Bhagavad Gîtâ - III
Capitoli XIII-XVIII
Indice
(3) Ascolta da me in breve che cosa sia il campo, quale esso sia, quali ne siano le varie forme e donde sia e quale poi sia lui (il conoscitore del campo) e quale ne sia il potere.
I termini costitutivi del campo
(4) È stato cantato in vario modo dai saggi, in vari inni, separatamente ed anche in espressioni, ben fondate e decisive, degli aforismi sull'Assoluto.
(5) Gli elementi grossolani, il senso di sé, la capacità discriminativa e il non-manifestato, gli undici sensi (i dieci sensi e la mente come realtà psichica), e i cinque oggetti dei sensi,
(6) il desiderio e l'odio, il piacere e il dolore, l'insieme degli organi, l'intelletto, la saldezza di spirito, questo, descritto in breve, è il campo con le sue varie determinazioni.
La conoscenza
(7) Il fatto di non avere una grande opinione di sé, l'essere del tutto liberi da fraudolenza, il non far male a nessuno, la tolleranza, la rettitudine, l'onore reso al maestro, la purezza, la fermezza, il controllo di sé,
(8) l'indifferenza verso gli oggetti sensibili, la negazione di ogni egocentrismo; la percezione del male inerente alla nascita, alla morte, alla vecchiezza, alla malattia, al dolore,
(9) il non-attaccamento, il non nutrire affetti particolari per il figlio, la sposa, la casa e cosí via ed un equilibrio spirituale che mai si smentisce rispetto agli eventi desiderati come a quelli non-desiderati,
(10) una devozione verso di me non soggetta a sviamenti, per mezzo di una disciplina spirituale che ad una cosa sola è intesa, il fatto di dimorare in luoghi separati, il non trovar gusto nella folla,
(11) la perenne continuità della conoscenza del Sé originario, l'intuito concretamente conoscitivo della verità, questo è dichiarato essere conoscenza autentica e tutto ciò che è diverso è non-conoscenza.
(12) Descriverò ciò che deve essere conosciuto e conoscendo il quale si fruisce dell'immortalità. (È) il Sommo Brahma senza principio; esso è detto essere né esistente né non-esistente.
Il conoscitore del campo
(13) Esso, con le mani e i piedi dappertutto, con gli occhi, le teste e i volti da tutte le parti, con orecchie da tutti i lati, nel mondo, tutto avvolgendo, dimora.
(14) Esso è quello che appare come avente tutte le qualità sensibili e di tutti i sensi è tuttavia privo, è senza attaccamento (rispetto a tutte le cose) epperò è quello che sostiene tutte le cose, libero dalle qualità della prakrti, gioisce però delle qualità stesse.
(15) Esso è al di fuori e al di dentro degli esseri. È immobile e tuttavia mobile; a causa della sua finezza non può essere conosciuto; è lontano eppure, esso, è vicino.
(16) È indiviso eppure è come uno che fosse diviso fra gli esseri. Esso dev'esser conosciuto come quello che sostiene le esistenze, che le distrugge (inghiotte) e di nuovo le crea.
(17) Esso è anche la Luce delle luci; è detto essere al di là delle tenebre; (è) la conoscenza, l'oggetto della conoscenza, il fine della conoscenza. Esso ha sua sede nel cuore di ogni essere.
Il frutto della conoscenza
(18) In questo modo si è parlato in breve del campo, ed è ugualmente della conoscenza e dell'oggetto della conoscenza. Colui che è a me devoto e che ha compreso questo, diventa atto alla mia realtà.
Natura e Spirito
(19) Sappi che la prakrti e il purusa sono tutti e due senza principio; e sappi inoltre che le forme derivate e i modi hanno origine dalla prakrti.
(20) La natura è detta compimento dell'effetto (e) mezzo per quanto riguarda l'atto stesso dell'agire, il purusa è detto il mezzo in rapporto alla possibilità di godere gioie e patire dolori.
(21) L'anima che ha sede nella natura fruisce dei modi sorti dalla natura. L'attaccamento ai modi (alle qualità) è causa elle sue nascite in matrici buone o cattive
(22) Il Sé sommo in questo corpo è detto il Testimone, il Consenziente, colui che sopporta, colui che esperisce, il grande Signore, la somma Persona.
(23) Colui che cosí conosce il purusa e la prakrti insieme con i modi, in qualsiasi modo egli agisca, non nasce di nuovo.
Le differenti strade per la salvezza
(24) Con la meditazione alcuni intuiscono il Sé nel sé per mezzo del sé; altri per mezzo dello yoga della conoscenza; altri poi attraverso la via delle opere.
(25) Altri invece, che di ciò nulla sanno, avendone ascoltato e appreso da altri, compiono atto religiosamente valido; ed essi appunto superano la morte, per esser devoti a ciò che hanno udito.
(26) In qualsiasi modo qualsiasi essere abbia nascimento, che sia immobile o che si muova, sappi, o ottimo fra i Bharata, che esso (è nato) dall'unione del campo e del conoscitore del campo.
(27) Colui che vede il Sommo Signore come dimorante ugualmente in tutti gli esseri, tale che non perisce, pur se essi periscono, quegli, realmente, vede.
(28) Infatti, vedendo il Signore ugualmente dappertutto stabilmente presente (solidamente stabilito) non fa torto al Sé (autentico) con il suo sé; e quindi raggiunge il fine supremo.
(29) Colui che vede che le azioni in qualsivoglia forma sono fatte soltanto dalla natura e parimenti vede che il Sé non è esso ad agire, quello veramente vede.
(30) Allorché egli scorge che la molteplice condizione degli esseri si fonda sull'Uno e che da esso (si attua) il suo estendersi, allora egli attinge il Brahman.
(31) Questo supremo Sé imperituro, poiché è senza-principio, poiché è privo di qualità, pur avendo sede in un corpo, o figlio di Kuntì, non agisce e non è macchiato.
(32) Come l'etere che tutto pervade a causa della finezza non è macchiato, cosi appunto il Sé, che è presente in tutto ciò che sia corpo (dappertutto in un corpo) non patisce alcuna macchia.
(33) Come un unico sole illumina (fa divenire visibile) questo mondo intero, cosi il signore del campo rende visibile l'intero campo, o Bharata.
(34) Coloro che cosí intuiscono con l'occhio della conoscenza la distinzione fra il campo e il conoscitore del campo e la liberazione degli esseri naturali (dalla natura stessa), raggiungono il Supremo.
Questo è il tredicesimo capitolo intitolato "Lo Yoga della distinzione fra il campo e il conoscitore del campo". (Ksetraksetrajnavibha Yoga)
Capitolo XIV: Il padre mistico degli esseri
La Conoscenza Suprema
il Signore beato disse:
(1) lo ti esporrò di nuovo la conoscenza che è somma fra le conoscenze, coll'apprender la quale tutti i saggi son potuti passare da questo mondo qui alla perfezione suprema.
(2) Rifugiandosi in questa conoscenza e addivenuti a identità di attributi con me, nemmeno nell'atto in cui le cose sono create essi nascono, né patiscono turbamento alcuno al tempo della dissoluzione (delle cose).
(3) Il grande Brahma è la mia matrice; in lui io getto il mio seme e da esso procede l'origine di tutte le cose, o Bharata.
Bontà (rajas) Passione (sattva) Tenebra (tamas)
(4) Quali che siano gli esseri aventi una forma, che abbiano nascimento in qualsiasi matrice, o figlio di Kuntì, il grande Brahma è la loro matrice, io sono il padre che getta il seme.
(5) I tre guna (o qualità) che hanno origine dalla natura e cioè la bontà, la passione, la tenebra vincolano nel corpo, o eroe dal forte braccio, l'eterno che nel corpo dimora.
(6) Tra di essi, il sattva, a causa della sua purezza, è ciò che dà la luce della conoscenza, è ciò che dà la salute. (Esso) vincola, o eroe senza-macchia, per mezzo dell'attaccamento alla felicità e dell'attaccamento alla conoscenza.
(7) Il rajas sappi che è della natura dell'attrazione e che sorge dalla brama e nell'attaccamento; (esso) lega in modo solido, o figlio di Kuntì, colui che si è incarnato in un corpo, per mezzo dell'attaccamento all'operare.
(8) Sappi però che la tenebra (tamas) è nata dall'ignoranza e che ha la capacità d'illudere tutti gli esseri-in-un-corpo; essa vincola fortemente, o Bharata, per mezzo della negligenza, dell'indolenza, del sonno.
(9) Il sattva tiene vincolati alla felicità, il rajas all'agire, o Bharata, ma la tenebra, col suo avviluppare la conoscenza, tiene vincolati alla negligenza.
(10) Prevalendo sul rajas e sul tamas, o Bharata, il sattva sorge; (ugualmente) la passione ha luogo, (quando abbia superato) bontà e tenebra; ed ancora la tenebra si realizza, (quando abbia avuto la meglio su) bontà e passione.
(11) Allorché per tutte le porte nel nostro corpo ha nascimento, nel suo splendore, la conoscenza, allora appunto si può aver per manifesto che il principio della bontà ha acquistato vigore.
(12) L'avidità, il darsi da fare, l'intraprendere attività, l'irrequietezza il piacere che si prova nel fare, queste cose sorgono, o migliore fra i Bharatidi, quando è aumentato il rajas.
(13) La mancanza di luce spirituale, l'inattività, la negligenza, il puro smarrimento psichico, tutte queste cose sorgono, o delizia dei Kuruidi, quando è aumentata la tenebra.
(14) Allorché invece l'anima incarnata incorre nella dissoluzione, avendo acquistato vigore il sattva, allora mette le orme in mezzo a coloro, i puri, che conoscono il Supremo.
(15) Allorché incorre poi nella dissoluzione, quando prevale il rajas, è generato allora fra coloro che sono attaccati all'operare; e se poi incontra la morte, quando prevale la tenebra, è generato nelle matrice di coloro che hanno gli spiriti confusi.
(16) Il frutto dell'azione buona dicono essere non-impuro e della natura della bontà; invece il frutto della passione è il dolore, il frutto della tenebra mentale e psichica è l'ignoranza.
(17) Dalla bontà sorge la conoscenza, dalla passione il desiderio, la negligenza e la confusione sorgono dalla tenebra e cosí anche l'ignoranza.
(18) In alto si levano quelli che nella bontà hanno loro stabile sede; nelle regioni di mezzo hanno sede i dominati dalla passione; quelli che partecipano del principio della confusione hanno sede nelle regioni infime, appartenendo alla qualità inferiore.
(19) Allorché colui che vede non scorge fattore attivo diverso dai modi e conosce anche ciò che è al di là dei modi, egli appunto attinge il mio essere.
(20) Allorché l'anima incarnata si eleva al di sopra di questi tre guna che sorgono dal corpo, essendo libera da nascita morte vecchiaia dolore, attinge l'eternità.
Le note essenziali di colui che è al di sopra dei tre guna
Arjuna disse:
(21) Per mezzo di quali note è (determinato) colui che si è levato al di sopra dei tre guna, o Signore? Quale (è) la sua condotta? E come riesce egli a superare i tre guna?
(23) Colui che stando seduto come uno che non è toccato (da ciò che avviene), non è affettato dai modi, e che non si muove
(24) Colui che ugualmente considera dolore e piacere, che è saldamente fondato nel suo stesso sé, che nello stesso modo considera una zolla di terra, una pietra, un pezzo d'oro, che ugualmente considera ciò che piace e ciò che non piace, colui che è fermo nel suo spirito, che considera uguale e biasimo ed elogio (che gli siano tribuiti);
(25) Colui che è lo stesso nell'onore e nel disonore, che è lo stesso verso gli amici e verso quelli che sono (del partito dei) nemici, colui che rinuncia a tutte le imprese, quegli (appunto) è detto colui che ha superato le tre qualità (guna).
