gli dei né i demoni conoscono la tua manifestazione, o
Beato.
(15) In verità, Tu
conosci te stesso per mezzo di te stesso o Persona Somma, fonte degli
esistenti, Signore delle creature, Dio degli dei, signore del mondo.
(16) Tu mi dovresti dire
senza eccezione le tue divine manifestazioni, per via delle quali, (con le
quali manifestazioni) diffondendoti in questi mondi, vi prendi stanza.
(17) Come potrei
conoscere Te, lo Yogi, costantemente meditando? In quali vari aspetti devi tu
esser pensato da me, o Beato?
(18) Analiticamente
esponi ancora, o Janardana, la tua
potenza e la tua manifestazione; non c'è sazietà in me che odo ciò che è simile
al nettare.
Il Signore Beato disse:
(19) Ebbene, ti esporrò,
si, le mie divine manifestazioni, ma soltanto a proposito degli argomenti
fondamentali, o (tu), ottimo fra i Kuru:
ché non v'ha limite alcuno della molteplicità (al numero) dei miei modi
particolari.
(20) Io sono, o Gudakesa, il Sé che risiede nell'intimo
di tutti gli esseri, io sono il principio, il mezzo, la fine di tutti gli
esistenti.
(21) Degli Adityah io sono Visnu, delle luci io sono il raggio radiante; dei marutah sono Marici: fra i corpi celesti io sono la luna.
(22) Dei Veda io sono il Samaveda; degli dei sono Indra;
dei sensi sono la materia psichica e degli esseri sono la coscienza.
(23) Dei Rudrah io sono Samkara; degli Yaksah e
dei Raksasah (sono) Kubera, dei Vasu io sono Agni e dei
picchi montani sono Meru.
(24) Dei preti
domestici, o Partha, sappi che io
sono il capo, Brhaspati; dei
condottieri io sono Skanda; dei
laghi sono l'oceano.
(25) Dei grandi saggi io
sono Bhrgu; dei suoni articolati io
sono la sillaba unica Aum; delle
offerte io sono l'offerta della preghiera sussurrata, e delle cose irremovibili
io sono Himalaya.
(26) Di tutti gli alberi
io sono l'Asvattha e dei divini
veggenti sono Narada; fra i Gandharvah sono Citraratha e dei perfetti io sono il saggio Kapila.
(27) Dei cavalli, sappi
che io sono Ucchaisravah, nato dal
nettare (dall'ambrosia); dei nobili elefanti sappi che io sono Airavata e degli uomini sappi che io
sono il re.
(28) Delle armi io sono
il fulmine; delle vacche sono la vacca Kamaduh
(la vacca dell'abbondanza); come progenitore io sono Kandarpa; dei serpenti sono Vasuki.
(29) Dei nagah io sono Ananta; di coloro che abitano nel mare sono Varuna; degli avi trapassati io sono Aryama e di coloro che mettono ordine io sono Yama.
(30) Dei figli di Diti sono Prahlada, di coloro che computano io sono il Tempo; fra gli animali
io (sono) il re degli animali e degli uccelli il figlio di Vinata.
(31) Dei purificatori
sono il Vento; dei portatori d'armi (dei guerrieri) io sono Rama; dei pesci sono il coccodrillo,
dei corsi d'acqua sono la figlia di Jahnu
(il Gange).
(32) Delle creazioni io
(sono) il principio e la fine ed anche il punto di mezzo, o Arjuna; delle scienze io sono la scienza
del Sé; di coloro che parlano io sono il dialogo.
(33) Delle lettere sono
la lettera A; dei composti sono il dvandva;
io sono anche il tempo che non può perire; io sono il creatore, il cui volto da
tutte le parti si volge.
(34) Io sono la morte,
colei che di tutto si fa padrona e sono anche l'origine delle cose destinate ad
essere; e degli esseri femminili (io sono) la gloria, il bell'aspetto
dignitoso, l'eloquio, la memoria, l'intelligenza, la sopportazione, la
pazienza.
(35) Ugualmente, degli
inni (sono) il Brhatsaman (il
Vasto), dei metri io (sono) gayatri;
dei mesi (sono) margasirsa e delle
stagioni la produttrice di fiori.
