Il
fondamento divino della futuwwa
secondo Ibn ‘Arabî
La futuwwa
designa innanzi tutto in arabo la qualità di fata: uomo giovane o uomo in forza
dell’età, generoso e pronto a fare dono di se stesso, virtù cavalleresca per
eccellenza. Successivamente, intorno al 3°/9° secolo,
al momento in cui nell’Islam le differenti forme del sapere e di appartenenza
comunitaria si definiscono, la futuwwa ricopre delle realtà complementari. Una, più visibile sul piano sociale in Iran e nel Vicino
Oriente, raggruppa diverse organizzazioni iniziatiche, praticanti sovente le
arti marziali[1] o
legate alle corporazioni di mestiere.
L’altra, più spirituale, si distingue difficilmente dagli ambienti sufi con i quali è in stretto contatto. Abu 'Abd al-Rahman al-Sulami (m. 412/ 1021), che giocò un ruolo decisivo nella trasmissione dell’nsegnamento dei primi sufi alle generazioni successive, se ne fece interprete nel suo Kitâb al-futuwwa[2]. Sotto la sua penna, attraverso le tradizioni profetiche e i detti dei maestri del tasawwuf, la futuwwa appare come la riunione di tutte le virtù. Si ritrova quest’idea nelle Futuhat al-makkiyya, cap. 42 e 146 sulla futuwwa, ciò che non ha nulla di sorprendente perché esiste tra l’opera di Sulami e quella di Ibn ‘Arabî un legame profondo[3].
L’altra, più spirituale, si distingue difficilmente dagli ambienti sufi con i quali è in stretto contatto. Abu 'Abd al-Rahman al-Sulami (m. 412/ 1021), che giocò un ruolo decisivo nella trasmissione dell’nsegnamento dei primi sufi alle generazioni successive, se ne fece interprete nel suo Kitâb al-futuwwa[2]. Sotto la sua penna, attraverso le tradizioni profetiche e i detti dei maestri del tasawwuf, la futuwwa appare come la riunione di tutte le virtù. Si ritrova quest’idea nelle Futuhat al-makkiyya, cap. 42 e 146 sulla futuwwa, ciò che non ha nulla di sorprendente perché esiste tra l’opera di Sulami e quella di Ibn ‘Arabî un legame profondo[3].
Il significato delle tradizioni riportate nel Kitab al-futuwwa si ritrova
implicitamente nelle pagine dello Shaykh al-Akbar. Qushayri (m. 465/1072), di
cui Sulami fu uno dei maestri, riunisce a sua volta nel capitolo della sua Risala sulla futuwwa un insieme di citazioni che si potrebbero classificare
così: preferire l’altro a se stesso, l’eccellenza del carattere, non obbedire
alla propria anima. Al-Hakim al-Tirmidhi, definendo così la futuwwa: «è essere dalla parte del tuo
Signore contro la tua anima»[4] precede Ibn ‘Arabî. All’inizioo del 13° secolo il Califfo
abasside al-Nasir li-din Allah tentò, per rinforzare la sua autorità, di
riunire i due aspetti della futuwwa
con l’aiuto del Gran Maestro dei sufi di Baghdad, Shihab al-Din'Umar
al-Suhrawardi (m. 632/1234-5), un contemporaneo di Ibn ‘Arabî[5]. Le
sue fotowwat-nameh, redatte in
persiano e
amalizzate da H. Corbin[6]
attribuiscono la fondazione della futuwwa
ad Abramo. In effetti di tutti i figli di Adamo, Seth
ereditò la Via interiore, la tarîqa,
che Abramo adattò per coloro che non potevano accoglierne tutte le condizioni e
trasmise a Ismaele[7]. Tuttavia in altri
passaggi, Suhrawardi vede nella futuwwa
"il midollo della sharî'a, della
tarîqa e della haqiqa " (la Legge, la Via e la
Conoscenza metafisica)[8].