(26) Colui che mi onora con costante amorosa devozione ed amore, quegli appunto superando codesti tre guna, è atto a (attingere) l'essenza di Brahma.
(27) Infatti io sono il fondamento del Brahman immortale e imperituro e dell'eterna legge e della beatitudine assoluta.
Questo è il quattordicesimo capitolo intitolato "Lo Yoga della differenziazione dei tre guna". (Gunatrayavibhaga Yoga)
Capitolo XV: L'albero della Vita
L'albero cosmico
Il Signore Beato disse:
(1) Parlano dell'imperituro asvattham (albero baniano) come di quello che ha verso il basso i rami e verso l'alto le radici; del quale le piume (le foglie) sono i testi vedici: e colui che lo conosce è (pertanto) un conoscitore del Veda.
(2) In basso e in alto sono estesi i suoi rami, alimentati dai modi (dell'esistenza), aventi come germogli gli oggetti materiali, e in basso, nel mondo degli uomini, si sono prolungate le sue radici, (che sono) legate alle azioni.
(3) La sua forma (effettiva) non è qui, cosi, percepita, né la sua fine, né il suo principio, né il suo fondamento. Dopo aver troncato l'asvattha dalla radice ben cresciuta, con la solida arma del non-attaccamento,
(4) allora, si dovrà cercar quella strada, dalla quale piú non tornano indietro quelli che vi sono arrivati, (pensando) "io cerco rifugio in Lui soltanto, nella Persona originaria, donde si è sviluppato l'antico processo del mondo".
(5) Coloro che sono esenti da orgoglio e da smarrimento spirituale, che hanno vinto la colpa, che consiste nell'attaccamento, che sono sempre assorti nel Sé originario, che hanno rinunciato ai desideri, che son liberati dalle dualità rappresentate dalla coscienza del piacere e del dolore, tornano, senza smarrirsi, a quella condizione che non avrà mai termine.
La vita della manifestazione è soltanto una parte della vita
(6) Il sole non Lo illumina, e cosí nemmeno la luna ed il fuoco; esso è il mio supremo rifugio, dal quale quelli che vi giungono piú non ritornano.
Il Signore come vita dell'Universo
(7) Un frammento della mia realtà, nel mondo della vita, divenuta che sia un'anima individuale, eterna, (a sé) trae i sensi, fra i quali è la psiche come sesto organo, (sensi) che si fondano sulla natura.
(8) Quando il Signore si assume un corpo e quando l'abbandona, (egli) prende questi (i sei organi di senso) e va, cosí come il vento (porta via) i profumi dal luogo (ove stanno).
(9) Entra in rapporto con gli oggetti dei sensi, impiegando l'orecchio, l'occhio, il tatto, il gusto, l'odorato, cosí come anche le facoltà della mente.
(10) Coloro che hanno l'animo smarrito non vedono Lui che se ne va, che resta, che fruisce dei guna, venendo in contatto con essi; ma lo vedono coloro che hanno l'occhio della conoscenza.
(11) Anche gli yoginah che lottano lo percepiscono come avente sede nel sé, ma quelli che non intendono, i cui spiriti non te hanno raggiunto l'equilibrio (non sono formati), per quanto lottino, non riescono a vederlo.
(12) Quello splendore che proviene dal sole (e) che illumina tutto questo mondo, quello che è nella luna, quello che è nel fuoco, quello splendore, conoscilo come mio.
(13) Col fare il mio ingresso nel seno della terra, sostengo gli esseri con la mia energia (vigorosamente), e, diventando il soma, come nettare gustoso, io nutro tutte le piante benefiche.
(14) Io, diventando il fuoco universale (della vita) e (come tale) entrando nel corpo delle creature viventi, insieme mesco
(15) E io sono installato nel cuore di ognuno; da me nascono la memoria e la conoscenza e cosí anche la negazione loro. Io son colui ancora, che si deve conoscere per mezzo di tutti i Veda; io sono anche colui che ha fatto il Vedanta e anche colui che conosce i Veda .
La Somma Persona
(16) Queste due persone son (quelle che sono) nel mondo, quella peritura e l'imperitura, quella peritura (si identifica con) tutti questi esistenti, ed imperituro si chiama l'immutabile (quello che sta in alto nel mezzo).
(17) Diversa però da questi (è) la Coscienza Altissima, che ha il nome di Sé supremo, il quale entrato nei tre mondi come Signore imperituro, li sostiene.
(18) Allorché ho superato il perituro e sono sommo perfino nei riguardi (superiore a) dell'imperituro, allora io sono celebrato come la Suprema Persona nel mondo e nel Veda.
(19) Colui che, senza smarrirsi, conosce me, la Suprema Persona, quegli è il conoscitore del tutto ed onora me con tutto il suo essere, o Bharata.
(20) Cosí questa dottrina segretissima è stata da me rivelata, o (eroe) senza macchia. Conoscendola (un uomo) potrà diventare saggio e (diventare) uno che ha compiuto il suo dovere, o Bharata.
Questo è il quindicesimo capitolo dal titolo "Lo Yoga della Somma Persona". (Purusottama Yoga)
Capitolo XVI: La natura del divino e lo spirito demoniaco
I caratteri della natura divina
Il Signore Beato disse:
(1) L'assenza di paura, la purezza dell'essenza (dello spirito), il fatto di essere ben stabilito nella conoscenza e nella concentrazione, la generosità, il controllo e il sacrificio, lo studio, la penitenza, la rettitudine,
(2) la non-violenza, la verità, l'andar esenti da ira, la rinuncia, la serenità, il non usare calunnia, la compassione per esseri viventi, l'assenza di bramosia, la dolcezza, il ritegno, la ponderatezza,
(3) il vigore, l'indulgenza, la forza d'animo, la purezza, l'esser liberi da sentimenti ostili (per chiunque), il non sentire troppo altamente di sé sono di colui che è nato per la divina perfezione, o Bharata.
Il demoniaco
(4) L'ipocrisia, l'arroganza, il sentir di sé troppo altamente, l'essere collerico ed anche la rudezza ed ignoranza (sono), o Partha, di colui che è nato per la condizione demoniaca.
Le conseguenze dell'una e dell'altra condizione
(5) La divina perfezione si ritiene che sia per la liberazione e la natura demoniaca in funzione del vincolo (della schiavitù spirituale). Non ti addolorare, o Pandava, tu sei nato per la divina perfezione.
(6) (Ci sono) due generi di esseri creati nel mondo: il divino e il demoniaco; il divino è stato descritto per esteso; ascolta da me, o Partha, (l'esposizione) del demoniaco.
(7) Gli uomini demoniaci non conoscono né la via dell'agire né la via delle rinuncia all'agire; in essi non si trova purezza, né buona condotta, né verità.
(8) Dicono che il mondo sia senza realtà, senza fondamento, senza un Signore, non venuto all'essere secondo una regolare connessione causale, in breve, causato dal desiderio.
(9) Tenendo fermo a questo modo di vedere, gli uomini di corto intelletto, che nuocciono a se stessi, si levano, uomini dagli atti violenti, quali nemici del mondo, per la sua distruzione.
(10) Abbandonandosi a un desiderio che non può essere saziato, pieni di fraudolenza, albagìa, orgoglio, per via d'illusione in sé trattenendo cattive inclinazioni, agiscono avendo una condotta non pura.
(11) Dediti ad un impegno affannoso o senza misura, che ha fine soltanto con la morte, essi che credono che la necessità primaria per l'uomo consista nel soddisfacimento dei desideri e sono convinti che di questo mondo sia l'unica realtà,
(12) legati dai cento e cento vincoli del desiderio, dediti al piacere ed all'ira, cercano di ottenere delle fortune, seguendo un modo di procedere irregolare (ingiusto), pur di soddisfare i loro desideri;
(13) "Oggi son riuscito ad ottenere questo, quest'altro desiderio riuscirò a soddisfare; questa cosa mi appartiene e anche l'altro bene a sua volta sarà mio";
(14) "Questo nemico è stato ucciso da me ed altri anche io ucciderò; io sono il Signore, sono colui che gode, sono fortunato, potente, felice";
(15) "Io sono ricco, sono di nobile stirpe: chi altro c'è che sia simile a me? Io farò sacrifici, farò doni e godrò": cosí (dicono essi) illusi dall'ignoranza.
(16) Agitati dai piú diversi pensieri, avviluppati nella rete dell'illusione, impegnati nella soddisfazione dei loro desideri, cadono in un cupo inferno.
(17) Infatuati di se stessi, pretensiozi, presi dalla superbia e dall'orgoglio della ricchezza, compiono dei sacrifici che sacrifici sono soltanto di nome, in modo del tutto ostentato e senza tener conto delle regole.
(18) Abbandonandosi all'egocentrismo, alla bruta prepotenza, all'orgoglio, e cosi anche alla lussuria ed all'ira, (questi) uomini a tutti nemici son tali da detestare Me (che pur albergo) nei loro stessi corpi e in quelli degli altri.
(19) Questi (uomini) che non fanno che odiare, (questi uomini) crudeli, i piú vili degli uomini, nel succedersi delle nascite e delle morti, io ininterrottamente scaravento, essi, i malvagi, in demoniache matrici.
(20) Caduti in matrice demoniaca questi uomini dalla mente confusa, di nascita in nascita, senza raggiungermi, o figlio di Kuntì, vanno piuttosto, di conseguenza, all'infima delle condizioni.
Le tre porte dell'inferno
(21) Questa porta che mena all'inferno, essa, la distruggitrice del sé particolare ha un triplice accesso (è triplice): (consiste in) passione, ira, avidità. Pertanto, occorre metter da parte queste tre cose.
(22) L'uomo che si è liberato di queste tre porte che menano al regno delle tenebre, o figlio di Kuntì, fa ciò che è meglio per il suo sé, e quindi raggiunge lo stato supremo.
(23) Colui che sdegnando le norme della Scrittura, agisce a seconda delle proprie passioni, non raggiunge né la perfezione né la felicità né lo stato supremo.
(24) Perciò la Scrittura sia la tua norma nella determinazione di ciò che è da fare e di ciò che non si deve fare; conoscendo ciò che è detto nelle norme contenute nella Scrittura, devi compiere in questo mondo l'opera tua.
Questo è il sedicesimo capitolo intitolato "Lo Yoga della distinzione fra le nature divine e le demoniache". (Daivasurasampadvibhaga Yoga)
Capitolo XVII: I tre guna applicati ai fenomeni religiosi
Le tre specie di fede
Arjuna disse:
(1) Di coloro che, dando importanza minore ai precetti scritturali, (pur) pieni di fede, fanno offerta di sacrifici, qual è la situazione o Krsna? Sono essi partecipi del principio della bontà o di quello della passione, o di quello della tenebra?
Il Signore Beato disse:
(2) La fede di coloro che si sono incarnati in un corpo è di tre specie, ognuna di esse avendo origine dalla natura di ciascuno: ossia buona, passionale, tenebresa. Ascolta (dunque il mio discorso su) queste (specie).
(3) La fede di ciascuno è conforme alla sua natura, o Bharata; della natura della sua fede, tale è l'uomo; quale la sua fede in realtà è, tale appunto egli è.
(4) Gli uomini buoni onorano gli dei, quelli dominati dalle passioni onorano i semidei e i demoni e quelli che hanno lo spirito ottenebrato onorano gli spiriti dei morti, ai quali non sono stati ancora resi gli onori funebri, e le tribú degli spiriti.