(36-37) Degli
ingannatori sono l'inganno stesso, dei gloriosi la gloria; io sono la vittoria,
sono lo spirito d'iniziativa; io sono la bontà in coloro che sono buoni; dei Vrsni io sono Vasudeva; dei Pandavah
io sono il possessore della ricchezza (ossia lo stesso interlocutore Arjuna - N.T.); dei saggi io sono Vyasa, anche, e dei poeti (io sono) il
poeta Usana.
(38) Di coloro che puniscono
io sono il bastone; io sono la politica saggia di coloro che vogliono vincere;
dei misteri io sono il segreto; io sono la sapienza di coloro che sapienza
conoscono.
(39) Ed ancora, quel che
è il seme di tutti gli esistenti, quello appunto sono io, o Arjuna; né c'è esistente, qualechessia,
che si muova o che non si muova, che possa esistere senza di me .
(40) Non vi è limite
alcuno alle mie divine manifestazioni. o distruttor dei nemici. Ciò che è stato
da me esposto in modo cosí diretto ed esclusivo è soltanto un estendersi della
mia manifestazione.
(41) Tutto ciò che
esiste di possente, di bello, di forte, renditi conto che ha origine da una
particella della mia possanza gloriosa.
(42) Ma che bisogno
potresti avere mai tu, o Arjuna, di
una siffatta molteplice conoscenza? Reggendo io tutto questo universo con una
sola frazione di me stesso, esso resta ben saldo.
Questo è il decimo capitolo che ha per titolo "Lo Yoga della Manifestazione". (Vibhuti Yoga)
Capitolo
XI: La
trasfigurazione del Signore
Arjuna desidera vedere la forma universale di Dio
Arjuna disse:
(1) Dal discorso
concernente il sommo problema, (dal discorso) riguardante il Sé, che tu hai
fatto, in funzione del tuo favore per me, ogni confusione è stata dissolta via
dal mio spirito.
(2) Il sorgere degli
esistenti, il loro sparire, in verità, cosí come la tua grandezza imperitura,
(questi argomenti) hai fatto sí che li ascoltassi in modo dettagliato, o (dio)
dagli occhi di loto.
(3) Ciò che tu hai detto
di Te stesso, o Sommo Signore, proprío cosi è. (Ora) desidero vedere la tua
forma divina (il tuo aspetto celeste), o Sommo Spirito.
(4) Se tu pensi, O
Signore, che io possa vederlo, allora, o Signore dello Yoga, fa' conoscere a me
il tuo Sé imperituro.
La rivelazione del Signore
Il Signore beato disse:
(5) Considera, o Partha, le mie forme, a centinaia,
anzi, a migliaia, molteplici, divine, di vario colore, di varia forma.
(6) Guarda gli Adityah, i Vasu, i Rudrah, gli Asvini ed anche i Marutah; guarda, o Bharata,
le molte meraviglie, per l'innanzi mai viste.
(7) Qui oggi considera
l'intero universo nella concreta unità, nel suo muoversi e nel suo permanere
immobile e qualunque altra cosa, o Gudakesa,
tu desideri vedere nel (l'unità del) mio corpo.
(8) Ma tu non puoi
vedermi con questo occhio che è proprio della tua (umana) condizione; voglio
darti l'occhio soprannaturale; considera ora la mia divina potenza.
Samjaya descrive la Forma
Samjaya disse:
(9) Cosi avendo parlato,
o re, il Gran Signore dello Yoga Hari,
allora manifestò a Partha la suprema
divina forma,
(10) (La forma divina)
dalle molte bocche e dai molti occhi, dalle molte prodigiose visioni, dai molti
divini ornamenti, dalle molte armi divine in alto brandite,
(11) recante ghirlande e
vesti divine, con divini profumi ed unguenti, costituita di tutti i portenti,
sfolgorante, con il volto da ogni parte diretto.
(12) Se la luce di mille
soli si trovasse ad esser sorta tutt'insieme nel cielo potrebbe assomigliarsi
allo splendore (di esso) del Supremo Essere.