Molto diversi nel loro modo d'esposizione i trattati di Suhrawardi ed i due capitoli di Ibn ‘Arabî
tuttavia in fondo convergono.
Se Abramo è considerato come il fondatore della futuwwa, è perché il Corano fa di lui il
modello del fata,
non a causa della sua generosità e della sua ospitalità, ma perché egli osa,
solo di fronte al suo popolo e a costo della sua vita, distruggere gli idoli e
instaurare così il culto del Dio unico (cfr. Corano 21:60). Il capitolo di Ibn ‘Arabî può essere letto come un ritorno verso il significato
più metafisico di questa futuwwa
abramica che consiste a dare a Dio la preferenza assoluta su ogni cosa. I
Compagni della Caverna meritano ugualmente di essere chiamati fitya (pl. di fata) perché essi fuggirono l’idolatria del loro popolo (cfr. Corano
18:10, 13). Mentre Abramo restaura la Religione immutabile (al-din al-qayyim), i Compagni della
Caverna, “vizir del Mahdî, la preservano fino alla fine dei tempi.
Il capitolo delle Futuhat su «La Futuwwa, i fityan (altro
pl. di fata), le loro dimore spirituali,
i loro gradi gerarchici e i segreti dei loro poli»[9] sottolineano prima di tutto la forza d’animo, le “nobili
virtù” (makarim al-akhlaq) di questi
esseri spirituali, esplicita la natura della loro eredità abramica e
muhammadiana e identifica i fityan
tra l’élite degli uomini di Dio, i malamiyya
o “uomini del biasimo”. Ci sembra tuttavia più utile di tradurre i due capitoli
sulla nozione spirituale (maqam)
della futuwwa e sull’abbandono o il
superamento di questo maqam[10]. Lo Shaykh al-Akbar, riportando tutte le cose a loro
principio, vi rivela il fondamento divino della futuwwa, ciò che non avevano
fatto i suoi anticipatori. Ne espone anche le conseguenze pratiche; ai suoi
pari fa comprendere che mai il punto di vista iniziatico deve contraddire l’insegnamento
universale della Legge sacra, per non rischiare le più pericolose deviazioni.
Questi capitoli, malgrado
un modo d’espressione specificatamente islamico, possono dunque interessare
ogni forma di rganizzazione iniziatica e questo non per caso se è a proposito
della futuwwa che lo Shaykh precisa
queste regole universali.
Per facilitare la comprensione al lettore poco
familiare con questo genere di testo, si è fatta precedere la traduzione di un
riassunto. In effetti, penetrare un capitolo delle Futuhat esige sempre di seguirne attentamente il cammino, perché
ogni sviluppo, ogni digressione apparente corrisponde a un disegno preciso.
Bisogna anche tener conto del contesto generale della
dottrina islamica, giuridica, teologica o iniziatica. Ogni affermazione deve
essere argomentata e fondata sulla doppia autorità della Legge rivelata (sharî’a) e della ragione (aql). I capitoli che seguono non
scappano a questa regola.
Affermare che la futuwwa è una qualità divina (na't ilahî) non va da sé, perché mai i testi sacri ne
impiegano questo termine, non più di quello di fata, a proposito di Dio. Per provare il suo fondamento divino, lo
Shaykh ricorda l’indipendenza totale di Dio verso le Sue creature, affermata
dal Corano e fondata dalla ragione. Dio non ha dunque bisogno del mondo.
Tuttavia in un altro versetto, egli afferma aver creato i
jinn e gli uomi affinché
L’adorassero. Due tradizioni “sante” (qudsi),
in cui Dio parla in prima persona, vanno ugualmente in questo senso. In una, mosaica, Dio afferma aver creato le cose per l’uomo e
l’uomo, per Sé Stesso; l’altra, muhammadiana, è il celebre hadith: «Ero un
tesoro nascosto e ho voluto essere conosciuto». Ora l’amore suppone una
dipendenza vis-a-vis
dell’amato. Dando un’apparente ragione alla Sua creazione, Dio fa atto di futuwwa. Dà la preferenza all’altro
rinunciando all’isolamento o alla singolarità del Suo Essere (infiradu-hu bi-l-wujud).