(5) Quegli uomini che si sottopongono ad una terribile penitenza, non stabilita dalla scrittura, (in quanto) vogliono secondare ipocrisia ed egoismo e sono posseduti dalla violenza della cupidigia e della passione,
(6) essendo privi di senno, compiono un'azione riduttiva sull'insieme di elementi che ha sede nel corpo ed anche su di me in quanto dimoro in un corpo. Sappi che questi sono demoniaci nella loro determinazione.
Le tre specie di cibo
(7) Anche il cibo che è caro a ciascuno è di tre specie; e cosi anche i sacrifici, le penitenze, i doni; ascolta dunque codesta distinzione-classificazione.
(8) I cibi che accrescono la lunghezza della vita, la forza vitale, la forza fisica, la buona salute, la felicità e la piacevolezza (dell'esistere), saporiti, teneri, nutrienti, gradevoli sono cari a quelli che partecipano del sattva.
(9) I cibi amari, acidi, salati, assai caldi, piccanti, aspri, che bruciano, che fanno male, che dànno luogo a pene e ad indigestione, sono preferiti da coloro che son dominati dalle passioni (rajas).
(10) Ciò che è corrotto (che ha fatto il suo tempo), che è privo di sapore, che è putrido, che ha passato il tempo in cui era accettabile, che è stato rifiutato ed è sozzo, questo è il cibo che è caro a chi è nel tamas.
Le tre specie di sacrificio
(11) Quel sacrificio che è offerto, in accordo con le norme scritturali, da coloro che non bramano il frutto e che volgono il loro spirito al fatto che 'è doveroso offrire il sacrificio, quel sacrificio partecipa della bontà.
(12) Ma ciò che è offerto, con la mira al frutto od anche per ostentazione, o ottimo fra i Bharata, sappi che quel sacrificio partecipa del rajas (della passione).
(13) Il sacrificio che è al di fuori della norma, nel quale non è offerto cibo, privo di inni, non accompagnato da doni, ove non è presente la fede, si dice che sia partecipe della tenebra.
Le tre specie di penitenza
(14) Il culto reso agli dei, ai nati due volte, ai maestri, ai saggi, la purezza, la rettitudine, la continenza e l'astensione dal nuocere, (questo) si chiama la penitenza o ascesi del corpo.
(15) Il pronunciar parole che non arrecano turbamento, che rispondono a verità, che sono gradevoli e salutari e l'esercizio di recitazione dei Veda (ciò) è detto (essere) ascesi relativa al discorso.
(16) Calma nella propria psiche, gradevole gentilezza, silenziosa riservatezza, controllo di sé, purezza di spirito, questo ha il nome di ascesi dell'anima.
(17) Questa triplice ascesi, praticata con la fede piú alta da uomini dall'animo fermo e che non abbiano la brama del frutto, è chiamata partecipe del principio della bontà.
(18) Quell'ascesi che è praticata al fine di ottenere gli onori che si rendono alle persone di riguardo e in genere onore e rispetto e per far bella mostra è, nel nostro mondo qui, chiamata partecipe del principio della passione: è sempre mutevole e incostante.
(19) Quella specie di ascesi che è praticata con una infatuazione che deriva da errato concetto, con proprio danno o al fine di distruggere altri, è detta partecipe del tenebroso.
Le tre specie di doni
(20) Quel dono che è fatto a uno che non dà il concambio, (pensando) che questo è un dono che dev'essere fatto, nel luogo giusto e al tempo giusto e a persona degna, quel dono si giudica esser partecipe di bontà.
(21) Ma quel dono che è fatto in funzione di una ricompensa, o con l'animo volto al frutto, come guadagno di ritorno, o controvoglia, è detto essere della natura della passione.
(22) E quel dono che è fatto a tempo e in luogo inopportuni a persone indegne, in modo scortese (o) con disprezzo, è detto essere della natura delle tenebre.
L'espressione mistica: Aum Tat Sat
(23) Il triplice segno di Brahman è considerato essere "aum tat sat". Con esso furono stabiliti in antico i Brahmani, i Veda ed i sacrifici.
(24) Perciò pronunciando (la sillaba) aum, gli atti di sacrificio, dono, penitenza, come prescritti dalle norme scritturali per i fedeli interpreti del Brahman, si praticano sempre per opera loro.
(25) (Pronunciando la sillaba) tat, senza aver la mira al frutto, sono compiuti da coloro che cercano la liberazione i diversi atti del sacrificio e dell'ascesi e i diversi atti del dare.
(26) La sillaba sat è usata col significato di "realtà effettiva" e col significato di "realtà santa"; ed ugualmente, o Partha, la parola sat è usata nel senso di "azione buona".
(27) La fermezza nel sacrificio, nell'ascesí, nel dono è chiamata anche sat ed ugualmente è chiamata sat ogni azione che abbia fini siffatti.
(28) Qualsiasi offerta sia fatta, qualunque dono sia fatto, qualunque atto d'ascesi sia compiuto senza fede ha il nome di asat, o Partha: nulla dopo la morte, nulla in questa vita.
Questo è il diciassettesimo capitolo dal titolo "Lo Yoga della triplice divisione della fede". (Sraddhatrayavibhaga Yoga)
Capitolo XVIII: Conclusione
Si deve praticare la rinuncia non nel senso della rinuncia all'operare bensì nel senso della rinuncia al frutto delle opere
Arjuna disse:
(1) O eroe dal forte braccio, desidero conoscere il vero concetto della rinuncia e dell'abbandono, o Hrsikesa, nei vari modi, o Kesinisudana.
Il Signore Beato disse:
(5) Gli atti che consistono nel sacrifizio nel dono nell'ascesi non devono essere abbandonati (o dismessi), ma devono invece essere compiuti. Perché il sacrificio, il dono, l'ascesi (realizzano) la purificazione dei saggi.
(6) Ma anche queste opere devono essere compiute, abbandonando l'attaccamento e il desiderio del frutto. Tale o Partha, è il mio modo di pensare deciso ed ultimo (o sommo).
(7) Ma il rifuggire da un atto prescritto non è cosa che possa approvarsi; l'astenersi da una cosa del genere, per via di illusione, si dichiara essere della natura del tamas, del tenebroso.
(8) Chi tralasci un'azione (considerando che è) dolorosa, per paura della sofferenza fisica, quegli, compiendo una rinuncia di tipo passionale, non potrà ottenere il frutto della rinuncia.
(9) Ma colui che compia il dovere prescritto (considerando) che "è una cosa che bisogna fare", o Arjuna, mettendo da parte ogni attaccamento e cosi anche la prospettiva del frutto, (realizza) una rinuncia (che) è giudicata partecipe del principio della bontà.
(10) L'uomo saggio che compie la rinuncia, che è compenetrato dal sattva o principio della bontà, i cui dubbi sono dispersi, non odia nessuna azione penosa e non ha attaccamento per il facile operare.
(11) Davvero non è possibile, per chi è fornito di un corpo , rinunciare in tutto e per tutto all'operare. Ma colui che rinuncia al frutto dell'opera, (quegli) è chiamato colui che pratica autenticamente il distacco.
(12) Sgradevole, gradevole, misto: triplice è il frutto dell'operare, per coloro che non hanno compiuto la rinuncia, una volta che siano morti: non ce n'è di alcun genere per coloro che hanno compiuto la rinuncia.
L'operare è una funzione naturale
(13) O (eroe) dal forte braccio, apprendi da me questi cinque principii, per il compimento di tutte le azioni, (come) sono enunciati nella dottrina samkhya.
(14) La base dell'agire ed ugualmente l'agente, lo strumento nelle sue varie specie, i vari tipi di attività separatamente presi e poi l'elemento piú che umano (superiore all'umano) che è il quinto.
(15) Qualsiasi azione l'uomo intraprenda con il corpo, la parola, la mente, (azione) che sia secondo la regola o che vada in senso opposto, cinque sono i suoi fattori.
(16) Cosi stando le cose allora, l'uomo dallo spirito distorto che ritenga se stesso l'agente assoluto, per il fatto che non maturo è il suo spirito, quegli, (in realtà) non vede.
(17) Colui che è libero da ogni (illusorio) sentimento egocentrico, che non ha la facoltà distinguente turbata, anche se uccide in questo mondo, non uccide (in realtà) e non soffre vincolo (per le sue azioni).
La conoscenza e l'azione
(18) La conoscenza, l'oggetto della conoscenza, il soggetto conoscente costituiscono il triplice incitamento all'agire; lo strumento, l'azione e l'agente sono i tre elementi che entrano a costituire ogni azione.
(19) La conoscenza, l'azione e l'agente, secondo la scienza dei guna (delle qualità), si dice che siano di tre specie soltanto, secondo la distinzione dei guna. Ascolta anche di questi, come è buona regola.
Le tre specie della conoscenza
(20) Quella conoscenza per la quale è visto in tutti gli esseri l'unico essere imperituro, indiviso nelle (esistenze) divise, sappi che partecipa della bontà.
(21) Quella conoscenza che conosce vari esseri di diverse sorti in tutti gli esistenti, a causa del loro essere separati, sappi che quella conoscenza partecipa della passione.
(22) Ma quella (conoscenza) che resta appresa ad un singolo effetto, come se fosse il tutto, senza considerare la causa, per il fatto di non tener a ciò che è reale, (quella conoscenza) che è di valore limitato si dichiara essere partecipe del tenebroso.
Le tre specie dell'operare
(23) Quell'azione che appartiene al novero delle prescritte, che è compiuta senza attaccamento, senza amore od ostilità da colui che non cerca di ottenere il frutto, quella è detta partecipe della bontà.
(24) Ma quell'azione che è compiuta, mentre implica sforzo o pena, da uno che vuole la soddisfazione dei suoi desideri oppur anche da uno che sia pieno di sentimento di sé, si dice partecipe della passione.
(25) L'atto che si fonda sullo smarrimento mentale, senza tener conto del rapporto seriale immediato degli eventi, di rovina o di torto (possibile altrui arrecato) e senza considerare le umane possibilità, è detto partecipe della tenebra.
Tre specie di agente
(26) Colui che agisce (essendo) libero da attaccamento, che non parla come (fa) l'egoista, che è pienamente dotato di costanza ed energia, che non è scosso da successo o insuccesso, è detto partecipe della bontà.
(27) Colui che agisce in preda a (varie) brame, che avidamente cerca il frutto dell'azione, (che è in sé) avido, con l'animo di chi vuol fare del male, impuro, con l'animo pieno di gioia o di tristezza, è detto partecipe di qualità passionale.
(28) Colui che agisce senza aver conseguito l'equilibrio, che è volgare, ostinato, falso, sornione, ignavo, depresso e tergiversante si dice partecipe della tenebra.
Le tre specie d'intelletto (facoltà discriminativa)
(29) Ascolta (dunque ora) la triplice distinzione dell'intelletto (come capacità discriminativa) e della ferma costanza spirituale, secondo le qualità, o possessore della ricchezza, enunciata interamente e distintamente.
(30) O figlio di Partha, l'intelletto che conosce il muoversi in avanti (l'agire) e lo starsene immobili, ciò che si deve e ciò che non si deve fare, ciò che si deve e ciò che non si deve temere, ciò che lega e ciò che libera, (quello), è partecipe della bontà.
(31) Ma l'intelletto con il quale (si) conosce in modo improprio il giusto e l'ingiusto, ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare, quello, o figlio di Partha, è in sé passionale.
(32) E l'intelletto che, avviluppato dalle tenebre, pensa che l'ingiusto sia giusto e (concepisce) tutte le determinazioni concrete all'inverso, o Partha, (quello) partecipa della tenebra.