(13) Allora il Panduide
vide tutto il mondo, che è in molte parti distribuito (in vario modo
molteplice) in unità (colà) riunito nel corpo del dio degli dei.
Arjuna si rivolge al Signore
(14) Allora lui, il
possessore della ricchezza, caduto in preda allo stupore, con i capelli ritti,
chinando il capo dinanzi al Dio, con le mani giunte, disse:
Arjuna disse:
(15) Nel tuo corpo, o
Dio, io vedo tutti gli dei e cosí anche dei vari esseri le distinte schiere,
(e) Brahma Signore che sta seduto
sul seggio di loto e tutti i saggi profeti e i divini serpenti Nagah.
(16) Io vedo te, che hai
innumerevoli occhi, volti, ventri, braccia, dalla forma che non ha termini da
nessuna parte, ma di te non vedo il termine, non vedo la parte di mezzo, non
vedo il principio, o Signore del Tutto, o Forma universale.
(17) Io vedo te portator
di corona, armato di mazza, armato di disco, massa di luce dappertutto
splendente, difficile da distinguere, (la tua luce non permette di intuire le
determinazioni che porti con te), che dappertutto rechi lo splendore del fuoco
fiammante e del sole, incomparabile;
(18) Tu sei ciò che non
può perire, il Supremo che deve essere conosciuto, Tu sei il supremo rifugio di
questo intero universo; tu sei il guardiano, che non morrà, della legge eterna;
tu sei da me pensato come l'Eterna Originaria Persona.
(19) Io ti vedo come
colui che non ha né principio, né medietà né fine, come colui che ha un
infinito potere, (armato) di innumerevoli braccia, che ha per occhi la luna ed
il sole, che ha per volto il fuoco fiammante, che arde con il suo proprio
splendore tutto questo universo.
(20) Questo luogo che è
a metà fra cielo e terra è soltanto riempito di te e cosí anche tutte le
regioni del cielo. O Grande Spirito (Sé), una volta che abbiano visto questa
tua prodigiosa terribile forma, (ne) sono scossi (ne tremano) i tre mondi.
(21) Questi drappelli di
dei in verità entrano in Te ed alcuni, in preda al terrore, avendo le mani
congiunte (Ti) esaltano; "evviva" dicendo, drappelli di perfetti e di
grandi veggenti a Te inneggiano con inni di splendida esaltazione.
(22) I Rudrah, gli Adityah, i Vasavah, i Sadhyah, i Visve, gli Asvini, i Marutah, i Mani (coloro che assorbono soltanto il profumo delle vivande), e i
drappelli dei Gandharvah, degli Yaksah, degli Asurah e dei Siddhah,
tutti a Te guardano vinti dallo stupore.
(23) Al vedere la tua
grande figura dalle molte bocche e dai molti occhi, o Tu dal braccio possente,
dalle molte braccia, cosce e piedi, dai molti ventri, dai molti terribili
denti, sono scossi i mondi e cosí io anche.
(24) E quando ho visto
Te appunto che tocchi il cielo, sfolgorante, dai molti colori, con la bocca
spalancata e i grandi occhi splendenti, scosso nell'intimo dell'animo (mio) non
trovo piú né saldezza d'animo né pace, o Visnu.
(25) Al veder le tue
bocche dai terribili denti, simili al fuoco del tempo (della distruzione
universale), le direzioni piú non conosco (perdo il senso della direzione) e
non trovo piú un rifugio. Sii benevolo, o Signore degli dei, rifugio dei mondi!
(26) Quelli laggiú, i
figli di Dhrtarastra tutti. insieme
ai drappelli dei signori della terra e cosí anche Bhisma, Drona e il
figlio di Suta (dell'Auriga), cioè Karna insieme con i capiguerrieri che
sono con noi, anche con essi,
(27) entrano precipitosi
nelle tue terribili bocche, da i denti tremendi. Alcuni tenuti fermi in mezzo
ai denti si vedono con le teste già ridotte in polvere (sfracellate).
(28) Come in gran numero
acque correnti di fiumi corrono verso l'oceano a faccia in avanti, cosi codesti
eroi del mondo degli uomini entrano nelle tue bocche che contro si infiammano.