Ma Egli evita evita di ricordare all’uomo questo dono
gratuito, dando una ragione alla creazione, perché la futuwwa consiste a manifestare i benefici degli altri e a
nasconderne il senso. A questo proposito la creazione divina è comparata
all’elemosina che il Corano raccomanda di non ricordare, ciò che sarebbe
imbarazzante per il suo beneficiario.
Si vede dunque come la futuwwa abbraccia tutte le “nobili virtù” (makarim al-akhlaq) il cui fondamento è
sempre divino. Suppone ugualmente un’altra qualità che come essa
comprende tutte le altre, l’adab o
attitudine giusta in ogni cosa e più particolarmente, con lo Shaykh al-Akbar,
nell’enunciato della dottrina. Tornando al suo punto di partenza, si constata che se il principio divino della futuwwa è ben provato, il suo nome non è
attestato per Dio. Conviene dunque rispettare l’istituzione divina (tawqîf).
Questa precisazione sull’importanza dell’adab nella maniera di esprimersi a
soggetto di Dio gli permette di abordare la questione
delicata dello shath. L’insistenza
dello Shaykh su questo punto chiarisce la sua concezione della futuwwa. Shath (pl. shatâhâf) significa letteralmente uno “sconfinamento” della parola
che incontra Dio in generale, quando l’iniziato, pieno della Presenza divina,
si esprime in maniera “teofatica”, uscendo così dalla propria natura. Per Ibn ‘Arabî, è una forma d’ignoranza, dunque d’imperfezione. Più
grave ancora sono le shatâhât
attraverso le quali alcuni maestri sembrano affermare la superiorità dei santi
sui profeti o dell’uomo sull’angelo dimenticando la gerarchia degli esseri
stabilita da Dio. Queste due forme di shath
rischiano ancor più ancora che la prima, di sviare ascoltatori non accorti. In
somma, la futuwwa suppone la rinuncia
a ogni pretesa, qualunque essa sia e la sottomissione indefettibile e totale
alla Legge divina.
La futuwwa
dell’uomo deve modellarsi su quella di Dio, senza confondersi con essa. Così
come Dio creaando l’uomo l’ha preferito a Sé stesso,
l’uomo nei suoi rapporti con gli altri, non deve vedere che Dio. Essa non
risiede dunque in una dedizione incondizionata all’altro, non potendo gli altri
che trascinarci verso le contraddizioni e le opposizioni inerenti alla
manifestazione. Ecco perché Abramo incarna nel Corano il modello del fata. Egli si
offre in sacrificio nella fornace e perviene così alla perfetta realizzazione
dell’unità divina.
Che egli abbia o no agito su ordine di Dio, ha
preferito Dio a ogni altro.
È con la Legge rivelata, espressione dettagliata
della Sua volontà e trasmessa dai Suoi inviati che Dio mette l’élite dei Suoi
servitori alla prova di questa preferenza. In nessun caso il servitore deve
preferire le prove della sua ragione o degli svelamenti del suo cuore a uno
statuto fissato dalla Legge sacra. Due esempi, uno positivo, l’altro negativo,
spiegano quest’affermazione. Abu Madyan, che lbn ‘Arabî
considera come suo maestro, si nutriva, lui e i suoi discepoli delle offerte
che gli portavano. Che il nutrimento offerto fosse buono o rozzo, lo
considerava come un dono di Dio. Se gli si offriva del denaro
comprendeva che Dio gli aveva lasciato la scelta del cibo e non comprava allora
che ciò che pensava il più adatto all’anima dei suoi discepoli, vale a dire il
più frugale.