Le tre specie di salda fermezza
(33) La salda fermezza con la quale (uno) regola le attività della mente, del flusso vitale, dei sensi, per mezzo della concentrazione, quella salda fermezza che mai non si svia, o Partha, è partecipe della bontà.
(34) La salda fermezza per mezzo della quale uno che sia desideroso del frutto, in stretta dipendenza da ciò, volge la propria attenzione al dovere, al piacere, alla ricchezza, quella fermezza, o Partha, è del tipo della passione.
(35) La salda fermezza per via della quale lo stolto non lascia (di abbandonarsi al) sonno, alla paura, all'ansia, alla tristezza, all'ebbra eccitazione orgogliosa, o Partha, è (quella) partecipe del principio della tenebra.
Le tre specie di felicità
(36) Ora poi ascolta da me, o ottimo fra i Bharata, le tre specie di felicità (quali siano). Quella per cui (l'uomo) in seguito ad esercizio prende diletto e giunge al termine del suo soffrire,
(37) Quella felicità che al principio è come un veleno ed alla fine rassomiglia al nettare, che nasce dalla chiarezza dell'intendimento del Sé, è detta essere partecipe del principio della bontà.
(38) Quella felicità che nasce dal contatto dei sensi e degli oggetti di senso e che è come nettare al principio, come veleno alla fine, una tale felicità è menzionata come del tipo passionale.
(39) Quella condizione di piacere che al principio e in ciò che ad esso consegue, (rappresenta un) turbamento dell'anima e che è sorta dal sonno profondo, dalla pigrizia, dalla negligenza quella appunto è detta essere partecipe del tenebroso.
I vari doveri determinati dalla natura particolare (svabhava) e dalla condizione sociale particolare (svadharma)
(40) Non c'è (essere) esistente particolare sulla terra o anche fra gli dei in cielo, che sia libero da codesti tre guna che traggono origine dalla natura.
(41) Gli atti dei Brahmani, degli ksatriyah, dei vaisyah e degli sudrah, o distruttor dei nemici, sono distinti a seconda delle qualità che hanno origine nella natura particolare di essi.
(42) La serenità, il controllo di sé, la vita ascetica, la purezza, la tolleranza e la rettitudine sincera, la sapienza, la conoscenza e la pietas, (tale è) l'agire proprio del Brahmano e che trae origine dalla sua stessa natura.
(43) L'eroismo, il vigore, la fermezza, la destrezza, il non fuggire nemmeno nel pieno della mischia, la generosità, avere l'orgoglio del comando, (questo è) l'agire dello ksatriya, (agire) che nasce dalla sua natura stessa.
(44) L'agricoltura, l'aver cura del bestiame, la mercatura (costituiscono) l'agire di un vaisya, (agire) che nasce dalla sua natura stessa; l'operare che ha il carattere del servire è proprio dello sudra e nasce dalla sua stessa natura.
(45) Ciascun uomo, che trova piacere nel proprio lavoro, raggiunge la perfezione Come ciascuno che con impegno compia il proprio lavoro raggiunga la perfezione, questo (appunto) ascolta.
(46) Colui dal quale (si muove) lo sviluppo degli esseri e dal quale tutto questo mondo promana, quello appunto, per mezzo della sua propria opera, l'uomo onorando, raggiunge la perfezione.
(47) Migliore è la legge propria, (per quanto) sprovvista di qualità (che la rendono perfetta), che non l'altrui legge ben praticata. Colui che compie opera ordinata dalla propria natura non commette colpa.
(48) Nessuno deve abbandonare l'opera che gli è connaturata, o figlio di Kuntì, per quanto piena di difetti possa essere, perché in verità tutte le intraprese sono annebbiate da difetti, come il fuoco dal fumo.
Il karmayoga e la perfezione assoluta
(49) Colui il cui intelletto non ha in modo alcuno attaccamento, colui che ha vinto il suo sé (e) che si è liberato dei suoi desideri, attraverso la rinuncia, perviene allo stato di perfezione che è al disopra dell'operare.
La perfezione di Brahman
(50) Colui che ha raggiunto la perfezione, (allora) attinge il Brahman, che è il massimo compimento della conoscenza: (questo) da me ascolta in breve, o figlio di Kunti.
(51) (Essendo) fornito di un puro intelletto, con fermezza controllando se stesso, rinunciando al suono ed agli altri oggetti di senso e respingendo via da sé attrazione e avversione,
(52) menando vita solitaria, mangiando assai poco, padrone della parola, del corpo, della psiche, dandosi sempre alla meditazione ed alla concentrazione e trovando rifugio nell'indifferenza,
(53) tenendo lontano l'egocentrismo, la forza bruta, l'arroganza, il desiderio, l'ira, il possesso, rinunciando all'io e dopo essersi raccolto in pace, è atto a divenire una realtà sola col Brahman.
La devozione suprema
(54) (Essendo) divenuto una cosa sola col Brahman, avendo lo spirito sereno, non ha pene (e) non ha desideri. Uguale verso tutti gli esseri, in me attinge la devozione suprema.
(55) Per mezzo della devozione giunge a conoscermi, come sono e quale io sono in realtà; perciò, avendo conosciuto me in verità, in me immediatamente fa ingresso.
Applicazione di quest'insegnamento al caso di Arjuna
(56) Continuamente compiendo tutte le azioni, purchè in me cercando rifugio, per mia grazia raggiunge l'eterna imperitura dimora.
(57) Risolvendo nel tuo spirito in me le tue opere, a me devoto, ricorrendo alla fermezza dell'equilibrio spirituale, abbi il pensiero costantemente in me fisso.
(58) In me tenendo fiso il pensiero, per mezzo della mia grazia, supererai tutte le difficoltà: ma se poi tu, per dar valore al tuo ego, non mi ascolterai, perirai.
(59) Se, ad alto sentimento del tuo sé abbandonandoti, pensi "non combatterò", questa tua risoluzione (è formulata) invano: sarà la natura stessa a costringerti.
(60) Quello che non desideri fare, per uno smarrimento della tua mente, quello (tu) farai anche contro la tua volontà, costretto dal tuo operare, sorto dalla tua stessa natura, o figlio di Kuntì.
(61) Il Signore, o Arjuna, dimora nella regione del cuore di tutti gli esseri, volgendo intorno tutti gli esseri col suo potere, come se fossero posti su di una macchina.
(62) A lui va' come al tuo asilo, con tutto il tuo essere, o Bharata; attraverso la sua grazia attingerai la pace suprema e l'eterna dimora.
(63) Cosí quella sapienza-conoscenza che è piú segreta di tutti i segreti, è stata da me a te spiegata; rifletti su di essa senza nulla tralasciare e fa (cosí) come preferisci (di fare).
Esortazione finale
(64) Ascolta di nuovo la mia suprema parola, quella che di tutte è la piú segreta; tu sei da me intensamente amato, e ti dirò quindi ciò che per te è buono.
(65) Fissa su di me l'anima tua; sii a me devoto; a me rendi il sacrifizio; a me rendi onore; a me cosí tu verrai e a te prometto la verità, (ché) tu mi sei caro.
(66) Mettendo da canto tutti i doveri, vieni a me (che son) l'unico asilo; non ti affliggere, sarò io a liberarti da tutti i mali.
Il compenso per aver seguito l'insegnamento
(67) Questo (insegnamento) non dev'essere da te assolutamente esposto ad uno che non pratichi penitenze, a uno che non abbia devozione, a uno che mi disobbedisca o (che) mi biasimi.
(68) Colui che spiegherà questo supremo segreto ai miei devoti, per me realizzando una devozione che non ha altra che la superi, a me senza dubbio verrà.
(69) Non ci (potrà essere) fra gli uomini alcuno che compia azione a me piú cara; né ci può essere altri piú caro di lui sulla terra.
(70) E da colui che studierà questo dialogo, che noi due abbiamo condotto secondo i sacri principii, è mio intendimento di essere onorato, attraverso l'ascesi della conoscenza.
(71) E l'uomo che lo ascolti con fede e senza pensieri maligni, quegli appunto, liberato, raggiungerà i mondi felici dove dimorano i virtuosi.
(72) È stato questo (discorso) da te udito con animo fisso su un punto, o Partha? Lo sviamento causato dall'ignoranza è stato esso disperso, o possessore della ricchezza?
Arjuna disse:
(73) Dissolto è il mio smarrimento e da me conquistata la consapevolezza, attraverso la tua grazia, o Incrollabile. Fermo sto, con i dubbi che si son tutti dissolti: quel che tu mi hai detto, io compirò.
Samjaya disse:
(74) Cosí io ho udito questo meraviglioso dialogo fra Vasudeva e il magnanimo Partha, che tale fu da darmi un brivido orripilante.
(75) Per grazia di Vyasa, io ho ascoltato questo segreto supremo, (questo) yoga, proprio dallo stesso Krsna, da lui, il signore dello yoga, che lo spiegava, di persona.
(76) O re, ogni volta che ripenso a questo dialogo meraviglioso e santo di Kesava ed Arjuna, gioisco e torno a gioire.
(77) Ed ogni volta che richiamo alla mente la forma piú che portentosa di Hari, grande è il mio stupore, o re, e gioisco e torno a gioire.
(78) Laddove è Krsna, signore dello Yoga, laddove è Partha, l'arciere, ivi, fermamente credo, sono per certo in modo stabile la fortuna, la vittoria, il benessere, la buona condotta.
Questo è il diciottesimo capitolo intitolato "Lo Yoga della liberazione attraverso la rinuncia". (Moksasamnyasa Yoga)
Qui finiscono gli insegnamenti upanisadici della Bhagavad Gita.
Testo tratto dall'edizione Ubaldini (Roma, 1964): Traduzione del testo sanscrito di Icilio Vecchiotti. (Sono state apportate alcune piccole modifiche qua e là nel testo a seguito della comparazione con altre versioni del poema.)
Capitoli XIII-XVIII
Indice
Capitolo primo - Esitazione e angoscia di Arjuna
Capitolo secondo - Teoria Samkhya e Pratica Yoga
Capitolo terzo - Il Karma Yoga o la via nell'agire
Capitolo quarto - La via della conoscenza
Capitolo quinto - La vera rinuncia
Capitolo sesto - Il vero Yoga
Capitolo settimo - Dio e il mondo
Capitolo ottavo - Il processo dell'evoluzione cosmica
Capitolo nono - Il Signore è superiore alla creazione
Capitolo decimo - Dio è la fonte di tutto: conoscere Lui è
conoscere tutto
Capitolo undicesimo - La trasfigurazione del Signore
Capitolo dodicesimo - La fede nel Dio personale è superiore
alla meditazione sull'Assoluto
Capitolo tredicesimo - Intorno al corpo, detto il campo,
all'anima, chiamata il conoscitore del campo e alla differenza fra l'uno e
l'altra
Capitolo quattordicesimo - Il padre mistico degli esseri
Capitolo quindicesimo - L'albero della Vita
Capitolo sedicesimo - La natura del divino e lo spirito demoniaco
Capitolo diciassettesimo - I tre guna applicati ai fenomeni
religiosi
Capitolo diciottesimo - Conclusione
Capitolo
XIII: Intorno
al corpo, detto il campo, all'anima, chiamata il conoscitore del campo e alla
differenza fra l'uno e l'altra
Il campo e il conoscitore del campo
Arjuna disse:
La prakrti e il purusa, il campo e il conoscitore del campo, la conoscenza e l'oggetto della conoscenza, ciò desidero conoscere, o Kesava.