(29) Come i moscerini si
tuffano nel fuoco ardente, con movimento rapido correndo alla loro distruzione,
cosí appunto questi uomini si precipitano velocemente nelle tue bocche per la
loro propria distruzione.
(30) Tu hai leccato via
divorandole da ogni parte tutte le umane stirpi con le tue fauci fiammeggianti.
I tuoi terribili raggi bruciano con il loro ardore tutto l'universo
riempiendolo di esso, o Visnu.
(31) Dimmi chi sei tu, o
Signore, che hai un cosí terribile aspetto. Onore sia a Te, ottimo fra gli dei;
manifesta la tua benevolenza: io desidero conoscere in te l'essere originario,
perché non conosco il modo del tuo operare.
Dio come giudice
Il Signore Beato disse:
(32) Io sono il tempo,
colui che dà luogo alla distruzione del mondo, venuto a maturazione (e) qui
impegnato nella distruzione delle stirpi; anche senza di te (senza il tuo
intervento) non potranno piú esistere tutti i combattenti che (sono qui)
disposti in ostili schiere.
(33) E perciò avanti
sorgi tu, e conquista la gloria; godi, dopo aver vinto i nemici di un ricco
regno. Da me soltanto essi sono già da gran tempo stati uccisi. Sii tu soltanto
lo strumento (di ciò che dev'essere ed è come se fosse già stato) o Savyasacin (capace di servirsi della
mano sinistra).
(34) Uccidi Drona e Bhisma e Jayadratha e Karna e ugualmente gli altri grandi
guerrieri che sono stati da me uccisi a (in realtà). Non aver paura, combatti,
tu vincerai in battaglia i tuoi nemici.
Satkiaya disse:
(35) Avendo udito questo
discorso di Kesava (Krsna), Kiritin (Arjuna) con le
mani congiunte, e tremante, di nuovo rendendo omaggio, disse a Krsna con voce mozza, pieno di paura
inchinandosi:
Il Canto di Lode pronunciato da Ariuna
Arjuna disse:
(36) Ben a ragione, o Hrsikesa, il mondo gode e trova piacere
nel glorificarti. I Raksamsi presi
dal terrore corrono in tutte le direzioni e le schiere dei perfetti ti adorano.
(37) E perché non
dovrebbero rendere omaggio a Te, o Sommo Spirito, a te che sei piú venerando di
Brahma, perfino di lui, e che sei
creatore originario? O Infinito, Signore degli dei, rifugio del mondo! Tu sei
l'Imperituro, l'essere, il non-essere, e ciò che è al di là di questi termini.
(38) Tu sei il primo
degli dei, la persona originaria, Tu sei di questo Tutto la suprema dimora. Tu
sei il conoscitore e ciò che deve essere conosciuto ed il Fine Supremo, e da te
questo Tutto si promana, o Tu dalla forma infinita.
(39) Tu sei Vayu (il Vento), Yama (il dio della distruzione), Agni (il fuoco), Varuna
(il dio del mare) e Sasanka (la
luna) e Prajapati, il gran signore
(di tutte le cose). Salute, salute a Te sia mille volte. Salute e salute a te
di nuovo ancora.
(40) Salute a te sulla
fronte, salute a te sul retro, salute a te da ogni parte, o Tutto; con la tua
forza infinita, con la tua smisurata potenza, tu possiedi nel modo piú completo
ogni cosa e sei pertanto ogni cosa.
(41) Tutte le volte che
è stato da me detto con temerità, poiché pensavo che tu fossi soltanto un
amico, (che è stato detto da me) che ignoravo questa tua grandezza "O Krsna, o Yadava, o compagno", per mia negligenza o anche per amore,
(42) in qualsiasi modo
tu sia stato trattato, o in modo scherzoso sconvenientemente, sia durante il
giuoco ricreativo sia stando a letto o (seduto) su sedia o durante i pasti, o
da solo o invece in presenza di altri, o Incrollabile, di ciò io chiedo perdono
a Te, Immenso.
