René Guénon
Introduzione generale allo studio delle dottrine indù
I. Considerazioni preliminari
2. La divergenza
Se si considera quella che si è convenuto chiamare
l’antichità classica e la si paragona alle civiltà orientali, è facile
constatare come essa ne sia meno lontana, almeno sotto certi aspetti, di quanto
lo è l’Europa moderna.
La differenza tra l’Oriente e l’Occidente sembra sia venuta aumentando sempre più, ma questa divergenza è in qualche modo unilaterale, nel senso che soltanto l’Occidente cambiava mentre l’Oriente, generalmente parlando, rimaneva pressappoco quale era all’epoca che si suole considerare antica, e che tuttavia è ancora relativamente recente.
La
stabilità, si potrebbe addirittura dire l’immutabilità, è un carattere che si
riconosce abbastanza concordemente alle civiltà orientali, specialmente a quella
cinese, ma sull’interpretazione del quale è forse più difficile intendersi: gli
europei, da quando si sono messi a credere nel «progresso» e nell’«evoluzione»,
vale a dire da poco più di un secolo, vogliono vedere in ciò un segno di
inferiorità, mentre noi, al contrario, vediamo uno stato di equilibrio, che la
civiltà occidentale ha dimostrato di essere incapace di raggiungere. Questa
stabilità, peraltro, si rivela nelle piccole cose come nelle grandi; prova ne
sia, ad esempio, che la «moda», con le sue continue variazioni, non esiste che
nei paesi occidentali. In definitiva l’occidentale, soprattutto l’occidentale
moderno, si presenta come un essere essenzialmente mutevole e incostante, che
tende soltanto al movimento e all’agitazione, mentre l’orientale presenta il
carattere esattamente opposto.La differenza tra l’Oriente e l’Occidente sembra sia venuta aumentando sempre più, ma questa divergenza è in qualche modo unilaterale, nel senso che soltanto l’Occidente cambiava mentre l’Oriente, generalmente parlando, rimaneva pressappoco quale era all’epoca che si suole considerare antica, e che tuttavia è ancora relativamente recente.
Se si volesse rappresentare figurativamente, con uno schema,
la divergenza di cui parliamo, non si dovranno tracciare due linee che si
allontanano dalle due parti di un asse; bensì l’Oriente dovrà essere
rappresentato dall’asse stesso, e l’Occidente da una linea che, partendo da
questo asse, se ne allontana allo stesso modo di un ramo che si separi dal
tronco, così come poc’anzi abbiamo detto. Questo simbolo sarebbe tanto più
giusto in quanto, almeno a partire dai tempi definiti storici, l’Occidente è
sempre vissuto intellettualmente, nella misura in cui ha avuto
un’intellettualità, di quello che ha desunto dall’Oriente in modo diretto o
indiretto. La stessa civiltà greca non ha affatto avuto quell’originalità che si
compiacciono di proclamare coloro che sono incapaci di vedere più lontano, e
che sarebbero perfino disposti ad affermare che i Greci si sono calunniati
quando riconobbero ciò che dovevano all’Egitto, alla Fenicia, alla Caldea, alla
Persia, e addirittura all’India. Che tutte queste civiltà siano
incomparabilmente più antiche di quella dei Greci non ha la minima importanza
per coloro che, accecati da quello che possiamo chiamare il «pregiudizio
classico», sono pronti a sostenere contro ogni evidenza che tali civiltà sono
debitrici di quella greca e ne hanno subito l’influsso; con costoro è difficile
discutere, precisamente perché la loro opinione riposa soltanto su pregiudizi;
ma su questo torneremo più diffusamente. Se è pur vero che i Greci hanno avuto
una certa originalità, tuttavia non è affatto quella che di solito si crede, e
in quasi null’altro consiste se non nella forma con cui hanno presentato ed
esposto le cose che prendevano in prestito dagli altri, modificandole in modo
più o meno felice per adattarle alla propria mentalità, così dissimile da
quella degli orientali, ed anzi già opposta sotto più di un riguardo.
Prima di proseguire, preciseremo che non intendiamo
contestare l’originalità della civiltà ellenica da un punto di vista a nostro
giudizio più o meno secondario, per esempio il punto di vista dell’arte, ma
soltanto da quello propriamente intellettuale, che nella civiltà ellenica è
d’altronde molto più ristretto di quanto non lo sia presso gli orientali.
Questo impoverimento dell’intellettualità, questo suo rimpicciolirsi, per così
dire, possiamo affermarlo nettamente in un confronto con le civiltà orientali
ancora viventi e di cui abbiamo una conoscenza diretta; e verosimilmente
possiamo affermarlo anche in un confronto con quelle ormai scomparse, basandoci
su tutto quanto possiamo saperne, e soprattutto sulle analogie che
manifestamente esistettero tra queste ultime e le prime. Di fatto, lo studio
dell’Oriente quale è ancor oggi, quando fosse intrapreso in modo veramente
diretto, sarebbe di grande aiuto per la comprensione dell’antichità, appunto a
causa di questo carattere di fissità e stabilità a cui abbiamo accennato;
aiuterebbe pure a capire la civiltà greca, per la quale non possiamo confidare
su una testimonianza immediata, perché anche qui si tratta di una civiltà senza
alcun dubbio morta, e i Greci attuali non possono a nessun titolo essere
considerati i legittimi continuatori degli antichi, dei quali probabilmente non
sono nemmeno gli autentici discendenti.