Il Signore beato disse:
(1) Questo corpo, o figlio di Kuntí, è chiamato il campo, e quelli che sanno chiamano colui che lo conosce il conoscitore del campo.
(2) Conosci me come
conoscitore del campo in tutti i campi, o Bharata.
La conoscenza del campo e del conoscitore del campo, questo io considero come
conoscenza (autentica).Arjuna disse:
La prakrti e il purusa, il campo e il conoscitore del campo, la conoscenza e l'oggetto della conoscenza, ciò desidero conoscere, o Kesava.
Il Signore beato disse:
(1) Questo corpo, o figlio di Kuntí, è chiamato il campo, e quelli che sanno chiamano colui che lo conosce il conoscitore del campo.
(3) Ascolta da me in breve che cosa sia il campo, quale esso sia, quali ne siano le varie forme e donde sia e quale poi sia lui (il conoscitore del campo) e quale ne sia il potere.
I termini costitutivi del campo
(4) È stato cantato in vario modo dai saggi, in vari inni, separatamente ed anche in espressioni, ben fondate e decisive, degli aforismi sull'Assoluto.
(5) Gli elementi grossolani, il senso di sé, la capacità discriminativa e il non-manifestato, gli undici sensi (i dieci sensi e la mente come realtà psichica), e i cinque oggetti dei sensi,
(6) il desiderio e l'odio, il piacere e il dolore, l'insieme degli organi, l'intelletto, la saldezza di spirito, questo, descritto in breve, è il campo con le sue varie determinazioni.
La conoscenza
(7) Il fatto di non avere una grande opinione di sé, l'essere del tutto liberi da fraudolenza, il non far male a nessuno, la tolleranza, la rettitudine, l'onore reso al maestro, la purezza, la fermezza, il controllo di sé,
(8) l'indifferenza verso gli oggetti sensibili, la negazione di ogni egocentrismo; la percezione del male inerente alla nascita, alla morte, alla vecchiezza, alla malattia, al dolore,
(9) il non-attaccamento, il non nutrire affetti particolari per il figlio, la sposa, la casa e cosí via ed un equilibrio spirituale che mai si smentisce rispetto agli eventi desiderati come a quelli non-desiderati,
(10) una devozione verso di me non soggetta a sviamenti, per mezzo di una disciplina spirituale che ad una cosa sola è intesa, il fatto di dimorare in luoghi separati, il non trovar gusto nella folla,
(11) la perenne continuità della conoscenza del Sé originario, l'intuito concretamente conoscitivo della verità, questo è dichiarato essere conoscenza autentica e tutto ciò che è diverso è non-conoscenza.
(12) Descriverò ciò che deve essere conosciuto e conoscendo il quale si fruisce dell'immortalità. (È) il Sommo Brahma senza principio; esso è detto essere né esistente né non-esistente.
Il conoscitore del campo
(13) Esso, con le mani e i piedi dappertutto, con gli occhi, le teste e i volti da tutte le parti, con orecchie da tutti i lati, nel mondo, tutto avvolgendo, dimora.
(14) Esso è quello che appare come avente tutte le qualità sensibili e di tutti i sensi è tuttavia privo, è senza attaccamento (rispetto a tutte le cose) epperò è quello che sostiene tutte le cose, libero dalle qualità della prakrti, gioisce però delle qualità stesse.
(15) Esso è al di fuori e al di dentro degli esseri. È immobile e tuttavia mobile; a causa della sua finezza non può essere conosciuto; è lontano eppure, esso, è vicino.
(16) È indiviso eppure è come uno che fosse diviso fra gli esseri. Esso dev'esser conosciuto come quello che sostiene le esistenze, che le distrugge (inghiotte) e di nuovo le crea.
(17) Esso è anche la Luce delle luci; è detto essere al di là delle tenebre; (è) la conoscenza, l'oggetto della conoscenza, il fine della conoscenza. Esso ha sua sede nel cuore di ogni essere.
Il frutto della conoscenza
(18) In questo modo si è parlato in breve del campo, ed è ugualmente della conoscenza e dell'oggetto della conoscenza. Colui che è a me devoto e che ha compreso questo, diventa atto alla mia realtà.
Natura e Spirito
(19) Sappi che la prakrti e il purusa sono tutti e due senza principio; e sappi inoltre che le forme derivate e i modi hanno origine dalla prakrti.
(20) La natura è detta compimento dell'effetto (e) mezzo per quanto riguarda l'atto stesso dell'agire, il purusa è detto il mezzo in rapporto alla possibilità di godere gioie e patire dolori.
(21) L'anima che ha sede nella natura fruisce dei modi sorti dalla natura. L'attaccamento ai modi (alle qualità) è causa elle sue nascite in matrici buone o cattive
(22) Il Sé sommo in questo corpo è detto il Testimone, il Consenziente, colui che sopporta, colui che esperisce, il grande Signore, la somma Persona.
(23) Colui che cosí conosce il purusa e la prakrti insieme con i modi, in qualsiasi modo egli agisca, non nasce di nuovo.
Le differenti strade per la salvezza
(24) Con la meditazione alcuni intuiscono il Sé nel sé per mezzo del sé; altri per mezzo dello yoga della conoscenza; altri poi attraverso la via delle opere.
(25) Altri invece, che di ciò nulla sanno, avendone ascoltato e appreso da altri, compiono atto religiosamente valido; ed essi appunto superano la morte, per esser devoti a ciò che hanno udito.
(26) In qualsiasi modo qualsiasi essere abbia nascimento, che sia immobile o che si muova, sappi, o ottimo fra i Bharata, che esso (è nato) dall'unione del campo e del conoscitore del campo.
(27) Colui che vede il Sommo Signore come dimorante ugualmente in tutti gli esseri, tale che non perisce, pur se essi periscono, quegli, realmente, vede.
(28) Infatti, vedendo il Signore ugualmente dappertutto stabilmente presente (solidamente stabilito) non fa torto al Sé (autentico) con il suo sé; e quindi raggiunge il fine supremo.
(29) Colui che vede che le azioni in qualsivoglia forma sono fatte soltanto dalla natura e parimenti vede che il Sé non è esso ad agire, quello veramente vede.
(30) Allorché egli scorge che la molteplice condizione degli esseri si fonda sull'Uno e che da esso (si attua) il suo estendersi, allora egli attinge il Brahman.
(31) Questo supremo Sé imperituro, poiché è senza-principio, poiché è privo di qualità, pur avendo sede in un corpo, o figlio di Kuntì, non agisce e non è macchiato.
(32) Come l'etere che tutto pervade a causa della finezza non è macchiato, cosi appunto il Sé, che è presente in tutto ciò che sia corpo (dappertutto in un corpo) non patisce alcuna macchia.
(33) Come un unico sole illumina (fa divenire visibile) questo mondo intero, cosi il signore del campo rende visibile l'intero campo, o Bharata.
(34) Coloro che cosí intuiscono con l'occhio della conoscenza la distinzione fra il campo e il conoscitore del campo e la liberazione degli esseri naturali (dalla natura stessa), raggiungono il Supremo.
Questo è il tredicesimo capitolo intitolato "Lo Yoga della distinzione fra il campo e il conoscitore del campo". (Ksetraksetrajnavibha Yoga)
Capitolo XIV: Il padre mistico degli esseri
La Conoscenza Suprema
il Signore beato disse:
(1) lo ti esporrò di nuovo la conoscenza che è somma fra le conoscenze, coll'apprender la quale tutti i saggi son potuti passare da questo mondo qui alla perfezione suprema.
(2) Rifugiandosi in questa conoscenza e addivenuti a identità di attributi con me, nemmeno nell'atto in cui le cose sono create essi nascono, né patiscono turbamento alcuno al tempo della dissoluzione (delle cose).
(3) Il grande Brahma è la mia matrice; in lui io getto il mio seme e da esso procede l'origine di tutte le cose, o Bharata.
Bontà (rajas) Passione (sattva) Tenebra (tamas)
(4) Quali che siano gli esseri aventi una forma, che abbiano nascimento in qualsiasi matrice, o figlio di Kuntì, il grande Brahma è la loro matrice, io sono il padre che getta il seme.
(5) I tre guna (o qualità) che hanno origine dalla natura e cioè la bontà, la passione, la tenebra vincolano nel corpo, o eroe dal forte braccio, l'eterno che nel corpo dimora.
(6) Tra di essi, il sattva, a causa della sua purezza, è ciò che dà la luce della conoscenza, è ciò che dà la salute. (Esso) vincola, o eroe senza-macchia, per mezzo dell'attaccamento alla felicità e dell'attaccamento alla conoscenza.
(7) Il rajas sappi che è della natura dell'attrazione e che sorge dalla brama e nell'attaccamento; (esso) lega in modo solido, o figlio di Kuntì, colui che si è incarnato in un corpo, per mezzo dell'attaccamento all'operare.
(8) Sappi però che la tenebra (tamas) è nata dall'ignoranza e che ha la capacità d'illudere tutti gli esseri-in-un-corpo; essa vincola fortemente, o Bharata, per mezzo della negligenza, dell'indolenza, del sonno.
(9) Il sattva tiene vincolati alla felicità, il rajas all'agire, o Bharata, ma la tenebra, col suo avviluppare la conoscenza, tiene vincolati alla negligenza.
(10) Prevalendo sul rajas e sul tamas, o Bharata, il sattva sorge; (ugualmente) la passione ha luogo, (quando abbia superato) bontà e tenebra; ed ancora la tenebra si realizza, (quando abbia avuto la meglio su) bontà e passione.
(11) Allorché per tutte le porte nel nostro corpo ha nascimento, nel suo splendore, la conoscenza, allora appunto si può aver per manifesto che il principio della bontà ha acquistato vigore.
(12) L'avidità, il darsi da fare, l'intraprendere attività, l'irrequietezza il piacere che si prova nel fare, queste cose sorgono, o migliore fra i Bharatidi, quando è aumentato il rajas.
(13) La mancanza di luce spirituale, l'inattività, la negligenza, il puro smarrimento psichico, tutte queste cose sorgono, o delizia dei Kuruidi, quando è aumentata la tenebra.
(14) Allorché invece l'anima incarnata incorre nella dissoluzione, avendo acquistato vigore il sattva, allora mette le orme in mezzo a coloro, i puri, che conoscono il Supremo.
(15) Allorché incorre poi nella dissoluzione, quando prevale il rajas, è generato allora fra coloro che sono attaccati all'operare; e se poi incontra la morte, quando prevale la tenebra, è generato nelle matrice di coloro che hanno gli spiriti confusi.
(16) Il frutto dell'azione buona dicono essere non-impuro e della natura della bontà; invece il frutto della passione è il dolore, il frutto della tenebra mentale e psichica è l'ignoranza.
(17) Dalla bontà sorge la conoscenza, dalla passione il desiderio, la negligenza e la confusione sorgono dalla tenebra e cosí anche l'ignoranza.
(18) In alto si levano quelli che nella bontà hanno loro stabile sede; nelle regioni di mezzo hanno sede i dominati dalla passione; quelli che partecipano del principio della confusione hanno sede nelle regioni infime, appartenendo alla qualità inferiore.
(19) Allorché colui che vede non scorge fattore attivo diverso dai modi e conosce anche ciò che è al di là dei modi, egli appunto attinge il mio essere.
(20) Allorché l'anima incarnata si eleva al di sopra di questi tre guna che sorgono dal corpo, essendo libera da nascita morte vecchiaia dolore, attinge l'eternità.
Le note essenziali di colui che è al di sopra dei tre guna
Arjuna disse:
(21) Per mezzo di quali note è (determinato) colui che si è levato al di sopra dei tre guna, o Signore? Quale (è) la sua condotta? E come riesce egli a superare i tre guna?