Questo esempio vuol mostrare che per gli uomini
di Dio, la futuwwa consiste nella
scelta la più conforme alla Legge e dunque alla salute dell’anima. Il capitolo
seguente sull’abbandono della futuwwa
spiega perché. Al contrario, quando il servitore è provato da una conoscenza
ispirata che gli rivela il senso di uno tra gli statuti della Legge e e che questo senso sembra in contraddizione con il senso
letterale, mai deve preferire la propria intuizione. Lo Shaykh enumera più tipi
di contraddizioni tra l’aspetto esteriore della Legge e la sua comprensione
interiore che hanno fatto cadere iniziati di alto rango. All’ooposto di Abramo,
essi hanno “preso la loro passione per Dio” dando la preferenza alla loro
intuizione su una legge universale, divina e profetica.
Nel capito sull’abbandono della futuwwa, Ibn ‘Arabî
mostra come uscire dal dilemma. Come in effetti
conciliare la futuwwa che è preferire
l’altro a se stesso e l’obbligo in certi casi di dare la priorità al diritto
della propria anima. La risposta è semplice: basta considerare che la propria
anima appartiene a Dio e che rendendogli ciò che gli è
dovuto, si obbedisce a Dio e alla sua Legge. Preferndo
l’obbedienza a Dio e rinunciando a una concezione troppo limitata della futuwwa. Il conoscente rompe,
sull’esempio di Abramo, l’ultimo idolo che lo separa da Dio.
L’aneddoto del discepolo e delle formiche, preso
senza dubbio dalla Risala di
Qushayri, permette allo Shaykh di rettificare l’insegnamento dei suoi
predecessori. Egli non apprezza che moderatamente la futuwwa raffinata di un discepolo che fa attendere gli invitati del
suo maestro perché delle formiche si trovano sul pasto e che non vuole
disturbarle. La futuwwa per Ibn ‘Arabî sarebbe stata di rispettare il diritto degli ospiti
pur domandando consiglio al suo maestro, ovvero a seguire il comandamento della
Legge e a non far prevalere l’opinione individuale, rispettando questi esseri
vicini a Dio, giacché obbediscono alla loro legge, che sono le formiche.
La futuwwa
esige dunque l’obbedienza a una sola legge, quella di Dio solo, da cui la sua
similitudine con l’amore. Senza l’amore, niente conoscenza,
né creazione, né virtù cavalleresca.
[1]
Vedere l’articolo Futuwwa di Cl.
Cahen e Fr. Taesclmer in L’Encydopédie de
l'Islam, 2° ed.II 983-991.
[2]
Ed. Sulayman Atesh, Ankara 1977; trad. francese e
presentazione di Faouzi Skali, Futuwah,
traite de chevalerie soufie, Paris, 1989.
[3]Sulami
appare a Ibn ‘Arabî quando questi entra nella stazione
della prossimità suprema (maqam al-qurba
'), cf. Futuhat, II, 261, cap.
161 e Les Illuminations de. La Mecque,
p.341.
[4] Risala Qushayriyya, ed. "Abd al-Halim Mahmud, Il Caire, 1972,p.473.
[5] Sul
ruolo di Suhrawardi presso il Califfo
al-Nasir, v. Angelika Hartmann, An-Nasir
li-Din Allah, Berlino-New-York, 1975, p. 240-4.
[6] Traites des
compagnons-chevaliers, recueil de sept Fotowwat-Ndmeh
publicato da Morteza Sarraf, introd. Analitica di H.Corbin, Bibliotheque Iraniemie, Teheran-Paris,
1973, p. 37-58.
[7] Allora che tutte le
catene iniziatiche del tasawwuf rimontano al Profeta e per lui, a Gabriele e ad Allâh, quelle
della futuwwa rimontano sempre per
l’intermediario del Profeta e dei principali profeti, fino ad Adamo.
[8]
Traite des compagnons-chevaliers. p, 50.
[9]
II, 241-4, cap-42.
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