Bisogna però tenere ben presente che nonostante tutto il
pensiero greco è essenzialmente un pensiero occidentale, e che in esso, insieme
ad altre tendenze, si trovano già l’origine e come il germe di quasi tutte
quelle tendenze che si sono sviluppate molto tempo dopo negli occidentali moderni.
Sarebbe quindi prudente non spingere troppo lontano l’uso dell’analogia che
abbiamo or ora segnalato; ma essa, mantenuta nei giusti limiti, può ancora
rendere considerevoli servigi a coloro che vogliono capire veramente
l’antichità e interpretarla nel modo meno ipotetico, e d’altronde si eviterà
ogni pericolo badando a tenere conto di tutto quello che sappiamo di
perfettamente sicuro sui caratteri specifici della mentalità ellenica. In
fondo, le tendenze nuove che si riscontrano nel mondo greco-romano sono
soprattutto tendenze alla restrizione e alla limitazione, sicché le riserve che
è opportuno fare in un raffronto con l’Oriente devono procedere quasi solo dal
timore di attribuire agli antichi d’Occidente più di quanto non abbiano
veramente pensato: quando si constata che essi hanno preso qualcosa
dall’Oriente, non bisognerebbe credere che lo abbiano assimilato completamente,
né affrettarsi a concludere che vi è identità di pensiero. Vi sono raffronti
numerosi ed interessanti da stabilire, che non hanno equivalente per quel che
riguarda l’Occidente moderno; ma non è meno vero che i modi essenziali del
pensiero orientale sono affatto diversi e che se non si esce dagli schemi della
mentalità occidentale, anche di quella antica, ci si condanna fatalmente a
disconoscere e trascurare quegli aspetti del pensiero orientale che sono
precisamente i più importanti e caratteristici. Siccome è evidente che il «più»
non può scaturire dal «meno», questa sola differenza dovrebbe essere
sufficiente, in mancanza di ogni altra considerazione, a indicare da che parte
si trova la civiltà a cui le altre sono debitrici.
Per tornare allo schema che abbiamo introdotto sopra,
dobbiamo dire che il suo difetto principale, d’altronde inevitabile in ogni
schema, è di semplificare un po’ troppo le cose, perché rappresenta la
divergenza come se fosse aumentata in modo continuo dall’antichità ai giorni
nostri. In realtà in questa divergenza si sono verificate delle battute
d’arresto e anzi in epoche meno lontane l’Occidente ha nuovamente ricevuto
l’influenza diretta dell’Oriente: alludiamo soprattutto al periodo
alessandrino, e anche a ciò che gli Arabi diedero all’Europa nel Medioevo, e di
cui una parte apparteneva loro in proprio, mentre il resto giungeva dall’India;
la loro influenza è ben nota per quanto riguarda lo sviluppo delle matematiche,
ma non si limitò affatto a questo campo particolare. La divergenza tornò ad
accentuarsi nel Rinascimento, dove si produsse una rottura nettissima con
l’epoca precedente, e invero questo preteso Rinascimento fu una morte per molte
cose, anche dal punto di vista delle arti, ma soprattutto da quello
intellettuale; è difficile per un moderno cogliere tutta l’importanza e
l’estensione di quel che si perdette a quell’epoca. Il ritorno all’antichità classica
si risolse in un impoverimento dell’intellettualità, fenomeno paragonabile a
quello già avvenuto precedentemente presso i Greci, ma con la capitale
differenza che esso si manifestava ora nel corso dell’esistenza di una stessa
razza e non più nel passaggio di certe idee da un popolo all’altro; è come se i
Greci, proprio quando stavano per scomparire del tutto, si fossero vendicati
della loro stessa incomprensione imponendo a tutta una parte dell’umanità i
limiti del loro orizzonte mentale. Quando a tale influenza venne ad aggiungersi
quella della Riforma, che d’altra parte non ne fu forse del tutto indipendente,
le tendenze fondamentali del mondo moderno furono nettamente stabilite; la
Rivoluzione, con tutto ciò che rappresenta in differenti campi, e che equivale
alla negazione di ogni tradizione, doveva essere la conseguenza logica del loro
sviluppo. Ma non intendiamo, qui, addentrarci in tutte queste considerazioni,
che rischierebbero di condurci molto lontano; il nostro scopo non è di
illustrare nei dettagli la storia della mentalità occidentale, ma solo di dirne
quanto basta per far comprendere quel che la differenzia profondamente
dall’intellettualità orientale. Prima di esaurire, al riguardo, le nostre
considerazioni sui moderni, dobbiamo ancora tornare ai Greci, per precisare
quanto finora abbiamo solo accennato in modo insufficiente e per sgombrare in
qualche modo il terreno, spiegandoci abbastanza nettamente da troncare certe
obiezioni che sono sin troppo facili da prevedere.
Per ora aggiungeremo soltanto qualche parola sulla
divergenza dell’Occidente in rapporto all’Oriente: continuerà questa divergenza
ad aumentare indefinitamente? Le apparenze potrebbero lasciarlo credere, e allo
stato attuale delle cose la domanda è certo una di quelle su cui si può
discutere; quanto a noi, tuttavia, non pensiamo che ciò sia possibile; ne
esporremo le ragioni nella Conclusione.
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