Il Signore Beato disse:
(22) (Colui che) o Pandava, non ha in odio
l'illuminazione, l'attività e lo smarrimento mentale, quando si sono prodotti,
e non li desidera quando sono venuti meno;(23) Colui che stando seduto come uno che non è toccato (da ciò che avviene), non è affettato dai modi, e che non si muove
(24) Colui che ugualmente considera dolore e piacere, che è saldamente fondato nel suo stesso sé, che nello stesso modo considera una zolla di terra, una pietra, un pezzo d'oro, che ugualmente considera ciò che piace e ciò che non piace, colui che è fermo nel suo spirito, che considera uguale e biasimo ed elogio (che gli siano tribuiti);
(25) Colui che è lo stesso nell'onore e nel disonore, che è lo stesso verso gli amici e verso quelli che sono (del partito dei) nemici, colui che rinuncia a tutte le imprese, quegli (appunto) è detto colui che ha superato le tre qualità (guna).
(26) Colui che mi onora con costante amorosa devozione ed amore, quegli appunto superando codesti tre guna, è atto a (attingere) l'essenza di Brahma.
(27) Infatti io sono il fondamento del Brahman immortale e imperituro e dell'eterna legge e della beatitudine assoluta.
Questo è il quattordicesimo capitolo intitolato "Lo Yoga della differenziazione dei tre guna". (Gunatrayavibhaga Yoga)
Capitolo XV: L'albero della Vita
L'albero cosmico
Il Signore Beato disse:
(1) Parlano dell'imperituro asvattham (albero baniano) come di quello che ha verso il basso i rami e verso l'alto le radici; del quale le piume (le foglie) sono i testi vedici: e colui che lo conosce è (pertanto) un conoscitore del Veda.
(2) In basso e in alto sono estesi i suoi rami, alimentati dai modi (dell'esistenza), aventi come germogli gli oggetti materiali, e in basso, nel mondo degli uomini, si sono prolungate le sue radici, (che sono) legate alle azioni.
(3) La sua forma (effettiva) non è qui, cosi, percepita, né la sua fine, né il suo principio, né il suo fondamento. Dopo aver troncato l'asvattha dalla radice ben cresciuta, con la solida arma del non-attaccamento,
(4) allora, si dovrà cercar quella strada, dalla quale piú non tornano indietro quelli che vi sono arrivati, (pensando) "io cerco rifugio in Lui soltanto, nella Persona originaria, donde si è sviluppato l'antico processo del mondo".
(5) Coloro che sono esenti da orgoglio e da smarrimento spirituale, che hanno vinto la colpa, che consiste nell'attaccamento, che sono sempre assorti nel Sé originario, che hanno rinunciato ai desideri, che son liberati dalle dualità rappresentate dalla coscienza del piacere e del dolore, tornano, senza smarrirsi, a quella condizione che non avrà mai termine.
La vita della manifestazione è soltanto una parte della vita
(6) Il sole non Lo illumina, e cosí nemmeno la luna ed il fuoco; esso è il mio supremo rifugio, dal quale quelli che vi giungono piú non ritornano.
Il Signore come vita dell'Universo
(7) Un frammento della mia realtà, nel mondo della vita, divenuta che sia un'anima individuale, eterna, (a sé) trae i sensi, fra i quali è la psiche come sesto organo, (sensi) che si fondano sulla natura.
(8) Quando il Signore si assume un corpo e quando l'abbandona, (egli) prende questi (i sei organi di senso) e va, cosí come il vento (porta via) i profumi dal luogo (ove stanno).
(9) Entra in rapporto con gli oggetti dei sensi, impiegando l'orecchio, l'occhio, il tatto, il gusto, l'odorato, cosí come anche le facoltà della mente.
(10) Coloro che hanno l'animo smarrito non vedono Lui che se ne va, che resta, che fruisce dei guna, venendo in contatto con essi; ma lo vedono coloro che hanno l'occhio della conoscenza.
(11) Anche gli yoginah che lottano lo percepiscono come avente sede nel sé, ma quelli che non intendono, i cui spiriti non te hanno raggiunto l'equilibrio (non sono formati), per quanto lottino, non riescono a vederlo.
(12) Quello splendore che proviene dal sole (e) che illumina tutto questo mondo, quello che è nella luna, quello che è nel fuoco, quello splendore, conoscilo come mio.
(13) Col fare il mio ingresso nel seno della terra, sostengo gli esseri con la mia energia (vigorosamente), e, diventando il soma, come nettare gustoso, io nutro tutte le piante benefiche.
(14) Io, diventando il fuoco universale (della vita) e (come tale) entrando nel corpo delle creature viventi, insieme mesco
(15) E io sono installato nel cuore di ognuno; da me nascono la memoria e la conoscenza e cosí anche la negazione loro. Io son colui ancora, che si deve conoscere per mezzo di tutti i Veda; io sono anche colui che ha fatto il Vedanta e anche colui che conosce i Veda .
La Somma Persona
(16) Queste due persone son (quelle che sono) nel mondo, quella peritura e l'imperitura, quella peritura (si identifica con) tutti questi esistenti, ed imperituro si chiama l'immutabile (quello che sta in alto nel mezzo).
(17) Diversa però da questi (è) la Coscienza Altissima, che ha il nome di Sé supremo, il quale entrato nei tre mondi come Signore imperituro, li sostiene.
(18) Allorché ho superato il perituro e sono sommo perfino nei riguardi (superiore a) dell'imperituro, allora io sono celebrato come la Suprema Persona nel mondo e nel Veda.
(19) Colui che, senza smarrirsi, conosce me, la Suprema Persona, quegli è il conoscitore del tutto ed onora me con tutto il suo essere, o Bharata.
(20) Cosí questa dottrina segretissima è stata da me rivelata, o (eroe) senza macchia. Conoscendola (un uomo) potrà diventare saggio e (diventare) uno che ha compiuto il suo dovere, o Bharata.
Questo è il quindicesimo capitolo dal titolo "Lo Yoga della Somma Persona". (Purusottama Yoga)
Capitolo XVI: La natura del divino e lo spirito demoniaco
I caratteri della natura divina
Il Signore Beato disse:
(1) L'assenza di paura, la purezza dell'essenza (dello spirito), il fatto di essere ben stabilito nella conoscenza e nella concentrazione, la generosità, il controllo e il sacrificio, lo studio, la penitenza, la rettitudine,
(2) la non-violenza, la verità, l'andar esenti da ira, la rinuncia, la serenità, il non usare calunnia, la compassione per esseri viventi, l'assenza di bramosia, la dolcezza, il ritegno, la ponderatezza,
(3) il vigore, l'indulgenza, la forza d'animo, la purezza, l'esser liberi da sentimenti ostili (per chiunque), il non sentire troppo altamente di sé sono di colui che è nato per la divina perfezione, o Bharata.
Il demoniaco
(4) L'ipocrisia, l'arroganza, il sentir di sé troppo altamente, l'essere collerico ed anche la rudezza ed ignoranza (sono), o Partha, di colui che è nato per la condizione demoniaca.
Le conseguenze dell'una e dell'altra condizione
(5) La divina perfezione si ritiene che sia per la liberazione e la natura demoniaca in funzione del vincolo (della schiavitù spirituale). Non ti addolorare, o Pandava, tu sei nato per la divina perfezione.
(6) (Ci sono) due generi di esseri creati nel mondo: il divino e il demoniaco; il divino è stato descritto per esteso; ascolta da me, o Partha, (l'esposizione) del demoniaco.
(7) Gli uomini demoniaci non conoscono né la via dell'agire né la via delle rinuncia all'agire; in essi non si trova purezza, né buona condotta, né verità.
(8) Dicono che il mondo sia senza realtà, senza fondamento, senza un Signore, non venuto all'essere secondo una regolare connessione causale, in breve, causato dal desiderio.
(9) Tenendo fermo a questo modo di vedere, gli uomini di corto intelletto, che nuocciono a se stessi, si levano, uomini dagli atti violenti, quali nemici del mondo, per la sua distruzione.
(10) Abbandonandosi a un desiderio che non può essere saziato, pieni di fraudolenza, albagìa, orgoglio, per via d'illusione in sé trattenendo cattive inclinazioni, agiscono avendo una condotta non pura.
(11) Dediti ad un impegno affannoso o senza misura, che ha fine soltanto con la morte, essi che credono che la necessità primaria per l'uomo consista nel soddisfacimento dei desideri e sono convinti che di questo mondo sia l'unica realtà,
(12) legati dai cento e cento vincoli del desiderio, dediti al piacere ed all'ira, cercano di ottenere delle fortune, seguendo un modo di procedere irregolare (ingiusto), pur di soddisfare i loro desideri;
(13) "Oggi son riuscito ad ottenere questo, quest'altro desiderio riuscirò a soddisfare; questa cosa mi appartiene e anche l'altro bene a sua volta sarà mio";
(14) "Questo nemico è stato ucciso da me ed altri anche io ucciderò; io sono il Signore, sono colui che gode, sono fortunato, potente, felice";
(15) "Io sono ricco, sono di nobile stirpe: chi altro c'è che sia simile a me? Io farò sacrifici, farò doni e godrò": cosí (dicono essi) illusi dall'ignoranza.
(16) Agitati dai piú diversi pensieri, avviluppati nella rete dell'illusione, impegnati nella soddisfazione dei loro desideri, cadono in un cupo inferno.
(17) Infatuati di se stessi, pretensiozi, presi dalla superbia e dall'orgoglio della ricchezza, compiono dei sacrifici che sacrifici sono soltanto di nome, in modo del tutto ostentato e senza tener conto delle regole.
(18) Abbandonandosi all'egocentrismo, alla bruta prepotenza, all'orgoglio, e cosi anche alla lussuria ed all'ira, (questi) uomini a tutti nemici son tali da detestare Me (che pur albergo) nei loro stessi corpi e in quelli degli altri.
(19) Questi (uomini) che non fanno che odiare, (questi uomini) crudeli, i piú vili degli uomini, nel succedersi delle nascite e delle morti, io ininterrottamente scaravento, essi, i malvagi, in demoniache matrici.
(20) Caduti in matrice demoniaca questi uomini dalla mente confusa, di nascita in nascita, senza raggiungermi, o figlio di Kuntì, vanno piuttosto, di conseguenza, all'infima delle condizioni.
Le tre porte dell'inferno
(21) Questa porta che mena all'inferno, essa, la distruggitrice del sé particolare ha un triplice accesso (è triplice): (consiste in) passione, ira, avidità. Pertanto, occorre metter da parte queste tre cose.
(22) L'uomo che si è liberato di queste tre porte che menano al regno delle tenebre, o figlio di Kuntì, fa ciò che è meglio per il suo sé, e quindi raggiunge lo stato supremo.
(23) Colui che sdegnando le norme della Scrittura, agisce a seconda delle proprie passioni, non raggiunge né la perfezione né la felicità né lo stato supremo.
(24) Perciò la Scrittura sia la tua norma nella determinazione di ciò che è da fare e di ciò che non si deve fare; conoscendo ciò che è detto nelle norme contenute nella Scrittura, devi compiere in questo mondo l'opera tua.
Questo è il sedicesimo capitolo intitolato "Lo Yoga della distinzione fra le nature divine e le demoniache". (Daivasurasampadvibhaga Yoga)
Capitolo XVII: I tre guna applicati ai fenomeni religiosi
Le tre specie di fede
Arjuna disse:
(1) Di coloro che, dando importanza minore ai precetti scritturali, (pur) pieni di fede, fanno offerta di sacrifici, qual è la situazione o Krsna? Sono essi partecipi del principio della bontà o di quello della passione, o di quello della tenebra?