(43) Tu sei il signore
del mondo, di ciò che si muove e di ciò che non si muove; tu sei l'oggetto del
suo culto e il (suo) maestro venerando. Non c'è alcuno che (Ti) sia uguale;
come potrebbe esserci un altro superiore (a Te), sia pur nei tre mondi, o
Essere dalla possanza incomparabile?
(44) Perciò inchinandomi
e davanti a te prostrando il corpo, io prego per me Te, Signore degno
d'invocazione. Tu devi, o Signore, sopportarmi come un padre il figlio, come
l'amico l'amico, come l'amante l'amata.
(45) Io sono uno che,
gioioso, ha visto ciò che non era mai stato visto per l'innanzi; e l'animo mio
è scosso da terrore. Mostrami ancora o Signore soltanto quella tua forma (di
prima). Sii benevolo, Signore degli dei, rifugio del mondo.
(46) Io desidero vederti
con il diadema, la mazza, il disco in mano proprio ugualmente (come prima);
assumi la tua forma dalle quattro braccia, Tu che hai mille braccia e che
possiedi tutte le forme.
Il Signore elargisce la sua grazia ad Arjuna e lo rassicura
Il Signore Beato disse:
(47) Per mia grazia e
per mezzo del mio potere, ti è stato concesso di vedere la mia forma suprema, o
Arjuna, la (forma) tutta-luce,
universale, infinita, originaria, quella forma nella quale io non sono stato
mai visto da alcuno all'infuori di te.
(48) Non per mezzo dei Veda, né per mezzo dei sacrifici, né
attraverso lo studio, né attraverso le offerte, né per mezzo dei riti, né
attraverso dure penitenze posso io essere visto in questa forma nel mondo degli
uomini da alcun altro che non sia tu, o eroe illustre dei Kuruidi.
(49) Non angosciarti,
non sgomentarti, nel vedere questo mio siffatto terrificante aspetto. Libero da
paura, contento nel cuore, di nuovo osserva questo mio aspetto (quello
universale).
Samjaya disse:
(50) Cosí Vasudeva avendo parlato ad Arjuna, allora (gli) mostrò ancora una
volta la sua forma. E lui che era impaurito consolò la Grande Coscienza dopo
aver di nuovo assunto il suo aspetto placido.
Arjuna disse:
(51) Vedendo questa tua
placida umana forma, o Janardana,
ora proprio son rientrato nel possesso della mia ragione e son ritornato alla
mia natura.
Il Signore beato disse:
(52) Questo mio aspetto,
che, sebbene assai difficile da contemplare, pure, tu hai visto, questo aspetto
anche gli dei bramano continuamente di contemplare.
(53) Non io per mezzo
dei Veda posso essere visto, non per
via di penitenza, non per mezzo di doni, né per mezzo di sacrifici, in questo
aspetto in cui tu ora m'hai visto.
(54) Ma con una
devozione che non tollera mutamento, io posso, o Arjuna, sotto questo aspetto, essere concretamente conosciuto
veduto e compenetrato, o distruttor dei nemici.
(55) Colui che opera in
funzione mia, colui che guarda a me come a suo fine, colui che a me rende
onore, libero da attaccamento, colui che è libero da inimicizia nei confronti
di tutte le creature, quegli me raggiunge, o Panduide.
Questo è il capitolo undicesimo intitolato "La Visione della Forma cosmica". (Visvarupadarsana Yoga)
Capitolo
XII: La
fede nel Dio personale è superiore alla meditazione sull'Assoluto
Devozione e Contemplazione
Arjuna disse:
(1) Quei devoti che,
avendo sempre nell'animo la dedizione, onorano Te e quelli poi che onorano
l'Imperituro e l'Immanifestato gli uni o gli altri (quali) di questi hanno piú
grande conoscenza dello Yoga?
Il Signore Beato disse:
(2) Coloro che volgendo
lo spirito a me, sempre devoti, onorano me, avendo fatto accesso al (regno del)
la fede suprema, quelli appunto io considero i piú perfetti nello yoga.
(3) Ma coloro che
onorano l'Imperituro, indeterminabile, nonmanifestato, onnipresente ed
impensabile, immutabile, immobile, permanente,
(4) controllando tutti i
sensi nel loro insieme, essi che hanno in tutte le condizioni un continuo equilibrio
spirituale, attingono me appunto, trovando piacere nella felicità di tutti gli
esseri.