Il Signore Beato disse:
(2) La fede di coloro che si sono incarnati in un corpo è di tre specie, ognuna di esse avendo origine dalla natura di ciascuno: ossia buona, passionale, tenebresa. Ascolta (dunque il mio discorso su) queste (specie).
(3) La fede di ciascuno è conforme alla sua natura, o Bharata; della natura della sua fede, tale è l'uomo; quale la sua fede in realtà è, tale appunto egli è.
(4) Gli uomini buoni onorano gli dei, quelli dominati dalle passioni onorano i semidei e i demoni e quelli che hanno lo spirito ottenebrato onorano gli spiriti dei morti, ai quali non sono stati ancora resi gli onori funebri, e le tribú degli spiriti.
(5) Quegli uomini che si sottopongono ad una terribile penitenza, non stabilita dalla scrittura, (in quanto) vogliono secondare ipocrisia ed egoismo e sono posseduti dalla violenza della cupidigia e della passione,
(6) essendo privi di senno, compiono un'azione riduttiva sull'insieme di elementi che ha sede nel corpo ed anche su di me in quanto dimoro in un corpo. Sappi che questi sono demoniaci nella loro determinazione.
Le tre specie di cibo
(7) Anche il cibo che è caro a ciascuno è di tre specie; e cosi anche i sacrifici, le penitenze, i doni; ascolta dunque codesta distinzione-classificazione.
(8) I cibi che accrescono la lunghezza della vita, la forza vitale, la forza fisica, la buona salute, la felicità e la piacevolezza (dell'esistere), saporiti, teneri, nutrienti, gradevoli sono cari a quelli che partecipano del sattva.
(9) I cibi amari, acidi, salati, assai caldi, piccanti, aspri, che bruciano, che fanno male, che dànno luogo a pene e ad indigestione, sono preferiti da coloro che son dominati dalle passioni (rajas).
(10) Ciò che è corrotto (che ha fatto il suo tempo), che è privo di sapore, che è putrido, che ha passato il tempo in cui era accettabile, che è stato rifiutato ed è sozzo, questo è il cibo che è caro a chi è nel tamas.
Le tre specie di sacrificio
(11) Quel sacrificio che è offerto, in accordo con le norme scritturali, da coloro che non bramano il frutto e che volgono il loro spirito al fatto che 'è doveroso offrire il sacrificio, quel sacrificio partecipa della bontà.
(12) Ma ciò che è offerto, con la mira al frutto od anche per ostentazione, o ottimo fra i Bharata, sappi che quel sacrificio partecipa del rajas (della passione).
(13) Il sacrificio che è al di fuori della norma, nel quale non è offerto cibo, privo di inni, non accompagnato da doni, ove non è presente la fede, si dice che sia partecipe della tenebra.
Le tre specie di penitenza
(14) Il culto reso agli dei, ai nati due volte, ai maestri, ai saggi, la purezza, la rettitudine, la continenza e l'astensione dal nuocere, (questo) si chiama la penitenza o ascesi del corpo.
(15) Il pronunciar parole che non arrecano turbamento, che rispondono a verità, che sono gradevoli e salutari e l'esercizio di recitazione dei Veda (ciò) è detto (essere) ascesi relativa al discorso.
(16) Calma nella propria psiche, gradevole gentilezza, silenziosa riservatezza, controllo di sé, purezza di spirito, questo ha il nome di ascesi dell'anima.
(17) Questa triplice ascesi, praticata con la fede piú alta da uomini dall'animo fermo e che non abbiano la brama del frutto, è chiamata partecipe del principio della bontà.
(18) Quell'ascesi che è praticata al fine di ottenere gli onori che si rendono alle persone di riguardo e in genere onore e rispetto e per far bella mostra è, nel nostro mondo qui, chiamata partecipe del principio della passione: è sempre mutevole e incostante.
(19) Quella specie di ascesi che è praticata con una infatuazione che deriva da errato concetto, con proprio danno o al fine di distruggere altri, è detta partecipe del tenebroso.
Le tre specie di doni
(20) Quel dono che è fatto a uno che non dà il concambio, (pensando) che questo è un dono che dev'essere fatto, nel luogo giusto e al tempo giusto e a persona degna, quel dono si giudica esser partecipe di bontà.
(21) Ma quel dono che è fatto in funzione di una ricompensa, o con l'animo volto al frutto, come guadagno di ritorno, o controvoglia, è detto essere della natura della passione.
(22) E quel dono che è fatto a tempo e in luogo inopportuni a persone indegne, in modo scortese (o) con disprezzo, è detto essere della natura delle tenebre.
L'espressione mistica: Aum Tat Sat
(23) Il triplice segno di Brahman è considerato essere "aum tat sat". Con esso furono stabiliti in antico i Brahmani, i Veda ed i sacrifici.
(24) Perciò pronunciando (la sillaba) aum, gli atti di sacrificio, dono, penitenza, come prescritti dalle norme scritturali per i fedeli interpreti del Brahman, si praticano sempre per opera loro.
(25) (Pronunciando la sillaba) tat, senza aver la mira al frutto, sono compiuti da coloro che cercano la liberazione i diversi atti del sacrificio e dell'ascesi e i diversi atti del dare.
(26) La sillaba sat è usata col significato di "realtà effettiva" e col significato di "realtà santa"; ed ugualmente, o Partha, la parola sat è usata nel senso di "azione buona".
(27) La fermezza nel sacrificio, nell'ascesí, nel dono è chiamata anche sat ed ugualmente è chiamata sat ogni azione che abbia fini siffatti.
(28) Qualsiasi offerta sia fatta, qualunque dono sia fatto, qualunque atto d'ascesi sia compiuto senza fede ha il nome di asat, o Partha: nulla dopo la morte, nulla in questa vita.
Questo è il diciassettesimo capitolo dal titolo "Lo Yoga della triplice divisione della fede". (Sraddhatrayavibhaga Yoga)
Capitolo XVIII: Conclusione
Si deve praticare la rinuncia non nel senso della rinuncia all'operare bensì nel senso della rinuncia al frutto delle opere
Arjuna disse:
(1) O eroe dal forte braccio, desidero conoscere il vero concetto della rinuncia e dell'abbandono, o Hrsikesa, nei vari modi, o Kesinisudana.
Il Signore Beato disse:
(2) I sapienti sanno che
la rinuncia consiste nell'astensione dalle opere, compiute con fine
d'interesse; coloro che vedono chiaramente (i dotti) affermano che l'abbandono
consiste nel lasciare i frutti di tutte le opere.
(3) Bisogna astenersi dall'operare, come da un male: cosi alcuni uomini saggi opinano; ed altri (affermano) che gli atti di sacrificio, di dono, d'ascesi non devono essere dismessi.
(4) Ascolta ora da me,
ottimo fra i Bharata, la nozione
certa dell'abbandono: l'abbandono, o sommo tra gli uomini, è stato spiegato
come triplice.(3) Bisogna astenersi dall'operare, come da un male: cosi alcuni uomini saggi opinano; ed altri (affermano) che gli atti di sacrificio, di dono, d'ascesi non devono essere dismessi.
(5) Gli atti che consistono nel sacrifizio nel dono nell'ascesi non devono essere abbandonati (o dismessi), ma devono invece essere compiuti. Perché il sacrificio, il dono, l'ascesi (realizzano) la purificazione dei saggi.
(6) Ma anche queste opere devono essere compiute, abbandonando l'attaccamento e il desiderio del frutto. Tale o Partha, è il mio modo di pensare deciso ed ultimo (o sommo).
(7) Ma il rifuggire da un atto prescritto non è cosa che possa approvarsi; l'astenersi da una cosa del genere, per via di illusione, si dichiara essere della natura del tamas, del tenebroso.
(8) Chi tralasci un'azione (considerando che è) dolorosa, per paura della sofferenza fisica, quegli, compiendo una rinuncia di tipo passionale, non potrà ottenere il frutto della rinuncia.
(9) Ma colui che compia il dovere prescritto (considerando) che "è una cosa che bisogna fare", o Arjuna, mettendo da parte ogni attaccamento e cosi anche la prospettiva del frutto, (realizza) una rinuncia (che) è giudicata partecipe del principio della bontà.
(10) L'uomo saggio che compie la rinuncia, che è compenetrato dal sattva o principio della bontà, i cui dubbi sono dispersi, non odia nessuna azione penosa e non ha attaccamento per il facile operare.
(11) Davvero non è possibile, per chi è fornito di un corpo , rinunciare in tutto e per tutto all'operare. Ma colui che rinuncia al frutto dell'opera, (quegli) è chiamato colui che pratica autenticamente il distacco.
(12) Sgradevole, gradevole, misto: triplice è il frutto dell'operare, per coloro che non hanno compiuto la rinuncia, una volta che siano morti: non ce n'è di alcun genere per coloro che hanno compiuto la rinuncia.
L'operare è una funzione naturale
(13) O (eroe) dal forte braccio, apprendi da me questi cinque principii, per il compimento di tutte le azioni, (come) sono enunciati nella dottrina samkhya.
(14) La base dell'agire ed ugualmente l'agente, lo strumento nelle sue varie specie, i vari tipi di attività separatamente presi e poi l'elemento piú che umano (superiore all'umano) che è il quinto.
(15) Qualsiasi azione l'uomo intraprenda con il corpo, la parola, la mente, (azione) che sia secondo la regola o che vada in senso opposto, cinque sono i suoi fattori.
(16) Cosi stando le cose allora, l'uomo dallo spirito distorto che ritenga se stesso l'agente assoluto, per il fatto che non maturo è il suo spirito, quegli, (in realtà) non vede.
(17) Colui che è libero da ogni (illusorio) sentimento egocentrico, che non ha la facoltà distinguente turbata, anche se uccide in questo mondo, non uccide (in realtà) e non soffre vincolo (per le sue azioni).
La conoscenza e l'azione
(18) La conoscenza, l'oggetto della conoscenza, il soggetto conoscente costituiscono il triplice incitamento all'agire; lo strumento, l'azione e l'agente sono i tre elementi che entrano a costituire ogni azione.
(19) La conoscenza, l'azione e l'agente, secondo la scienza dei guna (delle qualità), si dice che siano di tre specie soltanto, secondo la distinzione dei guna. Ascolta anche di questi, come è buona regola.
Le tre specie della conoscenza
(20) Quella conoscenza per la quale è visto in tutti gli esseri l'unico essere imperituro, indiviso nelle (esistenze) divise, sappi che partecipa della bontà.
(21) Quella conoscenza che conosce vari esseri di diverse sorti in tutti gli esistenti, a causa del loro essere separati, sappi che quella conoscenza partecipa della passione.
(22) Ma quella (conoscenza) che resta appresa ad un singolo effetto, come se fosse il tutto, senza considerare la causa, per il fatto di non tener a ciò che è reale, (quella conoscenza) che è di valore limitato si dichiara essere partecipe del tenebroso.
Le tre specie dell'operare
(23) Quell'azione che appartiene al novero delle prescritte, che è compiuta senza attaccamento, senza amore od ostilità da colui che non cerca di ottenere il frutto, quella è detta partecipe della bontà.
(24) Ma quell'azione che è compiuta, mentre implica sforzo o pena, da uno che vuole la soddisfazione dei suoi desideri oppur anche da uno che sia pieno di sentimento di sé, si dice partecipe della passione.