(5) L'ostacolo (da
superare) per coloro che hanno lo spirito dedito al Non-manifesto è più grande
(di quello che incontrano coloro che si trovano in condizione diversa), perché
il fine che (è rappresentato dal) Non-manifesto è difficile da raggiungere da
parte degli esseri incarnati.
I diversi modi di accostarsi a Dio
(6) Ma (di) coloro che
in me riponendo tutte le loro azioni, a me devoti, con dedizione incessante su
di me meditando, prestano atto di culto,
(7) di costoro, i cui
pensieri sono a me rivolti, io sono il liberatore, (sono colui che li libera)
immediatamente dall'oceano della connessione delle esistenze, a morte votate, o
Partha.
(8) In me solamente
riponi l'animo tuo, in me fa che il tuo intelletto dimori; in me soltanto tu
dimorerai (allora), su ciò non può esservi dubbio alcuno.
(9) Ché se poi non sei
capace di fissare il tuo pensiero su di me stabilmente, cerca allora di
attingermi con l'esercizio della concentrazione, o Dhanamjaya.
(10) Se tu sei incapace
(di far ciò) anche attraverso l'esercizio (della concentrazione), fa' di te
(allora) uno la cui opera sia massimamente a me rivolta; anche col compiere
azioni, avendo me come fine, potrai tu ottenere il compimento.
(11) E se tu non sei
capace ce di fare nemmeno questo, cercando rifugio nella attività in equilibrio
a me rivolta, con il tuo sé sottomesso, rinuncia al frutto di ogni azione.
(12) Migliore è dunque
la conoscenza che la pratica della concentrazione; alla conoscenza è superiore
la meditazione; alla meditazione è superiore la rinuncia al frutto dell'azione;
alla rinuncia segue immediatamente la pace.
Il vero devoto
(13) Colui che non
concepisce inimicizia per alcun essere vivente, che nutre sentimenti amichevoli
e di compassione, che è libero da egoismo ed egocentrismo, che ha un identico
equi librio nel piacere e nel dolore, che è tollerante,
(14) lo Yogi che è
sempre. soddisfatto, che ha lo spirito domo, che è fermamente risoluto, che ha
la mente e l'intelletto su di me fissi, lui appunto, che è a me devoto, mi è
caro.
(15) Colui dal quale il
mondo non è agitato e che non si agita a causa del mondo, colui che è libero da
gioia e da collera, da paura e da agitazione, quello appunto è a me caro.
(16) Colui che intorno a
sé non riguarda come in attesa, che è puro, che è atto all'agire, indifferente,
esente da turbamento, che ha rinunciato ad ogni intrapresa, quello appunto, che
a me è devoto, mi è caro.
(17) Colui che non
gioisce e non odia, non soffre e non spera, che ha rinunciato a ciò che è buono
e a ciò che buono non è, lui appunto, il devoto, mi è caro.
(18) Colui che è uguale
sempre per il nemico e per l'amico, colui che ugualmente si comporta in vista
di onore e d'infamia, che è sempre uguale nel freddo e nel caldo, nel piacere e
nel dolore, colui che è libero da attaccamento,
(19) colui che nello
stesso modo considera il biasimo e la lode, che mantiene il silenzio, che di
qualsiasi cosa è soddisfatto, che non ha dimora fissa , che è saldo nello
spirito, un uomo siffatto, che è a me devoto, mi è caro.
(20) Ma coloro che
seguono questa immortale dottrina come è stato insegnato, con fede, e avendo me
come fine supremo, quei devoti, mi sono cari in modo particolare.
Questo è il dodicesimo capitolo intitolato "Lo Yoga della devozione". (Bhakti Yoga)
Testo tratto
dall'edizione Ubaldini (Roma, 1964): Traduzione del testo sanscrito di Icilio
Vecchiotti. (Sono state apportate alcune piccole modifiche qua e là nel testo a
seguito della comparazione con altre versioni del poema.)
Parte 2 di 3.
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