(25) L'atto che si fonda sullo smarrimento mentale, senza tener conto del rapporto seriale immediato degli eventi, di rovina o di torto (possibile altrui arrecato) e senza considerare le umane possibilità, è detto partecipe della tenebra.
Tre specie di agente
(26) Colui che agisce (essendo) libero da attaccamento, che non parla come (fa) l'egoista, che è pienamente dotato di costanza ed energia, che non è scosso da successo o insuccesso, è detto partecipe della bontà.
(27) Colui che agisce in preda a (varie) brame, che avidamente cerca il frutto dell'azione, (che è in sé) avido, con l'animo di chi vuol fare del male, impuro, con l'animo pieno di gioia o di tristezza, è detto partecipe di qualità passionale.
(28) Colui che agisce senza aver conseguito l'equilibrio, che è volgare, ostinato, falso, sornione, ignavo, depresso e tergiversante si dice partecipe della tenebra.
Le tre specie d'intelletto (facoltà discriminativa)
(29) Ascolta (dunque ora) la triplice distinzione dell'intelletto (come capacità discriminativa) e della ferma costanza spirituale, secondo le qualità, o possessore della ricchezza, enunciata interamente e distintamente.
(30) O figlio di Partha, l'intelletto che conosce il muoversi in avanti (l'agire) e lo starsene immobili, ciò che si deve e ciò che non si deve fare, ciò che si deve e ciò che non si deve temere, ciò che lega e ciò che libera, (quello), è partecipe della bontà.
(31) Ma l'intelletto con il quale (si) conosce in modo improprio il giusto e l'ingiusto, ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare, quello, o figlio di Partha, è in sé passionale.
(32) E l'intelletto che, avviluppato dalle tenebre, pensa che l'ingiusto sia giusto e (concepisce) tutte le determinazioni concrete all'inverso, o Partha, (quello) partecipa della tenebra.
Le tre specie di salda fermezza
(33) La salda fermezza con la quale (uno) regola le attività della mente, del flusso vitale, dei sensi, per mezzo della concentrazione, quella salda fermezza che mai non si svia, o Partha, è partecipe della bontà.
(34) La salda fermezza per mezzo della quale uno che sia desideroso del frutto, in stretta dipendenza da ciò, volge la propria attenzione al dovere, al piacere, alla ricchezza, quella fermezza, o Partha, è del tipo della passione.
(35) La salda fermezza per via della quale lo stolto non lascia (di abbandonarsi al) sonno, alla paura, all'ansia, alla tristezza, all'ebbra eccitazione orgogliosa, o Partha, è (quella) partecipe del principio della tenebra.
Le tre specie di felicità
(36) Ora poi ascolta da me, o ottimo fra i Bharata, le tre specie di felicità (quali siano). Quella per cui (l'uomo) in seguito ad esercizio prende diletto e giunge al termine del suo soffrire,
(37) Quella felicità che al principio è come un veleno ed alla fine rassomiglia al nettare, che nasce dalla chiarezza dell'intendimento del Sé, è detta essere partecipe del principio della bontà.
(38) Quella felicità che nasce dal contatto dei sensi e degli oggetti di senso e che è come nettare al principio, come veleno alla fine, una tale felicità è menzionata come del tipo passionale.
(39) Quella condizione di piacere che al principio e in ciò che ad esso consegue, (rappresenta un) turbamento dell'anima e che è sorta dal sonno profondo, dalla pigrizia, dalla negligenza quella appunto è detta essere partecipe del tenebroso.
I vari doveri determinati dalla natura particolare (svabhava) e dalla condizione sociale particolare (svadharma)
(40) Non c'è (essere) esistente particolare sulla terra o anche fra gli dei in cielo, che sia libero da codesti tre guna che traggono origine dalla natura.
(41) Gli atti dei Brahmani, degli ksatriyah, dei vaisyah e degli sudrah, o distruttor dei nemici, sono distinti a seconda delle qualità che hanno origine nella natura particolare di essi.
(42) La serenità, il controllo di sé, la vita ascetica, la purezza, la tolleranza e la rettitudine sincera, la sapienza, la conoscenza e la pietas, (tale è) l'agire proprio del Brahmano e che trae origine dalla sua stessa natura.
(43) L'eroismo, il vigore, la fermezza, la destrezza, il non fuggire nemmeno nel pieno della mischia, la generosità, avere l'orgoglio del comando, (questo è) l'agire dello ksatriya, (agire) che nasce dalla sua natura stessa.
(44) L'agricoltura, l'aver cura del bestiame, la mercatura (costituiscono) l'agire di un vaisya, (agire) che nasce dalla sua natura stessa; l'operare che ha il carattere del servire è proprio dello sudra e nasce dalla sua stessa natura.
(45) Ciascun uomo, che trova piacere nel proprio lavoro, raggiunge la perfezione Come ciascuno che con impegno compia il proprio lavoro raggiunga la perfezione, questo (appunto) ascolta.
(46) Colui dal quale (si muove) lo sviluppo degli esseri e dal quale tutto questo mondo promana, quello appunto, per mezzo della sua propria opera, l'uomo onorando, raggiunge la perfezione.
(47) Migliore è la legge propria, (per quanto) sprovvista di qualità (che la rendono perfetta), che non l'altrui legge ben praticata. Colui che compie opera ordinata dalla propria natura non commette colpa.
(48) Nessuno deve abbandonare l'opera che gli è connaturata, o figlio di Kuntì, per quanto piena di difetti possa essere, perché in verità tutte le intraprese sono annebbiate da difetti, come il fuoco dal fumo.
Il karmayoga e la perfezione assoluta
(49) Colui il cui intelletto non ha in modo alcuno attaccamento, colui che ha vinto il suo sé (e) che si è liberato dei suoi desideri, attraverso la rinuncia, perviene allo stato di perfezione che è al disopra dell'operare.
La perfezione di Brahman
(50) Colui che ha raggiunto la perfezione, (allora) attinge il Brahman, che è il massimo compimento della conoscenza: (questo) da me ascolta in breve, o figlio di Kunti.
(51) (Essendo) fornito di un puro intelletto, con fermezza controllando se stesso, rinunciando al suono ed agli altri oggetti di senso e respingendo via da sé attrazione e avversione,
(52) menando vita solitaria, mangiando assai poco, padrone della parola, del corpo, della psiche, dandosi sempre alla meditazione ed alla concentrazione e trovando rifugio nell'indifferenza,
(53) tenendo lontano l'egocentrismo, la forza bruta, l'arroganza, il desiderio, l'ira, il possesso, rinunciando all'io e dopo essersi raccolto in pace, è atto a divenire una realtà sola col Brahman.
La devozione suprema
(54) (Essendo) divenuto una cosa sola col Brahman, avendo lo spirito sereno, non ha pene (e) non ha desideri. Uguale verso tutti gli esseri, in me attinge la devozione suprema.
(55) Per mezzo della devozione giunge a conoscermi, come sono e quale io sono in realtà; perciò, avendo conosciuto me in verità, in me immediatamente fa ingresso.
Applicazione di quest'insegnamento al caso di Arjuna
(56) Continuamente compiendo tutte le azioni, purchè in me cercando rifugio, per mia grazia raggiunge l'eterna imperitura dimora.
(57) Risolvendo nel tuo spirito in me le tue opere, a me devoto, ricorrendo alla fermezza dell'equilibrio spirituale, abbi il pensiero costantemente in me fisso.
(58) In me tenendo fiso il pensiero, per mezzo della mia grazia, supererai tutte le difficoltà: ma se poi tu, per dar valore al tuo ego, non mi ascolterai, perirai.
(59) Se, ad alto sentimento del tuo sé abbandonandoti, pensi "non combatterò", questa tua risoluzione (è formulata) invano: sarà la natura stessa a costringerti.
(60) Quello che non desideri fare, per uno smarrimento della tua mente, quello (tu) farai anche contro la tua volontà, costretto dal tuo operare, sorto dalla tua stessa natura, o figlio di Kuntì.
(61) Il Signore, o Arjuna, dimora nella regione del cuore di tutti gli esseri, volgendo intorno tutti gli esseri col suo potere, come se fossero posti su di una macchina.
(62) A lui va' come al tuo asilo, con tutto il tuo essere, o Bharata; attraverso la sua grazia attingerai la pace suprema e l'eterna dimora.
(63) Cosí quella sapienza-conoscenza che è piú segreta di tutti i segreti, è stata da me a te spiegata; rifletti su di essa senza nulla tralasciare e fa (cosí) come preferisci (di fare).
Esortazione finale
(64) Ascolta di nuovo la mia suprema parola, quella che di tutte è la piú segreta; tu sei da me intensamente amato, e ti dirò quindi ciò che per te è buono.
(65) Fissa su di me l'anima tua; sii a me devoto; a me rendi il sacrifizio; a me rendi onore; a me cosí tu verrai e a te prometto la verità, (ché) tu mi sei caro.
(66) Mettendo da canto tutti i doveri, vieni a me (che son) l'unico asilo; non ti affliggere, sarò io a liberarti da tutti i mali.
Il compenso per aver seguito l'insegnamento
(67) Questo (insegnamento) non dev'essere da te assolutamente esposto ad uno che non pratichi penitenze, a uno che non abbia devozione, a uno che mi disobbedisca o (che) mi biasimi.
(68) Colui che spiegherà questo supremo segreto ai miei devoti, per me realizzando una devozione che non ha altra che la superi, a me senza dubbio verrà.
(69) Non ci (potrà essere) fra gli uomini alcuno che compia azione a me piú cara; né ci può essere altri piú caro di lui sulla terra.
(70) E da colui che studierà questo dialogo, che noi due abbiamo condotto secondo i sacri principii, è mio intendimento di essere onorato, attraverso l'ascesi della conoscenza.
(71) E l'uomo che lo ascolti con fede e senza pensieri maligni, quegli appunto, liberato, raggiungerà i mondi felici dove dimorano i virtuosi.
(72) È stato questo (discorso) da te udito con animo fisso su un punto, o Partha? Lo sviamento causato dall'ignoranza è stato esso disperso, o possessore della ricchezza?
Arjuna disse:
(73) Dissolto è il mio smarrimento e da me conquistata la consapevolezza, attraverso la tua grazia, o Incrollabile. Fermo sto, con i dubbi che si son tutti dissolti: quel che tu mi hai detto, io compirò.
Samjaya disse:
(74) Cosí io ho udito questo meraviglioso dialogo fra Vasudeva e il magnanimo Partha, che tale fu da darmi un brivido orripilante.
(75) Per grazia di Vyasa, io ho ascoltato questo segreto supremo, (questo) yoga, proprio dallo stesso Krsna, da lui, il signore dello yoga, che lo spiegava, di persona.
(76) O re, ogni volta che ripenso a questo dialogo meraviglioso e santo di Kesava ed Arjuna, gioisco e torno a gioire.
(77) Ed ogni volta che richiamo alla mente la forma piú che portentosa di Hari, grande è il mio stupore, o re, e gioisco e torno a gioire.
(78) Laddove è Krsna, signore dello Yoga, laddove è Partha, l'arciere, ivi, fermamente credo, sono per certo in modo stabile la fortuna, la vittoria, il benessere, la buona condotta.
Questo è il diciottesimo capitolo intitolato "Lo Yoga della liberazione attraverso la rinuncia". (Moksasamnyasa Yoga)
Qui finiscono gli insegnamenti upanisadici della Bhagavad Gita.
Testo tratto dall'edizione Ubaldini (Roma, 1964): Traduzione del testo sanscrito di Icilio Vecchiotti. (Sono state apportate alcune piccole modifiche qua e là nel testo a seguito della comparazione con altre versioni del poema.)
Parte 3 di 3 e fine.